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sabato 19 novembre 2011

salemi, sgarbi e la mafia


 Riprendo una notizia da IL FATTO QUOTIDIANO.  Il boss Salvatore Miceli non è uno qualsiasi, i carabinieri dopo anni di latitanza lo hanno scovato in un albergo di lusso di Caracas, in Venezuela. Per conto di Matteo Messina Denaro si occupava di narcotraffico internazionale, facendo arrivare la droga, cocaina, dalla Colombia, alla Sicilia fino in Calabria e Campania. Cosa nostra, ‘ndragheta e casalesi assieme in un affare colossale. La sua voce una volta fu intercettata a San Vito Lo Capo, in un residence: era a parlare del dopo stragi ’92 con il geometra palermitano Pino Lipari, un altro “colletto bianco” a disposizione della mafia. “Bisogna rimettere questo giocattolo in piedi… gli dissi a Bino (Provenzano ndr), perché del passato ci sono cose giuste fatte e cose sbagliate. Cose tinti assai sinni ficiro”.
Succede nel 1987, dopo l’arresto del boss vennero confiscati, in zona Salemi,  70 ettari di terreno con vigneti, masserie e altro. Da allora il tutto rimase incolto, finchè venne affidato al Comune di Salemi perché provvedesse all’assegnazione ad associazioni o enti. In tre anni il sindaco della città, tal Vittorio Sgarbi, non ha mosso un dito e l’agenzia per i beni confiscati ha revocato i beni stessi al Comune. È la prima volta che accade. Il sindaco di Salemi palude all’iniziativa dell’agenzia con stucchevoli dichiarazioni: “A causa della crisi economica può accadere che un bene confiscato alla mafia non trovi nessuno disponibile ad accettarlo nonostante i ripetuti tentativi del Comune. Per questo plaudiamo all’iniziativa dell’agenzia di assumersi direttamente l’impegno di assegnare i terreni confiscati a chi sia in grado di occuparsene”. Sgarbi però intima: “Non va ripetuta l’esperienza di affidamenti di comodo ad associazioni religiose che accumulano senza alcun esito attivo e produttivo”.
Peccato che qualcuno fosse interessato ad acquisire i terreni per farne un utilizzo virtuoso, come accade in moltissime parti in Italia, si sono fatte avanti Slow food e Libera.  Da un’intercettazione si apprende che lo stesso sindaco di Salemi avesse detto papale papale: “a Don Ciotti Mai”.
Questi i fatti, i commenti li lasciamo a chi legge. Quello che si sa è che la mafia vede Libera come fumo negli occhi e chiunque mette all’associazione i bastoni fra le ruote è ben visto. Ad essere maligni si potrebbe dire  che qualcuno sta pagando debiti di riconoscenza per un’elezione. Siccome non è bello essere cattivi, resta inquietante l’interrogativo sul perché succedono cose non spiegabili. La speranza è che l’agenzia dei beni confiscati, che non ha debiti di sorta con le mafie, provveda a fare un lavoro virtuoso con quei. Crisi o non crisi, Libera c’è.  

venerdì 18 novembre 2011

caduta delle ideologie?



