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venerdì 27 maggio 2016

Pensieri liberi, di giapponesi con la pelle chiara e di smartphone

Sono intruppati in gruppo compatto i turisti giapponesi. Il sole scalda, le signore, quasi tutte, aprono i loro ombrelli, funzionano sia con la pioggia che con il sole.
Pensavo, un tempo, si trattasse di problemi di pelle delicata o che altro diamine. Poi ho letto che cinesi e giapponesi inurbati vedono malissimo l’abbronzatura. Questione di ceto, ad essere obbligatoriamente abbronzati là sono i contadini, un cittadino deve essere color avorio, scolorito, pallido, emaciato. Questione di ceto e di abitudini, con buona pace di chi, italiano da generazioni, sta ore con il faccione esposto al sole per diventare color cuoio, spesso incartapecorito. Ci sono in commercio migliaia di creme e oli abbronzanti, alcuni colorati con qualcosa tipo mordente noce per mobili. