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sabato 28 maggio 2016

David D'aprile, il pittore che esce dal quadro

David D'aprile
E’ timido, David, si nasconde dietro un sorriso apparentemente sereno, in realtà inquieto, te ne accorgi solo parlando, facendo domande, aspettando risposte. David è uno degli innumerevoli 
artisti che costellano questo Salento guizzante fra parole scritte, dipinti, sculture, è un flusso continuo di creare cultura.
Così David esce dal quadro perchè vuole raggiungere lo spettatore. Ricordiamo Fontana e il suo taglio che andava oltre la tela, quasi a significare che tutto era stato detto e  che occorreva andare oltre i recinti, le cornici.

David D’Aprile invece di trapassare la tela si protende verso lo spettatore, lo tocca quasi, ammicca. E’ il caso dell’ultimo lavoro, una Marilyn che non è Marilyn ma l’icona che lei rappresenta, bionda, vistosa, bella, con il dito medio proteso verso l’alto che esce dal quadro e potrebbe indicare  il cielo ne senso più ampio del termine oppure, più prosaicamente, il luogo dove “ti ci mando”.
“Marilyn sono io, ero in un periodo di rabbia, molti hanno troppo e forse non lo meritano. Quel dito che indica il cielo in realtà vuol dire altro, è una provocazione. Certo, Marilyn era fragile, si suicidò, però era anche forte e rompeva gli schemi. Era bellezza e ansia. La mia bellezza, quella che definisco tale, la esprimo nel quadri ma anche nel lavoro al bar. Tento di sorridere sempre” mi racconta l’artista .
Lui che ha creato la “break painting” partendo dai manga di cui era appassionato divoratore nell'adolescenza, li ha riprodotti, ridisegnati, così ecco arrivare Goku di Dragon Ball, ed ecco altri cartoons riproposti.
Panoramica di lavori
“Ho iniziato da Dragon Ball quando ne guardavo i cartoni da ragazzino e mi coinvolgeva, così lo riproducevo, poi è cresciuto con me”.
E’ autodidatta, David, anche se, dice, “Ho fatto l’istituto d’arte,  oreficeria, mi ci sono iscritto per stare con gli amici che facevano quel corso. Però All'istituto d’arte il disegno era prettamente e giustamente tecnico, bracciali, anelli e gioielli, la mia natura era invece quella di creare, copiare e fare “miei” i personaggi che amavo”.
Solo dopo l’artista ha sentito il bisogno di toccare i personaggi, di renderli almeno in parte tridimensionali, è questa la novità. Così la pittura, rigorosamente in acrilico, si fonde con la scultura con tecnologia delle stampanti in 3D che permettono di ricostruire il braccio che esce dal quadro, l’aereo che si schianta contro due torri gemelle che sono diventate magicamente due matite in omaggio a Charlie Ebdò.  
E dietro ogni quadro ci sono ore di lavoro, c’è tensione emotiva, soprattutto c’è un messaggio in ogni manga, ogni fumetto, ogni pennellata. L’abbiamo incontrato al tavolino del bar di famiglia dove lavora e dove stanno esposti alcune sue opere, dal “servire” caffè dietro al bancone assecondando richieste e gusti del cliente, alla libertà di esprimersi, dopo il lavoro, nel senso più intimo del termine, nel suo caso con la pittura. Fino ad agosto tutto funzionerà così, poi arriverà il primo figlio di David e della sua compagna, allora tutto cambierà, tutto ma non la verve creativa, immaginiamo.

Leggo sul tuo sito che sei daltonico. Un pittore daltonico non è un controsenso?

Mi aiuta la mia compagna, Quando sono in crisi con la scelta dei colori lei mi dà una mano, i fondamentali li distinguo, per gli altri mi lascio aiutare.

Cos’è la pittura per te?

Io sono barista  il locale è di famiglia, qui lavoro, il cliente decide e chiede. Quando dipingo sono io ed io solo, se un caffè è cattivo lo rifaccio, un quadro può piacere o meno, però rimane com’è perché io ho scelto di farlo così.

Parliamo dei tuoi periodi, vediamo ad esempio quello che chiami “Inizio senza fine”

Dopo l’attentato a Charlie Ebdo volli fare un omaggio alle vittime, così riproposi e ne rielaborai una copertina. In realtà fu un lavoro fatto d’impeto, in poche ore, il pathos era grande e temo che quello fosse solo l’inizio di una catastrofe della quale non vedo fine.
Marilyn

Un altro lavoro che trovo inquietante e forte è quello che chiami “esci dal buio”

Il fondo nero e le figure che si stagliano sono un urlo contro la violenza sulle donne. Il buio del quale sono a volte prigioniere è il loro silenzio e la paura di denunciare, comprensibile ma aggiunge violenza a violenza. Comprensibile perché questa società non le aiuta. Si, il buio è l’omertà, la paura, l’ansia. In fondo è un messaggio comune anche ad altre situazioni, penso all’usura, al pizzo.

Marylin, particolare
Che mi dici di Equità Italiana?

Sono commerciante, pensavo al padre di famiglia che la fa finita, quanti suicidi di cui non conosciamo i motivi? Molti però, a parer mio, sono riconducibili a rapporti con Equitalia. Tutti abbiamo qualche problema più o meno grande con questa struttura.

Perché esci dal quadro?

Non è scelta sol estetica. A livello inconscio ho scoperto che avevo la necessità di uscire fuori. In famiglia siamo io e mio padre maschi, poi ho quattro sorelle e la mamma, io sono il “piccolo” di casa e mi sono trovato con l’esigenza di proiettarmi fuori.
L’arte è estrema libertà, fuga. Quando sentii l’esigenza di toccare dragon ball lo dipinsi, poi comprai una mano finta e ci studiai su, nacque così quella che chiami pittura/scultura.

Altro periodo tuo è “il bene e il male”

Esci dal buio, partiolare
Vidi un Cristo crocifisso e lo riprodussi, dietro il cielo era plumbeo, nuvole nere. La mia compagna prima, poi le mie sorelle mi dissero che quello non era Cristo, ma era il mio autoritratto, qualcun altro vide il mostro disegnato dalle nuvole. Avevano tutti ragione, ero l’unico a non essermene accorto. Da lì il bene e il male.

Ma il male qual è?

La società, l’essere umano non è un bene in senso assoluto. Vedi come abbiamo ridotto l’ambiente, vedi le guerre, non credo che questo mondo abbia vita eterna.

Quindi la tua pittura è autobiografica

Certo che si, in ogni quadro c’è qualcosa di mio, ci sono io. Molte volte ho scoperto di essermi “riprodotto”, spesso a mia insaputa.

Le  vetrine  che hai fatto cosa sono?

Una persona amica, sapendo che dipingevo ma che non avevo la forza ed il coraggio di uscire fuori con i miei quadri, di farli vedere, mi disse “rompi il ghiaccio, hai un bar, dipingi qualcosa sulle vetrine, così ti esponi in modo neutro, l’opera è tua, le persone lo sanno e tu trovi il coraggio di far vedere quello che sai fare”. Lo feci e mi accorsi che le mie ansie erano infondate, i clienti guardavano con stupore. Il primo fu un Babbo Natale, ora c’è Lilli e il Vagabondo, in mezzo dipinsi i Simpson, la Sirenetta ed altro.
Matador, particolare

Nei tuoi dipinti ho visto un torero, però vince il toro.

Si, la vittima è il torero perché non ha il diritto di eliminare un altro essere vivente. Torna il discorso dell’uomo che distrugge. No, faccio vincere il toro.

Parlami del tuo lavoro sul bowling

Io mi sento il tiratore e forse voglio fare strike di chi mi vuole frenare.

Fra pochi mesi avrai un figlio, come sarà?

Ti posso dire che mi cambierà la vita. Ho un pò timore, non so cosa succederà, sono ansioso e curioso. Se volessi paragonarlo ad uno dei miei quadri mi piacerebbe che fosse una Marilyn, non troppo buono, con il coraggio di sollevare il dito al cielo. A ben pensare forse mi piacerebbe anche fosse un toro che incorna chi gli vuole male.

Il futuro?

E chi lo sa, ora c’è Marilyn

Per chi volesse contattarti?

C’è la pagina facebook Break painting, un sito www.breakpainting.it ed una mail davidaprile25@gmail.com















venerdì 27 maggio 2016

Pensieri liberi, di giapponesi con la pelle chiara e di smartphone

Sono intruppati in gruppo compatto i turisti giapponesi. Il sole scalda, le signore, quasi tutte, aprono i loro ombrelli, funzionano sia con la pioggia che con il sole.
Pensavo, un tempo, si trattasse di problemi di pelle delicata o che altro diamine. Poi ho letto che cinesi e giapponesi inurbati vedono malissimo l’abbronzatura. Questione di ceto, ad essere obbligatoriamente abbronzati là sono i contadini, un cittadino deve essere color avorio, scolorito, pallido, emaciato. Questione di ceto e di abitudini, con buona pace di chi, italiano da generazioni, sta ore con il faccione esposto al sole per diventare color cuoio, spesso incartapecorito. Ci sono in commercio migliaia di creme e oli abbronzanti, alcuni colorati con qualcosa tipo mordente noce per mobili. Succede spesso di mettere i piedi in mare e di vederli avvolti da chiazze oleose. Un tempo era catrame sversato da chissà dove, ora, molto spesso, è la signora che sta sguazzando serena con una patina di olio addosso che la rende idrorepellente e le crea tutto attorno la malevola chiazza. A farne le spese è l'ecosistema marino tutto, poi dici la TAP.
E al mare, come in ogni altro luogo: bar, ristoranti, in chiesa, al cinema e ovunque possiate immaginare di essere, oggi più che mai è tempo di smartphone. Ora hanno fatto anche quello che si può usare in acqua, mica vuoi nuotare senza facebook addosso. Gente che cammina con lo sguardo sullo schermo, altri con l’auricolare, giusto per non sentire i cinguettii di quelle oscene rondini che rompono i maroni. 
Nell'immagine evocativa di dagospia si vede la faccia di un camminatore risucchiata dallo smartphone e la notizia che in Germania questi individui vengono chiamati "smombies" (Zombi con lo smartphone). 


Ero in pizzeria, arriva una giovane coppia, si siedono a un tavolino e immediatamente ognuno di loro prende in mano il malevolo aggeggio tecnologico e legge e digita. Le uniche parole le hanno scambiate (in tutta fretta) con il cameriere per chiedere la pizza e la birra, poi di nuovo sprofondati nello schermo.
Io non ho WhatsApp, l’avevo installato e dopo due giorni l’ho eliminato dalla mia vita. Successe in quel poco tempo che venni inserito a mia insaputa in tre gruppi dei quali poco mi fregava. E’ vero, potevo togliermi, però voglio il privilegio di decidere io a quali gruppi appartenere e con chi. Questione di privacy, in fondo. Invece non è così, chiunque tu abbia in rubrica ti può inserire nel gruppo a difesa dagli immigrati come in quello "circoncisi è meglio". Senza dire del fatto che ognuno degli iscritti (mai meno di 50 altrimenti è out) si sente in dovere di inviarti le foto del cagnolino, come del cetriolo che sta tagliando per l’insalata. La memoria si intasa perchè il meledetto memorizza ogni cosa come un'idrovora.  

Con i primi cellulari era uno status symbol possederne uno, visti i costi esorbitanti dell’apparecchio e delle chiamate. Poi divenne status non averlo perché tutti l’avevano. Oggi è praticamente obbligatorio. Poi i telefoni si sono evoluti fino al famigerato spartphone. Da allora è apoteosi di nevrosi, come uno si alza al mattino, immediatamente va a leggere i messaggi, ovunque vai devi rimanere in contatto con il mondo. Contatto virtuale però, guai a guardarsi negli occhi. Temo che fra un po’ sarà status symbol non avere whattsapp. Però aggiro l’ostacolo, appena il mio vecchio (e mai connesso) smartphone defunge, lo sostituirò con un bel cellulare con i tasti, come i telefoni veri, soprattutto senza possibiltà di connessione. Giurassico ma libero.
Ebbene si, oggi si è rintracciabili ovunque. Mala tempora currunt per i mariti puttanieri o per le mogli che vogliono prendere il the con un’amica o un amico in un luogo appartato. Oggi c’è Google maps che ti individua. Leggevo un articolo su Il Sole 24 ore in cui si diceva della nuova applicazione, scrive la giornalista:
“…A vostra insaputa questa applicazione sempre attiva in background, registra ogni vostro spostamento e lo conserva nella sezione I tuoi luoghi alla voce Visitati. La prima volta che sono casualmente arrivata a questo elenco di luoghi, sono rimasta allibita. 3 giorni fa, 1 mese fa, 1 anno fa, Google Maps ricorda tutto, conosce le mie abitudini ed i locali che frequento meglio di mia madre! Preoccupante a dir poco. 
Ma non è tutto, in cima alla lista di luoghi visitati, tra cui bar, aeroporti, ristoranti, case musei e città, è possibile accedere alla cronologia di Google Maps ed andare indietro nel tempo tramite il calendario a tendina in alto. In questo modo non visualizzerete semplicemente gli indirizzi da voi raggiunti, ma anche i percorsi seguiti in macchina, a piedi o tramite mezzi pubblici ed il tempo impiegato per gli spostamenti”.
Chi è che parlava di “grande fratello?”. Bah. Ci siamo cascati dentro a nostra insaputa e con somma gioia, basta guardarsi attorno camminando sotto il cielo, pochi vanno avanti guardando dove dovrebbero, persone di ogni fascia di età guardano in basso, verso lo schermo. Da quando la telefonata iniziava con “come stai?” ad oggi che inizia con “dove sei?” il tempo sembra essere volato. La sciagura dello smartphone e la necessità di sentirsi monitorati vanno di pari passo, emblematici i selfie che vengono immediatamente immessi in rete per l’universo mondo, non ci si deve emozionare alla vista del Mosè o di un Caravaggio, quel che conta è fotografarsi davanti alle opere e inviare la foto sui social per dire “io sto qui”. Non è importante prendersi un caffè seduti in un bar qualunque, ma fotografare la tazzina e inviarla. Così ecco i social inondati da pasta con le cozze, cornetti e capuccini, sorrisi (molto spesso idioti) di chi si mette in posa al mare o su un prato o davanti alla cattedrale.

Chissà domani se si vanterà ancora la ragazza
Comunque questo costume di inviare messaggi a ritmo di cottimista del doverci essere ti dà immediatamente idea dell’età di chi scrive Basta osservare, diceva qualcuno, come digitano:  fino a 25 anni circa si digita con i due pollici camminando, dai 25 ai 40 con un solo pollice, quale sia dipende solo da chi è mancino e chi no. Dopo i 40 ci si ferma, si digita con l’indice, gli occhiali inforcati in punta di naso, maledicendo la tecnologia perché non si riesce a correggere o non si trova il punto interrogativo.
Poi ci sono i sessantenni che amano ridere di gusto inviandosi file un po’ zozzi o barzellette con immagini, ci metteranno mezz’ora ad aprirle, però ci si sente postadolescenti.   
E quando arrivano messaggi ormai c’è uniformità anche nella suoneria, il fischio malefico si sente ovunque, al cinema, a teatro, per strada. E sono talmente tutti uguali che, quando si è in più persone, come un telefono fischietta, tutti a cacciarsi le mani in tasca a tirar fuori l’aggeggio. Perbacco, mica vuoi perdere l’opportunità di rispondere in tempo reale!
No, non mi sento privato da qualcosa senza whattsapp, neppure senza connessione perenne, anzi, mi sento più leggero e con la possibilità di poter raccontare una palla clamorosa “dove sei?” “sto ripassando la consecutio temporum alla mia scrivania e pensando al lento scorrere della vita” posso dire mentre il profumo meraviglioso della pasta con le cozze che mi sta davanti, in un luogo di mare, mi inebria. Vuoi mettere la soddisfazione?