Strane sensazioni, si può essere felici per la caduta del peggiore governo della storia della Repubblica, tuttavia la contentezza è attenuata dalle prospettive prossime venture. Il governo dei politic sostituito da quello dei tecnici.
Quel che è peggio è che avviene a favore di tecnici addestrati, avvoltolati alle banche. Il prezzo che paghiamo per uscire da anni di sfacelo della politica, della Democrazia e della Costituzione, oltre che della lingua italiana, è così elevato? È vero che occorre  uscirne in fretta e al meglio da una crisi epocale. Ma quale prospettiva hanno gli elettori democratici (in senso lato)? Quelli che vogliono banalmente tornare a parlare di Persone, di problemi reali, anche prescindendo, anzi, soprattutto facendolo, dalle strettoie di PIL e Spread? Questo capitalismo, questo forma di economia globale evidentemente non funziona perché assolutamente deregolata e lasciata in mano, dice chi se ne intende, a pochi speculatori. È caduto il peggiore e lo spread famigerato è aumentato. “Le borse sono salite” diceva il TG3, erano salite dello 0,90%. Dove sta il virtuoso? Soprattutto sia che governi il peggiore, il tecnico o il meno peggio, gli speculatori sembrano fregarsene proprio. Quello che salta agli occhi con uno sguardo veloce è che nessuno, quanto meno in Italia, cerca un’alternativa a questo stato delle cose. Lo fanno gli studenti in corteo con il loro striscione stupendo che diceva “Non ci avrete come volete” saranno i dirigenti di domani. Ma domani è tardi.  Quelli di oggi sono inquietanti per la loro mancanza di prospettive. L’Europa tenuta appesa dalla Germania e solo in parte dalla Francia è un’entità astratta. E il centro sinistra accetta questo come l’unico mondo possibile. Mancano di credibilità perché hanno perso anni, come dice Rinaldi,  senza riuscire a darsi una fisionomia unitaria, senza avere un leader riconosciuto non da una parte, più o meno grande, ma credibile dal centro sinistra tutto. Magari ricercato con le primarie dando fiato e voce a chi è tenuto fuori dalle segrete stanzette dei partiti.  Forse è tempo di tornare a  fare filosofia, oltre che di amministrare l’esistente. Darsi una prospettiva in cui credere, che non può essere, per le persone normali, lo Spread o il pil che, dicono i soloni, non sono reali  perché l’Italia ha fondamentali migliori e non merita questa caduta. Di cosa stiamo parlando? Siamo migliori o peggiori? E perché i mutui aumentano se non lo meritiamo?  E se non ci spetta questa speculazione, perché nessuno governa l’economia facendo in modo che ognuno abbia il suo e a chi ha meno trovi solidarietà anziché armamenti? Forse è il caso di ripensare al governo mondiale dell’economia globalizzata, spendere qualche parola su questi sistemi, anziché rimettere l’ici alle prime case “perché così fan tutti” dice il Monti, e costringere a comprare il giornale con la carta di credito. E chi non ha un conto in banca che farà? E se il “così fan tutti” è per le prime case, perché non si parla di patrimoniale vera verso chi ha beni mobiliari ed immobiliari di rilevante peso economico? Perché non si porta la tassazione delle rendite da investimenti in titoli dal 12,5% al 25%?   Troppo da comunisti? Berlusconi non vuole? Il governo tecnico governi tecnicamente, non a vantaggio dei ricchi come i governi hanno fatto negli ultimi vent’anni. La caduta del peggiore non deve essere un comodo alibi per farne passare l’etica, altrimenti che è caduto a fare? Usciamo dal tunnel post ideologico in fretta, facciamoci almeno un’idea di quel che vorremmo diverso, del significato di Democrazia globale e non solo.  

carfagna.....




carfagna mentre prepara un intervento alla Camera


Cambio di ministresse.  Mara Carfagna cede il passo a Elsa Fornero. Un’occhiata ai curricula delle due signore la dice lunga sul cambio, mentre la seconda è vicepresidente del Consiglio di Sorveglianza di Intesa San Paolo, ruolo ricoperto nel 2010, e docente di Economia Politica presso la Facoltà di Economia dell'università di Torino.
La Carfagna vanta:   maturità scientifica e il diploma di ballo presso la scuola del Teatro San Carlo di Napoli, si forma come  ballerina a New York, studia recitazione e per otto anni si dedica allo studio del pianoforte in conservatorio. Nel 97 partecipa a Miss Italia (6° posto) e diventa miss cinema. 110 e lode nella laurea in giurisprudenza.

