Ringrazio Lecceprima per avere accolto queste mie righe sul trapianto di rene, ma soprattutto sull'importanza della donazione di organi.
Millecinquecentosessanta sono i buchi fatti in cinque anni
di dialisi. Tre volte a settimana, ogni volta due buchi, arteria e vena. Ogni
seduta 4 ore. Tremilacentoventi ore. Il reparto dialisi diventa quasi casa, e
gli angeli della dialisi, le infermiere e gli infermieri con i quali c’è
frequentazione, con loro si scherza, e si parla dei figli, della scuola, delle
vacanze, questi angeli sono presenti, attenti. Con i pazienti sono sempre
positivi nonostante i problemi ormai atavici della sanità che qualcuno vuole
privatizzare in toto, che altri vogliono devolvere alle regioni perché facciano
scempio di un servizio che eticamente deve essere orizzontale, uguale per
tutti, ma che vogliono ad ogni costo verticalizzare, se hai soldi ti curi. In
questi anni, fra un buco e l’altro, ho visto doppi turni sfiancanti, riposi
negati ed altre oscenità per carenza di personale. Ma loro erano sempre lì, con
un sorriso ed una professionalità degna di considerazione, stipendi e
riconoscimenti più elevati.
Dietro ogni dializzato ci sta una famiglia legata a filo
doppio ai turni di dialisi, alla difficoltà di muoversi senza prevedere un
posto dialisi altrove, ma ci sta la speranza che a volte sembra miraggio, il
trapianto.
I donatori non sono in eccesso purtroppo, anzi. Veramente
non comprendo quale perversione faccia dire no a chi rinnova la carta
d’identità e riceve la domanda di rito “vuole essere donatore di organi?”
Certo, se il parlamento definisse una volta per tutte il silenzio assenso (se
non dici no motivato all’espianto sei donatore d’ufficio), legge approvata 20
anni fa ma ancora, colpevolmente, mancano i decreti attuativi, le cose
sarebbero forse migliori.
Però ogni tanto succede, la campana ha suonato, nel bene
questa volta, anche per me.
Era l’8 agosto, una giornata intensa, alle cinque del
mattino a Brindisi ad accompagnare mio figlio che partiva, poi Lecce tutto il
giorno per incombenze, poi Castro per cenare e dormire. Solo che alle 21,30
squilla il telefono, 080, Bari, “buona sera ,chiamo dal centro trapianti, c’è
una donazione di reni, donatrice 77 enne reni in perfetto stato, lei è il primo
in lista”. Mi sono preso un’ora di tempo però non potevo esimermi, dopo tre
chiamate nell’anno andate male per vari motivi. Così nella notte si va a Bari,
dal momento del ricovero ci si mette nelle mani del personale sanitario, poi la
barella, la sala operatoria, la bella anestesista che mi dice “ora le faccio
una preanestesia” . Mi sono svegliato otto ore dopo già trapiantato e in
terapia intensiva per controlli costanti dei valori. Tutto bene insomma, il
rene funziona egregiamente, poi il decorso post operatorio, poi le dimissioni
dopo 13 giorni di degenza.
Dopo la terapia intensiva sono stato in una camera a due
letti con una persona meravigliosa. Francesco ha appena compiuto 29 anni. Subì
un primo trapianto di rene a 5 anni, durò fino ai suoi 24 poi il rene si
spense, dopo 5 anni di dialisi altro trapianto donato da un angelo speciale,
sua mamma, trapianto da vivente. E’
ricoverato da oltre un mese Francesco, si sommano problemi su problemi,
nonostante ciò è sempre positivo, sorridente, con la battuta pronta,
invidiabile indole. Da “veterano” mi ha aiutato molto a capire come funziona il
tutto ed era sempre disponibile ad aiutarmi in ogni cosa.
Poi ho conosciuto altri trapiantati, giovani, quarantenni o
giù di li. In Italia ci sono 7073 pazienti in lista d’attesa solo per il rene,
molti i giovani, per questo non si comprende la perversione dei no. Portarsi
gli organi in una bara è uno schiaffo a chi soffre e potrebbe elevare la
qualità della sua vita, ne parla anche Papa Francesco quando dice “«La
donazione degli organi risponde ad una necessità sociale perché, nonostante lo
sviluppo di molte cure mediche, il fabbisogno di organi rimane ancora grande».
Quindi nessun alibi, né per i credenti, né per chi credente non è.
L’accanimento del no è veramente incomprensibile.
Il giorno dopo il trapianto, ancora un po' acciaccato, leggo
su Lecceprima
di una donatrice settantasettenne di Lecce, è stata sicuramente il mio
passaporto verso la rinascita. A quel punto si affollano mille pensieri nella
testa, si rincorono emozioni e gratitudine, sicuramente non chiederò chi era la
mia donatrice, questione di etica, però ho
un debito infinito. E il contraccolpo psicologico presenta il conto, è inevitabile,
alla gioia per l’operazione riuscita si sostituisce un senso di velata
malinconia immaginando gli occhi, i gesti della mia donatrice, immaginando, se
possibile, i suoi sogni. E di solidarietà con il lutto dei familiari. Un dono
di organi, tutto sommato, è anche un modo per continuare a vivere, per vincere
anche quella che Guccini chiamò “il manto della grande consolatrice”.
Ora ho il dovere di trattare bene questo organo che mi ha
permesso di liberarmi dalla dialisi, ma anche per rispetto della mia donatrice
e dei suoi familiari.
Il fratello di Francesco venne a trovarlo e ci portò due
creme caffè. Il barista, visto che erano per l’ospedale, chiese “per una
nascita?” “No, per una rinascita”. Sintesi efficace e vera.