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venerdì 23 dicembre 2016

Le parole di Pierpaolo, la follia e la speranza

Oggi cito l'amico Pierpaolo  che su facebook ha scritto: 

sarò un vecchio arnese del secolo scorso ma credo ancora nelle idee e nei recinti politici, nelle piccole scelte private che possono modificare anche in maniera impercettibile un sistema, nella solidarietà silenziosa e nell'impegno rumoroso, nella scomodità e nell'intempestività, nella cultura e nell'antifascismo, nella buona fede e nella diversità, nella speranza e nella follia...

Pierpaolo è pacato e sempre (chissà se solo apparentemente) calmo e sereno (Renzi non c'entra).
Con poche parole è riuscito a condensare un sacco di cose: cambiare l'ncredibile vero che ci circonda, solidarietà, intempestività, scomodità, diversità e soprattutto la grandezza della "follia".  Lui non ha virgolettato, io lo faccio, perchè questa follia non è una malattia, è un privilegio. Sempre ammesso che la follia (l'altra) possa essere considerata malattia ovviamente, e qui si potrebbe aprire un dibattito su sentieri che non conosco.  Follia e intempestività hanno caratterizzato le vite di personaggi immensi, mentre scrivo non so non pensare a Tonino Bello, a Mauro Rostagno, a quel pazzo di Peppino Impastato. E ovviamente a chi non è più tornato da un viaggio in un altrove che l'ha spinto oltre ogni oltre. Perchè quando si cammina c'è sempre un oltre per cui vale la pena andare a curiosare. A costo di denudarsi delle convenzioni e della quotidianità.  Per estensione le parole di Pierpaolo si possono leggere anche pensando a profili altri, diversi, al rapporto fra due persone, all'amore o all'amicizia. "Speranza e Follia" ne sono parte. Come lo sono dei rapporti sociali tutti, un pensiero che a fine di un bizzarro anno bisestile riporta chi lo legge con i piedi ben sollevati da terra. Occorre tornare a crederci. Vale per tutti, anche per i vecchi arnesi del secolo scorso. 
Grazie Pierpaolo! 

lunedì 19 dicembre 2016

PIL e vendita di armi


PIL etico e PIL non etico, questo è il dilemma. Sempre si tende a considerare il PIL come parametro di calcolo per il “benessere” di un paese. Tuttavia è una stortura vera e propria. Consideriamo il fatto che, per esempio, se mi rompo una gamba, poi dovrò spendere soldi per comprare le stampelle, questa spesa verrà conteggiata nel PIL. Se resto in coda in auto nel traffico consumerò più benzina e questo farà aumentare il PIL. Paradossalmente si considera “benessere” un immenso ingorgo in autostrada.
Esiste anche un altro PIL del quale dobbiamo semplicemente vergognarci come esseri umani e come rappresentanti di quel “primo mondo” in cui viviamo.

L’esportazione di armi italiane nel mondo segna un incremento del 186% rispetto al 2014. Dato clamoroso – dice Nigrizia  in anteprima – che mostra come sia di cartapesta la retorica smerciata da chi si lamenta che l’Italia delle armi è in declino. L’anno scorso, infatti, il valore globale delle licenze di esportazione definitiva ha raggiunto gli 8 miliardi e 247 milioni di euro rispetto ai 2 miliari e 884 milioni del 2014. Un boom senza precedenti, che il ministero degli Esteri e della Cooperazione (Maeci) ha commento eufemisticamente: "...Si è pertanto consolidata la ripresa del settore Difesa a livello internazionale, già iniziata nel 2014 e in linea con l’andamento crescente globale del settore difesa nel 2015". I dati sono contenuti nella Relazione sulle operazioni autorizzate di controllo materiale di armamento 2015, consegnata il 18 aprile scorso dal sottosegretario di stato alla presidenza del consiglio dei ministri alle cinque commissioni permanenti di Camera e Senato (affari costituzionali; affari esteri, emigrazione; difesa; finanze e tesoro; industria, commercio, turismo)”.

Interessante, sempre leggendo Nigrizia, vedere dove finiscono gli armamenti prodotti nel bel paese.

“Tra i primi dieci paesi troviamo, come nel 2014, gli Emirati arabi uniti (che hanno ricevuto materiale bellico per 304 milioni di euro, in linea con l’anno precedente) e l’Arabia Saudita (dai 163 milioni a 258). Due paesi alla guida della coalizione arabo-africana in conflitto nel vicino Yemen. A dimostrazione che i divieti imposti dalla legge 185 del 1990 (non vendere armi a paesi in guerra) sono carta straccia nella realtà. Anche la Turchia ha più che raddoppiato gli investimenti in armi italiane: 128,7 milioni a fronte dei 52,4 del 2014”.
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 Elicottero "Mangusta" (Agusta) venduto all'Arabia Saudita

Con buona pace della legge citata.
C’è poi un fiorente mercato illegale di armamenti verso i paesi che trucidano ed effettuano genocidi del quale pare sfuggano le cifre.
E in Italia, sempre secondo i dati pubblicati su Nigrizia:

A beneficiarne le aziende del settore, con Alenia Aermacchi, Agusta Westland, Ge Avio, Selex ES, Elettronica, Oto Melara, Intermarine, Piaggio Aero Industries ai primi posti della classifica come valore contrattuale delle operazioni autorizzate. La maggior parte di queste aziende, come sempre, è di proprietà o è partecipata dal gruppo ex Finmeccanica, oggi Leonardo.

Gli articoli “Made in Italy” più venduti:  carri armati, aerei, elicotteri, navi, artiglieria, bombe, missili, siluri, fucili, munizioni e armi chimiche antisommossa (venduti ai corpi di Polizia di Spagna, Romania, Brasile, Bangladesh, fra gli altri).
A fronte di questi dati certa politica “pelosa” e senza etica alcuna, dice forte “aiutiamoli a casa loro” parlando di immigrati che fuggono da guerre criminali e sanguinose, da città devastate (Aleppo è emblematica). E lo dicono senza far seguire lo slogan da una presa di posizione netta e decisa “basta produzione e vendita di armamenti” “Conversione dell’industria bellica”.
Senza queste premesse si capisce come il PIL sia non solo dannoso e ipocrita, ma foriero di altre guerre e altre immigrazioni di persone disperate e rimaste senza nulla.
Affrontare il problema immigrazione selvaggia può prescindere dalla comprensione sui motivi che la spingono?   
Il mondo detto primo da questo punto di vista è un immenso serpente che si morde la coda e che aggiunge PIL a PIL, produzione e vendita di armamenti da un lato, produzione e vendita di cibo e di “assistenza” ai profughi dall’altro. Veramente, a noi questo PIL non piace per nulla! 


Fonte del corsivo: La Repubblica