giovedì 17 novembre 2011

violini, poesie, pil e spread


New York, lui scese dalla metropolitana. Indossava jeans, camicia e un berretto. Si sedette vicino all’ingresso, aprì la custodia del suo violino ed iniziò a suonare. Proseguì imperterrito per 45 minuti nel disinteresse generale. La scena è registrata in un video: passanti passano veloci con cellulari all’orecchio, leggendo il giornale, con il bicchierino del caffè, di corsa. Non ci si ferma, il mondo va avanti, non abbiamo tempo di ascoltare  un violino, noi. Qualcuno guardava di sfuggita lo sciagurato figlio della nuova povertà senza ascoltare le note che uscivano dal suo strumento. Pochi lo guardavano dritto in faccia, nessuno sa che il Washington Post ha organizzato quella performance e la stava filmando.
Lui si chiama Joshua Bell, uno dei più grandi violinisti del mondo, reduce da un concerto alla Simphony Hall di Boston dove le prime file costavano mille dollari. Con il suo Stradivari del 1713 (stimato tre milioni di dollari circa) stava eseguendo brani di musica sacra.
Siamo abituati a considerare le cose, gli avvenimenti, i fatti, solo se contestualizzati. Bell era fuori contesto. Non è la musica che interessa, piuttosto il dove e come viene suonata. Si possono pagare 1000 dollari (chi può farlo) per sedersi in una poltrona di velluto, non ci si degna, non tanto di ascoltare a qualunque costo, neppure di porsi il problema di chi e cosa  stia suonando. Potenza della pubblicità, del mondo dello Spread e del Pil che brucia via emozioni e ci invita a incasellare le cose senza capacità di riflettere? Certo, lo so, la vita è frenetica. Svaghiamoci, dopo il lavoro però, soprattutto fuori dai sotterranei della metropolitana. Certo, la crisi economica, i conti da pagare, le bollette che scadono, la scuola materna, l’auto ferma da qualche parte, la benzina che aumenta. Come fare ad ascoltare uno sciagurato che suona seduto in terra?
Quanta distanza fra la fretta ad ogni costo e l’incapacità di vivere? Vincent vendette un solo quadro in vita, nessuno lo degnava di uno sguardo. Perché siamo arrivati a franare così fragorosamente in basso? Ricordo, erano gli anni 70, si diceva della vita frenetica: sveglia alle sette, poi lavoro, la sera a casa ad addormentarsi davanti alla TV dopo cena, il venerdi pizza e si fa l’amore, il sabato si esce con gli amici e magari ci si ubriaca, domenica le partite in TV. Forse è iniziata allora la standardizzazione della vita e delle emozioni, di pari passo con il boom economico. Al punto di non rendersi conto del mare o del sole, o di un violino che suona. Oggi senti parlare di spread come della pasta con le polpette, c’è chi racconta la fiaba del pil ai bimbi per farli addormentare.  Per fortuna però c’è ancora chi urla forte ed osa sbatterci in faccia qualcosa di inusuale nel mondo che percorre strade misteriose e veloci come la luce: “facciamo in fretta a fare il governo…” “facciamo in fretta a mangiare che si deve uscire… per andar dove?” Dormiamo anche, in fretta però. E facciamo in fretta a fare l’amore. Loro no, i ragazzi di “assalto poesia” ci dicono la bellezza del fermarsi a guardare, leggere, odorare, ascoltare silenzi e rumori.  
Via Templari, sono le nove di mattino, appese gentilmente al muro, con nastro adesivo di carta che non rovina nulla, ci sono poesie. “Fogli stampati formato A4, dice il signore al cellulare che non si ferma che per un rapidissimo sguardo. “Macchè, sono amozioni” penso io fermandomi. Una signora sta leggendole una ad una, leggo anch’io, è una sensazione bella, liberatoria, lo dico alla mia complice di letture rubate che sorride ed annuisce. Leggi, non in fretta per favore, Montale, poi una citazione ripresa da un film di Leone e resa meno truculenta: “quando l’uomo con la pistola incontra l’uomo con la biro, l’uomo con la pistola è un uomo morto. Perché la biro dà l’eternità”. Leggi Ungaretti “ Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie” oppure Benigni che ci racconta delle favole che “non insegnano ai bambini che esistono i draghi, che esistano i draghi lo sanno già da soli, le favole insegnano ai bambini che i draghi possono essere sconfitti”.

“Dal 2003 nasce, nella strada, il concetto di agire poetico che vede come fondatore Ivan (artista che nasce a Milano il 12 maggio 1981). Da quell’anno Ivan non ha mai abbandonato la dimensione pubblica del far poesie fra le vie, dopo la prima scaglia su muro, scritta sul parapetto della darsena di Milano nel Dicembre 2002 , Ivan ha continuato un lungo percorso di sperimentazione poetica che lo ha portato a scrivere versi e parole tra le strade di tutto il mondo. Dal Libano ad Haiti, da Amsterdam a Barcellona fino a Parigi, l’Avana, il Messico e molte altre città e comunità nel mondo. Un lungo verso che lo ha portato ad essere considerato, ad oggi, il riferimento principale per il neonato movimento della “Poesia di Strada” che propone e promuove nuove tecniche e contenuti spezzando il confine elitario della poesia e diffondendosi liberamente in piazza, nelle strade e tra la gente. La “Poesia D’Assalto” è il movimento che nasce a Lecce alla fine del 2010 per mano di Davide e che segue il principio della poesia libera di Ivan  portando nelle strada versi delle poesie dello stesso e versi del fondatore Leccese”
Davide, Mattia, Guido, che dire? Solo un ringraziamento perché voi ci provate, a  farci volare fuori dalle celle in cui siamo chiusi… di fretta però. Chissà mai che una risata e mille poesie seppelliscano un po’ di porcate.  


lecce 2.0dodici - il capitale della cultura


Lecce2.0dodic organizza il Forum
IL CAPITALE DELLA CULTURA
domani 18 novembre a partire dalle 16.30 presso le Officine Cantelmo.

Uno spazio pubblico di confronto con i principali attori dei processi culturali, l’università, le associazioni, i cittadini in cui le proposte diventano collettive e quindi bene pubblico.

L’obiettivo è quello individuare gli elementi cardine di una nuova programmazione di risorse e interventi, di un diverso ruolo da assegnare ad un settore strategico nella definizione di identità, comunità, sviluppo.
Il Comune non può essere solo inteso come erogatore di contributi: esso è chiamato a prestare ascolto e attenzione; a considerare i soggetti del territorio come partner alla pari; a farsi collettore di istanze; a saper interloquire con soggetti professionali e con quelli associativi senza scopo di lucro (comprendendone le differenze); a lavorare per costruire un sistema di realtà autonome ma complementari; a saper collegare la propria città non solo con il patrimonio artistico ma anche con le espressioni della contemporaneità: musicali, teatrali,cinematografiche, artistiche; a favorire la crescita e la valorizzazione dei talenti.

