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domenica 8 luglio 2012

Sulla bagna cauda


Una ventata di novembre brumoso, nebbioso e brinoso piemontese nella calura africana del Salento in luglio. Pensando alla prima galaverna che rende bianchi l’erba e i rami.


La bagna cauda, sua maestà, è la prova provata che i piemontesi non sono poi così musoni come certa vulgata li vuole dipingere. E’ il piatto conviviale per eccellenza, mangiarla da soli è triste, induce alla malinconia. Sarebbe come giocare da soli a burraco facendo il giro del tavolo e giocando nel ruolo di quattro giocatori.
E la compagnia deve essere buona, anzi eccellente. Intanto nessuno schizzinoso dovrà avvicinarsi perché l’utilizzo di aglio in quantità provocherà, assieme al controllo della pressione e delle depressioni, anche effetti socialmente non sempre bene accetti, in  secondo luogo perché l’unica bevanda ammessa è il vino che deve essere rosso, ottimi il Barbera, il Barbaresco, la Freisa. Anche il Dolcetto, sia pure non amato da molti, sta benissimo. In Salento ci si può lasciare andare con Negramaro e altri vitigni locali.
Prepararla è un rito e le ricette variano, come si conviene per i piatti popolari, da luogo a luogo, da famiglia a famiglia. Vittorio Foa, antico piemontese, negli ultimi anni della sua lunghissima e produttiva vita, non si spostava da una località marina laziale che al momento mi sfugge. Un gruppo di amici molto più giovani, quando era stagione, partivano da Torino con il loro carico di verdure piemontesi e tutto l’occorrente per andare da lui e farlo felice con una mangiata faraonica del magico intingolo.
Il piatto, pur se popolare, era amato anche da nobili e proprietari terrieri, una ricetta trasversale.

I modi per prepararla.

Partiamo dalla ricetta ufficiale, quella della confraternita della Bagna Cauda di Nizza Monferrato:

Un tegame di terracotta, 4 spicchi d’aglio tritati e immersi nel latte per ¼ d’ora. 200/250 grammi di olio d’oliva di origine certa, mezz’etto di burro, un etto di acciughe sotto sale ben lavate, pulite e bene in carne.
Mettere sul fuoco il tegame con l’olio, il burro e far sciogliere le acciughe, togliere l’aglio dal latte, aggiungerlo e far cuocere finchè aglio e acciughe siano sciolti. Attenzione, l’olio non deve mai friggere, la cottura dev’essere lenta e costante. Il tegame in terracotta verrà posto al centro del tavolo ed ogni commensale intingerà le verdure cotte o crude accompagnando il tutto con pane casereccio e vino in quantità.

Esiste poi la ricetta dei cosiddetti “integralisti” che prescrivono una testa d’aglio a persona (12 spicchi circa). Forse un po’ eccessiva. Assoluto divieto di latte o panna perché “il latte si dà ai gatti”. La norma prevede invece una media di 3 spicchi pro capite. Ribadisco che dall’aglio non si può prescindere, sarebbe come fare la pasta con le cozze senza cozze.



Sugli ingredienti:

Le acciughe erano utilizzatissime in Piemonte, trasportate dagli acciugai che spesso contrabbandavano il sale passando per le “vie del sale”. Preferibili allo scopo sono quelle di Spagna, rosse, stagionate un anno almeno sotto sale, rigorosamente pulite, lavate prima con acqua, poi con ottimo vino rosso prima di essere messe nell’olio.

L’olio d’oliva: un tempo il Monferrato era produttore, oltre che di vino, anche di olive, altrimenti non si spiegherebbero i paesi dal nome : San Marzano Oliveto (At), Olivola (Al) ecc. Quando la coltura sparì si fecero tentativi d sostituirlo con l’olio di noci, decisamente più deperibile. Molte ricette vorrebbero una piccola aggiunta di tale olio, difficoltoso da trovare.  

Aglio: originario dal Kazakistan e paesi limitrofi, si diffuse rapidamente nel mondo. C’è chi ne parla come di un coadiuvante nelle disfunzioni sessuali maschili. Tale supposizione pare senza fondamento. Delle 400 specie quello più adatto per il nostro piatto sarebbe quello di Vessalico (paese vicino ad Albenga), oppure il siciliano di Nubia. I meno integralisti utilizzano quasi sempre quello che trovano in commercio al momento. Suggerisco di evitare il cinese che incombe. Troppo debole.

Il cardo: Il mese delle brine e delle nebbie, quando si raccoglie deve essere (tradizione impone) quello gobbo di Nizza Monferrato, i luoghi di Cesare Pavese. Meglio, molto meglio se raccolto dopo che ha preso in campo la prima gelata perché è più tenero e morbido. Si piantano in maggio, a fine estate vengono legati con rametti di salice e in settembre vengono ripiegati ed interrati perché diventino bianchi perdendo la clorofilla. Si utilizza staccandone le foglie e tagliandole a pezzi mettendole, dopo lavate, in acqua acidulata con limone perché non anneriscano. Ovviamente si utilizza anche il cuore che è tenero.

Peperoni: Cotti. Per fare presto, si passano sulla fiamma fino a poter eliminarne la pellicina, si servono così, tagliati a fette da intingere. Tradizione richiederebbe quelli cotti sotto raspa d’uva, ma la preparazione è laboriosa e richiede raspi d’uva appena pigiati ed una salamoia. Ottimi alla bisogna anche quelli crudi, preferibili i gialli carnosi.

Assolutamente immancabile il tapinanbur, tubero coltivato, ma molto spesso spontaneo in terra piemontese. Si elimina la buccia, i piccoli bitorzoli e i nodi, si tagliano a pezzi e si servono crudi dopo averli immersi in acqua fredda (non serve il limone).

