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sabato 25 agosto 2018

Immigrati, Persone.


“Spezzata, recisa, dimenticata. La radice etimologica di una delle parole chiave del novecento, la parola “persona”, è scomparsa, da tempo, dalla nostra memoria. Uno strano incidente della storia. Eppure è ancora lì, sotto uno strato di terra leggera: basta soffiare via la polvere dell’oblio e la ritroviamo intatta, ancora viva, per miracolo. Al contrario di ciò che si potrebbe immaginare contano poco, nel costruire il significato primo di “persona”, l’idea di indentità, di coscienza, tanto meno di humanitas. Categorie della modernità, incrostazioni della cultura occidentale, sempre preoccupata di associare al termine “persona” un qualche attributo rassicurante: umana, razionale, buona, equilibrata, consapevole. Le origini della persona stanno da tutt’altra parte: non nelle cerimonie secolari dell’era moderna, bensì nei riti arcaici dell’antichità, non nel regno dei vivi e della loro periciclante ragione, bensì nel regno dei morti e delle loro brucianti oscurità…
La parola latina “persona” deriva infatti da un termine estrusco, Phersu da cui proviene a sua volta phersona. Con questa grafia la si ritrova in molte iscrizioni tombali italiche risalenti all’800 avanti Cristo, in particolare nella regione di Chiusi, ed ha un significato ben preciso: sta ad indicare la maschera funebre. Gli etruschi avevano l’usanza, come moltissimi popoli arcaici, di coprire il volto dei morti con una maschera in bronzo o terracotta che riproduceva esattamente il volto del defunto, per proteggere i morti dai demoni, ma anche per essere protetti dai poteri magici che i morti acquisivano una volta giunti nell’oltretomba. Persona era dunque chi aveva oltrepassato la porta simbolica che divide l’universo dei non ancora morti da quello dei non più vivi….
E ancora: Secondo alcuni etimologi illustri, “persona” deriverebbe anche dal latino
per-sonare, ossia, letteralmente, parlare attraverso. Ma attraverso cosa? Una maschera, un’altra maschera, anche se assai diversa da quella che riposa sul volto dei defunti.  E’ la maschera della tragedia attica, ma anche della farsa, l’attore indossava sia per assumere le sembianze del personaggio, sia per amplificare la voce…. Persona in questo caso è dunque chi parla al di fuori di sè stesso, chi mette in scena il tragos, chi getta lontano da sé la propria voce, insomma, chi vuol farsi sentire….

(Dalla prefazione di Guido Barbieri al libro di Lireta Katiaj: Lireta non cede. Ed. Terre di Mezzo)