on line: www.lecce20dodici.it 

facebook: lecce2.0dodici 
email: lecce2.0dodici@libero.it


mercoledì 16 novembre 2011

i bugiardi


Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi, e di esercitare le mie funzioni nell’interesse esclusivo della Nazione”.
Questa è la formula con la quale i ministri promettono di lavorare in nome e per conto della Costituzione e della nazione tutta.
Su questa stessa formula hanno giurato: Berlusconi, Bossi, Calderoli, Maroni, Zaia, e altri. Per il primo l’esclusivo interesse della Nazione era la riforma della giustizia e la depenalizzazione dei reati a lui ascritti. Gli altri hanno giurato prima sul loro statuto che prevede “l’indipendenza della parania (panania, patania, pagania)”. Bugiardi! Hanno mentito spudoratamente tutti quanti. 

scacchi, scacchiere e Giovanni






“Il gioco degli scacchi è il gioco della vita, il re ha un potere solo apparente, è la donna, la regina che decide le sorti della sconfitta o della vittoria, però è lui, alla fine, a capitolare.” mi diceva in parte scherzando Giovanni, il mio maestro di scacchi. E mi raccontava di quella guerra sciagurata, della ritirata dalla Russia così lontana, così ghiacciata. E delle donne russe che lo hanno accolto nella loro casa e lei, la più anziana, che gli tolse scarpe e calze e mise i suoi piedi sul suo seno per farli rivivere. Poteva perderli. Non avevano abbigliamento adatto. Giovanni, bravo sarto e improbabile pittore che spiegava la sua filosofia in quei dipinti quasi infantili. E gli scacchi come gioia e simboli della vita stessa.  Si faceva serio quando ne parlava come “la battaglia, forse la guerra della vita.”
I quadri e i pezzi. Bianco e nero. La vita contro la morte, il caso contro la ragione, l’autodeterminazione contro la predestinazione, eros e thanatos.  Il bianco ha la prima mossa sempre. E’ la regola, è la vita che muove i suoi passi.  E la strategia è la speranza.
“Il settimo Sigillo”, con il cavaliere che si gioca la partita contro la morte. Quasi a significare la ricerca del senso della vita, di Dio, dell’uomo.    La vittoria non esiste, non può esistere.  Però il tempo lo si ruba con il tempo delle mosse. Non c’è possibilità di passare il turno, però si può azzardare, osare. Il cavaliere incontra la signora nel bosco (apertura), poi il pasto con fragole e latte (partita), poi la foresta, prima del temporale (il finale). 