mercoledì 25 maggio 2016

26 maggio 1955 muore Alberto Ascari

Alberto Ascari

Ascari e Villoresi al GPa Monza 1952
Era il 26 maggio 1955, Alberto Ascari venne invitato a Monza a vedere le prove della Ferrari 750. Alla fine delle prove chiese ed ottenne di fare tre giri di allenamento, all’ultimo passaggio l’auto sbandò, capottò e lui morì sul colpo. Finì così la carriera fulminante e vincente di Alberto Ascari. Nato a Milano il 13 luglio 1918, disputò 32 gran premi, 13 li vinse, 17 volte salì sul podio. Campione mondiale nel 1952 e 1953 con la Ferrari, fu l’ultimo pilota italiano a fregiarsi di quel titolo.

domenica 22 maggio 2016

Lecce: Girovagando fra strade e giornali.


Apro il Quotidiano di Lecce e imparo che il Salento ha vinto la sua battaglia, il Frecciarossa arriverà fino a Lecce. Solo la domenica però. Il viaggiatore che viaggia arriverà nella meravigliosa stazioncina di Lecce, verrà accolto dal solito caos e la domenica si dovrà accontentare di quel che passa il Salento. Come ben sappiamo, a Lecce termina il servizio di Trenitalia, un tempo nota come F.F.S.S. (Ferrovie dello Stato) e lascia il posto a Ferrovie del Sudest. Queste ultime sono come un involtino, fuori una una fetta di qualcosa che nasconde l'interno, dentro (dicono gli inquirenti) un gioco di mazzette sprechi e quant'altro. Però il frecciarossista domenicale non sa, e non potrà sapere visto che la domenica la Sudest non viaggia, quindi il malcapitato si fermi in stazione ad aspettare il lunedi. E neppure si sogni di prendere i 21 milioni di filobus (non sono i mezzi che circolano, è quanto l'amministrazione illuminata della Poli Bortone e del suo pupillo Perrone ,attuale sindaco in scadenza come uno yogurt hanno speso per fare tre linee del famigerato filobus, allora lo chiamarono metropolitata di superficie, come chiamare fuoristrada una panda finita in un fosso), bene, il filobus la domenica è soppresso per regio decreto (ops, non è regio). 

E a proposito di filobus, il vigile al quale rivolsi la domanda "finalmente lo smantellano?" mi guardò fra l'incazzato e lo stupito. Succede che l'autista di un camion con gru che trasportava un'edicola intera non si accorgesse dell'altezza della sua gru e che agganciasse i famigerati fili appesi del filobus. Fu blocco totale. 
Però i dirigenti SGM (l'azienda che gestisce i bus urbani) mica hanno tempo da perdere in quisquilie come pensare ai viaggiatori domenicali, loro si preoccupano di pubblicizzare il gioco d'azzardo, pecunia non olet. 

Però a Lecce ora c'è quasi ovunque la raccolta differenziata porta a porta. Da una settimana, dove prima c'erano i cassonetti, esiste una situazione come da foto. Ovviamente denunciamo l'imbecillità di chi ha lasciato questo scempio, in alcuni casi le multe salate dovrebbero essere d'obbligo. Esiste però un altro problema, perchè da una settimana nessuno ritira questa immondizia? Si deve vigilare, mettere telecamere, controllare, però non dovrebbe essere normale che si lasci così una situazione anomala. C'è stata vilazione di regole, però qualcuno dovrà pur rimettere le cose a posto... o no?