Persone, maschere, morti nel loro viaggio verso l’aldilà, vivi che recitano, urlano per farsi sentire. Persona, parola che diventa sempre più evanescente in questi tempi cupi per la pietas, per la condivisione, per l’accoglienza. Dietro ogni sguardo, dietro ogni volto ci sta una persona, con un suo vissuto, una storia, mille storie. Invece stiamo omologando tutto su un terreno perfido, infido, irrealmente antidemocratico. “Migranti” “clandestini” “negri” “terroni” “puttane”. Si massifica tutto, e si offre il fianco al peggiori di tutti i mali: il razzismo. Quando un immigrato ruba non è un ladro come il suo omologo italiano, è “vengono tutti qui per rubare”. Esattamente come quando in altri luoghi si diceva “italiani mafia”. E questo modo disumanizzante e massificante di vedere autorizza i più idioti a prendersela con ogni persona di colore diverso dal suo. Fomentati in questo da una “nuova” politica, da un “nuovo” ministro degli interni che nei fatti autorizza a massificare il pensiero anziché farsi carico, come vorrebbero le regole della Democrazia, di distinguere il clandestino dal richiedente asilo, il terrorista dalle migliaia di persone per bene che cercano solo sopravvivenza. Persone, appunto, ognuna con una storia da raccontare, ognuna con degli affetti, figli, mogli, mariti, genitori. Proprio come gli italiani, nello stesso identico modo.
Persona, una parola che dobbiamo ad ogni costo riproporre in ogni luogo, senza più generalizzare, perché se chiamiamo clandestini le persone (una ad una) che chiedono asilo o vogliono solo sopravvivere, diventiamo parte di un gioco terrificante al massacro, la distruzione delle individualità, delle eccellenze, e anche della mediocrità, dignitosa essa stessa perché essere nella media è essere persone a pieno diritto.
Tuttavia la deriva in Italia e in parte dell’Europa è partita, il cancro sta espandendo le sue pericolosissime metastasi. Allora, per citare Lenin, “che fare?” La parte della società, quella che faceva e fa riferimento alle sinistre, ai movimenti che hanno come valore la Democrazia delle Persone, la Costituzione, quegli stessi movimenti che l’hanno difesa da uno stravolgimento iniquo e dannoso, stanno viaggiando da soli, senza un filo rosso che le leghi. Quello che un tempo si chiamava partito, poi movimento, ora è tutto evaporato.  
Gli stravolgimenti dell’ultimo decennio sono stati epocali e catastrofici per il concetto stesso di democrazia parlamentare, si è passati dal ragionamento e dalla discussione, ai tweet, a facebook, a talk show dove chi urla più forte, chi parla sulle parole degli altri, chi santancheizza ha la meglio e divide le persone in fazioni, in guelfi e ghibellini. Si è passati dalle scuole quadri di antica tradizione ai messaggini. Siamo all'assurdo che un ministro degli interni per bloccare una nave italiana in un porto italiano lo comunica su Facebook anziché utilizzare canali istituzionali più dignitosi. Ma per fare scelte dignitose occorre dignità.  Così le persone diventano ostaggi della non comunicazione, o meglio, della comunicazione “di pancia”. “dagli all'immigrato che è il nemico” “Caccia spietata ai venditori di cocco sulle spiagge”. Il tutto mentre ci si dimentica delle mafie, non si fa un accenno che sia uno sulla corruzione, non si risponde a chi chiede che fine abbiano fatto i 49 milioni rubati dalla lega nord, si cacciano i venditori di collanine a un euro e si chiudono due occhi sui grandi evasori.
Che fare allora? Quelle forze democratiche, che ancora vedono le persone, gli individui e non masse indistinte, amalgami informi di ladri, puttane e violentatori, quelle forze che nella società esistono ma sono senza un riferimento politico che debbono fare? Avvoltolarsi negli eterni dibattiti delle sinistre che fanno i distinguo per la differenza del colore degli occhi? Stare ad aspettare il leader carismatico che appena sembra fare capolino viene giustiziato sulla pubblica piazza da gruppetti che assieme contavano il 2% ma che si sono scissi per motivi ignoti ai loro elettori (e molto spesso a loro stessi)? Se ne sono bruciati a decine negli ultimi vent’anni di questi leader più o meno veri, più o meno finti. Si è giocato a birilli con le classi dirigenti. Ora forse, a fronte di una deriva democratica, alla concreta minaccia di restringimento delle libertà individuali, con sottosegretari e ministri che tengono in ostaggio su una nave persone al limite della sopravvivenza, che decretano che i vaccini sono “obbligatori facoltativamente”, che vogliono uscire dall’Europa senza una prospettiva di come farlo e cosa fare dopo. A fronte del rialzare la testa di movimenti fascisti, delle ronde di forza nuova e casa pound che si arrogano il diritto, con il complice silenzio del ministro degli interni, di chiedere la licenza ai venditori di cocco sulle spiagge, forse è il caso di pensare seriamente ad un nuovo CLN che unisca le persone sinceramente democratiche. E sono molte. C’era chi sperava nel movimento SRL della Casaleggio e associati, l’aziendina di famiglia che pilota i cinque stelle, si sperava, forse con qualche ragione, che avrebbero dato uno scossone alla vita politica, invece si sono rivelati la peggior sciagura per la democrazia. Si prostrano ai voleri di quello della lega, gli fanno da scendiletto e avallano, da complici, le sue scelte xenofobe, razziste e antidemocratiche. C’è chi dice che sono ingenui in buona fede, nei fatti però sono colpevolmente complici di questa deriva antidemocratica. Ripartiamo dal basso, facciamo capire ai partiti democratici che stanno all'opposizione a questo governo che esiste una base ampia che vuole ad ogni costo e con ogni strumento riappropriarsi della democrazia. Forse siamo ancora in tempo.