 Nato forse in India, forse in Cina, e portato da noi nel medio evo, il gioco degli scacchi ha da sempre significato un unicum in cui si muovono emozioni e ragione. Probabilità e fato.  Strategia e tattica contro l’alea della fortuna cieca delle carte o dei dadi. I pezzi come gli arcani dei tarocchi, ognuno con un suo significato ed un suo ruolo preciso, colmo di misterioso fascino, unico.  Ci sono le truppe leggere, quelle da mandare avanti per aprire varchi, spesso carne da macello, i pedoni. Le torri, in origine carri da guerra possenti e potenti. Gli alfieri, nell’antichità erano elefanti usati in combattimento e per gli spostamenti. I cavalli, immutati e indispensabili. La regina e il re. Il generale e il suo consigliere e protettore. Tutti i pezzi possono cadere ed essere ammazzati, presi, eliminati. Tutti tranne il Re. A lui si può dare solo “Scacco matto”. Shah (re) dal persiano,  mat (è morto) dall’arabo. Solo quando gli scacchi arrivano a noi il re si dice “morto”, non prima.  Perchè nessuno può osare tanto. Si imprigiona, gli si impedisce di muoversi ulteriormente e deve capitolare, cedere le armi, però non muore. Deve essere pronto ad un’altra partita, un’altra guerra. Quando un re morirà sarà per sempre.
Vuole la leggenda che l’inventore della scacchiera e del gioco degli scacchi chiedesse al re un chicco di grano per la prima casella, due per la seconda, quattro per la terza e così via. Sarebbe arrivato alla cifra di 18.446.744.073.709.551.616 chicchi di grano.
Matematica e geometria si fondono nel gioco degli scacchi, a simbolismo e fato. Nelle case si muovono filosofia e pensiero. Bianco e nero. Le 64  case derivano forse dagli 8 trigrammi commentati nell’I-Ching. Il visibile, spirito e divino. In altri luoghi si parla del simbolismo 8 x 8 come iconografia sacerdotale per i brahamani.
Perché è utilizzata nell’arte, cosa rappresenta, a chi parla la scacchiera? In quella battaglia c’è l’essenza dell’essere, la contrapposizione stessa fra divino ed umano. Angeli e demoni che si scontrano, confliggono, periscono. Ed è ammessa la promozione, solo per i più umili pedoni però. Quando  uno arriva in ottava si trasforma in qualcosa di più grande, importante. Può diventare tutto tranne il re. Solo lui, il sovrano, il generale, non è mutuabile. L’esercito si può rinnovare e sostituire. La caduta del re è l’impero che si dissolve, senza possibile rinascita.
La scacchiera è l’otto per otto,   la forma ideale di una casa, un villaggio, una città, un mondo.   E’ il luogo per eccellenza. Nascita, vita e morte, tutto dentro quel quadrato e quelle case. Fuori solo il nulla. E il nulla è impensabile, troppo lontano e non immaginabile dalla mente umana, come l’infinito. Come quel numero di chicchi di grano. 
Giovanni, grande sarto passato dalla Russia non per turismo. Amante della vita e della pittura. Occhiali con spesse lenti, strano nodo alla cravatta. Ha trascorso tutta la vita fra case bianche e nere. Non era, in fondo, un buon giocatore. Lui la studiava la scacchiera, la viveva come filosofia. Però, a pensarci bene, era un ottimo giocatore. Sapeva che il re non muore. E sapeva che la regina, la donna, il consigliere del re è il vero stratega. Perché lui, il re, ha il cammino limitato, una casa per volta. Lei può correre fin dove c’è spazio aperto, tramare in ogni direzione. Amava, Giovanni, il pedone che non diventerà mai re. Al massimo una seconda regina, un secondo consigliere. Le torri di guardia della costa salentina stanno ad aspettare e proteggere il re. Come macchine da guerra in attesa della mossa avversaria.  Sono torri bianche. Forse così le avrebbe intese Giovanni se fosse arrivato fin qui.  Se il re nero muove le sue navi le torri riparano i pezzi bianchi. Arrocco, difesa. Il nero vince sempre?  A volte no, si può rimandare. Il Salento è un’immensa partita a scacchi in fondo. Forse la più grande che io conosca.  Nei paesi si muovono le pedine della vita e della morte. Ci sono anime di mille re (baroni?) sconfitti che vagano nelle piazze, con la rabbia per la sconfitta o pacata rassegnazione. E ci sono orgogliosi vincenti nei secoli. Hanno lasciato tutti un segno de loro passaggio. Dolmen e menhir. Palazzi baronali e chiese contrapposti che si guardano nelle piazze. Masserie fortificate con alte mura di cinta.  E’ un campo di battaglia, orgogliosamente chiuso in case bianche e nere. Fuori c’è altra vita, ma è, appunto, altra. La vita si combatte solo dentro quelle case. I neritini se la sono giocata con la “libera repubblica di Nardò” e prima ancora, nel 1647 con la rivolta vinta dal re nero. E si combatte a Calimera  :“Zeni su en ise ettu s ti kalimera”, dove vince il bianco, la morte per ora non arriva.

A seguire una delle partite “epiche” dello scacchismo che possiamo ancora trovare fra giocatori dilettanti. C’è tutto: combinazione,   sacrificio della donna, errore fatale
.
Il matto di Légal è lo scacco matto della partita Légal-St Brie giocata a Parigi nel 1750.
Quella partita fu la seguente:
 1.e4 e5
2.Cf3 d6
3.Ac4 Cc6
4.Cc3 Ag4? (Meglio  4...Cf6)
5.Cxe5! Axd1? (Ovviamente:  5...dxe5 6.Dxg4)
 6.Axf7+ Re7
7.Cd5++

Il conte de Cambray Digny compose un sonetto su una variante di questo matto:

Scacchisti, udite! Un'immortal tenzone
In brevi tratti il verso mio dipinge;
Inoltra il Re dei Bianchi il suo pedone,
                                1. e4,
Quel del Re Nero contro a lui si stringe.
                                1. ... e5;
L'assalta un Cavalier; ma gli si oppone
                                2. Cf3,
Quel della Donna e i colpi suoi respinge.
                                2. ... Cc6;
Alla quarta d'Alfier l'Alfier si pone,
                                3. Ac4,
La Donna il suo pedon d'un passo spinge.
                                3. ... d6;
L'altro Cavallo accorre. Al primo è sopra
                                4. Cc3,
l'Alfiere e il preme. Egli il pedone uccide,
                                4. ... Ag4; 5. C:e5,
Benché al nemico acciar la Donna scopra.
Ed essa muor, ma non indarno. In fallo                        
                                5. ... A:d1;
Cadde il duce dei Neri: ei non previde
Scacco d'Alfiere e matto di Cavallo.
                                6. A:f7+, Re7 7. Cd5#