Il cavolfiore: i cui fiori teneri possono essere crudi, lavati e immersi acqua fredda, oppure cotti alla maniera solita.

Le cipolle al forno: metterle in forno a 180 gradi, lasciate raffreddare, togliete la pellicina e tagliatele e pezzi. I cipollotti crudi vanno benissimo.

Il sedano privato dei filamenti si serve a crudo.

La patata a pasta gialla lessata e servita con tutta la buccia, sarà compito del commensale sbucciarle.

Il finocchio a crudo tagliato a tocchi e messo in acqua acidulata.

Tutte le verdure a crudo che si trovano vanno benissimo.

Una curiosità, provatela con la mela. Si acquistino renette o mele ruggine (ahimè difficoltose da trovare) o le mele Carla, si lavino con cura e si mettano in tavola come sono, sarà compito del commensale sbucciarle al momento per evitare brutti annerimenti e ossidazioni.

Il tegame in terracotta viene posto al centro della tavola e ogni commensale intinge la sua verdura aiutandosi, per non sgocciolare, con fette di pane casereccio. I più raffinati potranno servirla in fornelletti individuali.

La ricetta soft di Gualtiero Marchesi
Ingredienti per 4 persone: 130 g. di filetti di acciuga sott’olio, un decilitro di latte, 3 spicchi d’aglio, 3 decilitri di olio d’oliva, un cucchiaio di olio di noci.
Mettere a bagno l’aglio per due ore circa nel latte, scolarlo e schiacciarlo bene nel mortaio. In un recipiente di terracotta stemperare nell’olio l’acciuga e l’aglio schiacciati, lascia dolo sobbollire sempre mescolando per circa 10 minuti. Servire in tavola sugli appositi fornelletti con le verdure.

E’ buona norma, in caso di fornelletti singoli tipo bourguignon, quando la bagna cauda sta finendo, per aiutare la digestione, prendere un uovo intero, romperlo nella bagna cauda residua e  farlo strapazzato da consumare caldissimo. 
Oppure utilizzarla per condire ottima pasta, comunque si decida nulla deve assolutamente andare sprecato.


Bagnam caudam nos caudamus
Bagna cauda nos amamus
Bagnam cauda non cantamus
Bagna cauda nos voramus

Pedemontis rex est cardus
Pedemontis rosa est aglius
Pedemontis deus est vinum
Pedemontis vita est bagna

Bagna cauda te adoramus
Bagna cauda te basiamus
Bagna cauda te exaltamus
Bagna cauda te inscenamus

Inter flores autunales
Deliciarum flos est cardus
Inter fructus monferrales
Cardu fructus principalis…

Filastrocca allegra, goliarda, conviviale, nel magnificare il piatto principe della regione, ma in latino maccheronico…”  (Da: Il Salto dell’acciuga di Nico Orengo – Einaudi)

E ancora, sempre dallo stesso libro, il canto propiziatorio alla bagna cauda:

Che goduria
Che fortuna
Costa seira ch’as trovoma                    questa sera ci troviamo
Venna fè na gran baldoria                    bisogna fare gran baldoria
Venta fè na sarabanda                         bisogna far casino   
Ventarà cò ampestè l’aria                    bisognerà anche appestare l’aria

Bagna cauda nos laudamus
Bagna cauda non laudamus

L’olio d’oliva: per amalgamare
                      Per ammorbidire
                      Per riconciliare
Le anciove:     che rubano il  sale al mare   
(acciughe)      Che raspano la gola
                      E son pesci di montagna
L’aglio            Che fa bene alla pressione
                      Alla circolazione
                      E tiene il diavolo alla larga

Costa l’è na bagna cauda                       questa è la bagna cauda
Nostra sancta medicina                          nostra santa medicina
campè giò la bagna cauda                       butta giù la bagna cauda
Con sciroppo barbaresco                         con sciroppo Bararesco

Sempre in compagnia
Per portare nuovi adepti
Anche i peggio schizzinosi
Che “domani io lavoro”
Che non fanno mai un coro
Vivono senza colori

Sulla tavola imbandita
Gran foresta di bottiglie
Dalla Freisa alla Barbera
Dal Nebbiolo al Grignolino
Riempi un piatto a montagnola
E preparati al divoro di:

peperoni sotto raspa                             
cardo gobbo che è più dolce
barbabietole e patate
di cipolle cotte al forno
verza crespa che raccoglie
grandi quantità di bagna
poi finocchio e sciolotin
sedano e tapinabò

Costa l’è na bagna cauda                       questa è la bagna cauda
Nostra sancta medicina                          nostra santa medicina
Campè giù la bagna cauda                      butta giù la bagna cauda
Con sciroppo barbaresco                         con sciroppo Barbaresco

Conseguenze:

trippe sfatte e occhi sversi                      stomaco sfatto ed occhi riversi
scongiuriamo il cimitero                          scongiuriamo il cimitero
omo aisè le coppe al cielo                       abbiamo alzato le coppe al cielo
fomne auta la bandiera                           facciamo alta la bandiera
desmentiand l’inibision                           scordiamo le inibizioni    
aria de zora                                            aria di sopra
aria dal cul                                             aria dal culo

Tutte le notizie sono tratte dal libro di un amico ed importantissimo ricercatore di ricette della cucina alessandrina, presidente onorario di slow food Alessandria, Luigino Bruni. “La bagna cauda – L’origine, la storia, ricette famose di ieri e di oggi” Edizioni dell’Orso – Alessandria. Pagg. 190 - € 16,00




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