martedì 15 novembre 2011

primarie a lecce secondo tempo


Così è passata anche la serata del 14 novembre al Koreja. Salvemini in forma smagliante, un centinaio di persone ad ascoltare e intervenire. Potrebbe essere una vera e propria forza d’urto composta da molti senza partito, senza tessera, ma con la voglia di partecipare (o riprendere la partecipazione). Non tutti ovviamente, c’era SEL, per esempio, l’unico partito organizzato, allo stato delle cose, a sostenere Salvemini. C’erano però le persone che a Milano hanno portato Pisapia a vincere primarie e secondarie. La voglia di esserci era evidente, nessun partito organizzato, in questa fase di smarrimento della politica, ha la credibilità per organizzare una riunione simile con una partecipazione spontanea così alta. Già le voci si rincorrono, qualcuno liquida quelle persone come “sinistra radicale” tout court, altri parlano di radical chic. In verità ho visto persone, qualcuna, è vero, vestita di nero, senza passamontagna tuttavia.  
Il problema ora è comprendere come utilizzare questa forza. Di questo si parlava, in fondo, della necessità di far uscire fuori dal Koreja e dalle Cantelmo il messaggio, del come proporsi a chi dovrà votare per far passare a Carlo il primo scoglio, quello delle primarie.
Come diceva Salvemini stesso, ci si trova di fronte alla scelta fra un candidato senza tessera, senza apparato, aiutato dal solo volontariato, e la Capone, vice presidente della Regione, appoggiata dagli apparati del PD con strutture armate (si legge “attrezzate”) per affrontare confronti elettorali. Siamo in una prima fase, tuttavia mancano solo due mesi alla consultazione, per cui esiste la concreta necessità di capire le reali differenze programmatiche fra i candidati. Per quanto ho saputo le cosiddette bizzarre “primarie delle idee” sono nel pantano perché le riunioni sono state stoppate dagli stessi che le vogliono ad ogni costo. Si tratta, è vero, di cespuglietti, però la melina imposta prima dal PD che ha temporeggiato mesi interi senza saper bene dove andare, ora da partiti minori che probabilmente non sanno bene cosa proporre e cosa hanno imposto come centro di discussione, è inquietante veramente.
Quindi ci si dovrebbe concentrare su una candidatura e portare avanti proposte. Se il cso di farlo agire a testa bassa, lasciando perdere il bon ton ad ogni costo e parlare linguaggi chiari. Intanto capire le vere differenze di programma fra i due candidati che saranno probabilmente i soli, comunque non verranno certo disturbati da terzi incomodi. In secondo luogo fare chiarezza sulle alleanze. In ultimo passare dal privato delle riunioni, sia pur allargate, alle strade e ai quartieri. Esiste una fede molto forte nella rete, ci sono tuttavia intere fasce di persone che la rete non la conoscono proprio, le elezioni sono fatte con schede di carta e matite copiative, non sono solo il clic su un’icona. La rete è uno strumento essenziale oggi, non è tuttavia il solo per riuscire a vincere. Puntarci troppo potrebbe significare, appunto, essere “chic”.  Penso ai moltissimi che hanno necessità di conoscere e guardare dritti in faccia i concorrenti alle primarie per poterli poi riconoscere alle secondarie.
La battaglia contro un apparato può essere vinta, insegnamenti che arrivano da altre città lo dimostrano, occorre però costruire la vittoria sul campo, se l’apparato conta su dieci voti, la guerra si vince sparigliando le carte e portando 20 persone a votare. Questa è una parte, non secondaria, della scommessa da fare per riuscire ad avere esiti virtuosi e senza ricadere nei giochi di veti incrociati e nell’olezzo di antiche spartizioni.

Parole chiare sulle vicende filobus, Via Brenta, parole chiarissime sulle alleanze. Si sgombri infine il campo. Qualcuno ammicca alla Regione Salento? Si faccia avanti, non sarà appoggiato da chi vede in quel movimento una neo lega nord separatista e populista. Altri ammiccano all’UDC? Dica l’UDC se sta con il centro destra o centro sinistra, se impone diktat ed è perfettamente interscambiabile fra le coalizioni, qualcosa non funziona, perché due contendenti alle secondarie dovranno necessariamente avere programmi alternativi, altrimenti a che servirebbe votare? Altrimenti presenti un proprio candidato e veda di nascosto l’effetto che fa. Senza aspettarsi tappeti rossi al ballottaggio però, in quella fase i programmi son ostati scelti dagli elettori e le carte in tavolo non si cambiano più. Penso che una delle caratteristiche che hanno consentito la vittoria di Milano e a Napoli di candidati visti come onesti e puliti sia stata proprio la chiarezza, contro la nebulosità dei giochi sotto banco. Gli elettori non sono poi così sprovveduti da credere ancora che arriveranno i bolscevichi ad occupare Piazza Sant’Oronzo

primarie a lecce

Una brevissima nota a caldo, potrebbe avere il sapore di scoop oppure quello di mini spionaggio (in realtà senza baffi finti, solo con volti angelici di osservatori). Il segretario organizzativo del PD leccese partecipa al Koreja ad un incontro per le primarie di Carlo Salvemini. Nulla di strano o di emozionante, per carità, era un incontro  aperto a tutti, però almeno un salutino poteva portarlo, così, in fondo era ospite di un'assemblea apertissima, dove ognuno poteva addirittura criticare il padrone di casa se voleva. Ah la mancanza di bon ton......


p.s. Della riunione dirò più avanti in altro post

lunedì 14 novembre 2011

quando il gioco si fa duro...


Un vecchio adagio recitava: “Quando il gioco si fa duro, i duri iniziano a giocare”. Questo tempo è giunto. Ora vedremo quali attori ed attori di satira politica riusciranno a sopravvivere. Comodo lavorare aprendo il giornale la mattina o ascoltando il giornale radio ancora nel letto alle dieci di mattina. Ora se le vadano a cercare le battutine.
Prima bastava guardare le fotografie sui giornali per vedere presidenti del consiglio con il colbacco accanto a Putin. Oppure mentre  guardava il culo di una sua omologa alta almeno sessanta centimetri più di lui (pare sia 1,80). Era sufficiente  ascoltare il premier che chiamava Kapò un eurodeputato socialista tedesco. Fino a venerdi era comodo ascoltare Bossi, Calderoli e Castelli e morire dal ridere, se si voleva leggerne la parte meno alfabetizzata e più lontana dall’etica e dalla politica con i loro ricchi idiomi carichi di “padania… nord… terroni”. O ascoltare la ministressa della scuola parlare di tunnel sotto l’Italia. È finita! Mettetevelo in testa. Questa ricchezza di argomenti è definitivamente morta. Parlare di Scilipoti che chiama traditore (sic) chi vota contro il governo del nano di Arcore è come sparare sulla croce rossa. Forse ci sarà un generale al ministero della difesa, scelta discutibilissima quanto giustificata dal fatto che: “per un governo di tecnici ci vuole un tecnico”. Prima c’era La Russa, impossibile non immaginarlo con tuta mimetica che manda gli altri  “a spezzare le reni all’Afghanistan” e a caccia di bolscevichi (per imitare il suo vir ideale forse?). Impossibile non farci satira. Anzi, troppo facile. Ora sono affaracci vostri. Vedremo chi rimarrà a galla e chi annegherà per la mancanza di incipit. Però non si preoccupino troppo i comici, il parlamento è immutato. Ancora potrete sentire Alfano e la Gelmini cinguettare. La Prestigiacomo proseguirà imperterrita nel suo silenzio. Da quando si è accorta che occuparsi dell’ambiente non significa mandare un’impresa di pulizie ad arieggiare gli uffici del suo capo è caduta in depressione. Emblematica la risposta che un docente diede a chi l’intervistava a proposito della sciagura di Genova. Domanda “e il ministro dell’ambiente?” un attimo di pausa a chiedersi chi diavolo fosse poi la risposta sibillina: “È una bella donna”.  Se anche un docente che si occupa di ambiente riesce a strappare un sorriso, beh, per i vari Crozza, Vauro e compagnia bella era facile… Prima.   

domenica 13 novembre 2011

pil, spread, gratta e vinci a altre sciocchezze


Spalancare finestre al sole d’autunno, lasciar entrare aria fresca, emozioni e i soliti rumori da là sotto, sulla strada dove qualcuno suona il clacson, una moto fa un casino infernale.  Abbiamo festeggiato San Martino, come lassù in Piemonte, a sud di Lugano, non si usa fare. “Bevi questo rosso, fa 15 gradi” quindici gradi? E non è un digestivo accidenti, è un vino “nuovo, non novello” roba da intenditori. Noi poveri mortali non sappiamo. “’U spread a 500” diceva il tassista stamattina in Piazza Sant’Oronzo. L’altro annuiva silenzioso e pensoso. Erano appoggiati ad un taxi, erano due colleghi che aspettavano clienti.  Le parole che si impongono: spread, pil, tasso di sconto. “Voglio un chilo di pane, e un litro di vino, le do in cambio il bambino, che ho in più” cantava Dalla Lucio un tempo. Poi arrivarono i lupi e cantò altro. Intanto una arrembante conduttrice televisiva andava sugli schermi il pomeriggio con una maglietta con su stampato: “Dalla! non è un cantante. È un consiglio”. Roba da seconda Repubblica, roba da spread e da pil detti al bar sport, fra un commento sul gol annullato dall’arbitro “pagato”, sul culo della ragazza che passa, e San Martino con la salsiccia. Tutto normale, tutto sfila via leggero, il Pil, lo spread, il gol. La TV parla di governo, sottogoverno, dimissioni di governo, incarichi di governo. “Altrimenti ‘u spread dove andrà?” Mistero, mistero. Nel baratro, mentre governanti esteri “ridens” se la spassano parlando d’Italia. “Cazzo avete da ridere?” verrebbe da chiedere loro; pensano di star meglio? Forse lo pensano solo, appunto. E noi che credevamo di contare poco. Anche Obama di fronte alla caduta libera delle borse degli USA diceva “ah la crisi italiana…”. Almeno una volta siamo l’ombelico del mondo, tutti ci guardano.  E se invece di essere italiota (o italica), o greca, o spagnola fosse crisi e basta? E se stessero crollando i disvalori di una società malata, come quella occidentale tutta quanta? Abbiamo creato un mostro. La Cina all’arrembaggio con i suoi salari da fame conquista il mondo intero, anche il Brasile. Un antico film titolava “La Cina è vicina”. Ora è arrivata. Con buona pace di chi parla di spread come fosse il vangelo. La Cina se ne impippa dello spread italico e di quello germanico. Sole caldo del sabato mattina che aiuta a pensare. Non aiuta a scrivere, i pensieri sono scomposti e troppo liberi. Non si legano uno all’altro, arriva improvviso lo sguardo del bimbo sul mondo, il caffè preso in piedi al bancone del bar, Antonio che chiede come va, Sant’Oronzo sulla colonna che benedice  e se lo guardi bene sembra che pianga, il tabaccaio che mi dice “i più venduti? Quelli da 20 euro, una novantina al giorno ne vendo.” Parla dei gratta e vinci che occupano scaffali interi mentre arriva la signora, pensionata molto probabilmente, che ne chiede uno da dieci e uno  da cinque. Una volta un’altra signora davanti a me in coda intascò la vincita: venti euro. E la reinvestì tutta con emozione “non ne ho mai comprato uno da venti, ma li ho vinti” disse quasi a giustificare la folle spesa. Lo so che a volte sono curioso e intrigante, però la domanda è uscita da sola, senza contatto fra cervello e bocca “ma quanto ha speso per comprare il biglietto vincente?” “cinque euro” risponde fiera ed orgogliosa di cotanta vincita  “allora ne ha appena persi cinque, non ne ha vinti venti, doveva comprarne uno da quindici per andare in pari”. Mi ha guardato con occhi parlanti, dicevano “una bella padellata di affari tuoi te la vuoi fare? Rompiscatole!”…Te lo leggo negli occhi… tu lo leggi nei miei… Diceva un’ antica canzone del secolo scorso. Il venditore di felicità assisteva divertito al dibattito. Intanto mi conosce, lui sa che sono un rompiscatole.
E la nave va, (citazioni citazioni citazioni). Ma dove diavolo va la nave che va? “In Cina, in Cina, nel paese dei mandarini e della civiltà antica, millenaria. Nel paese che si dice comunista e che gestisce il capitalismo vincente” Ah gli ossimori della storia e della filosofia. Ah l’economicismo vincente e imperante. Qualcuno lo disse, io sottoscrivo “sulla mia lapide scriverete: ha vissuto una vita senza capire cosa stesse succedendo attorno a lui”. È l’unico epitaffio che mi si confà. Tutti a votare per la democrazia, ognuno per la sua, però. Tutti in Chiesa a pregare Dio, ognuno il suo, però. Quello che consente la guerra, quello che impone la pace, quell’altro, quello che si volta dall’altra parte quando guardi lascivo il culo della signora davanti a te, poi quello del pil e dello spread. Quello su cui giuravano i mafiosi nel covo di Riina Totò. Un Olimpo insomma, ogni Dio ha un suo scopo ed un compito da assolvere. E la democrazia, ah quanto costa. C’è quella di chi vuole tutti i politici in galera, quella che ne vuole solo una parte, quell’altra che “Meno male che c’è Napolitano”, quella che “Silvio è stato tradito”, quella che “Bersani non ha polso”, quella del Pil e dello spread. Quella del “dobbiamo fare tutti quanti sacrifici, anche noi che prendiamo una pensione di 10.000 euro”. C’è la democrazia che toglie i treni da Lecce perché costano troppo, quella che costruisce il filobus a Lecce perché costa poco, ma non lo fa partire. C’è la democrazia delle torri costiere che cadono a pezzi come Pompei, e quella del ponte sullo stretto e dei torrenti che allagano città. Quante democrazie…
Chissà se la signora ha poi vinto con quel gratta e vinci, rimarrà per me un mistero insondabile. Ieri era una data che faceva 11/11/11. Palindromo, dovremo aspettare un anno e dieci giorni per leggere  21/11/12 altro palindromo. Poi basta per un po’ di tempo. Ma non importa, non sono superstizioso e non credo ai palindromi e agli oroscopi. Mentre scrivevo un uomo con i capelli finti è andato al Quirinale a dire “vabbè, mi dimetto”.  Quanti comici e produttori di satira si sentiranno disoccupati? Non sarà facile trovare un guitto che sostituisca quello uscente.
Ero partito spalancando una finestra sul sole d’autunno e guarda dove sono arrivato, accidenti. Ma perché mai l’avrò aperta? Boh, ora la richiudo, c’è tramontana e fa freddo.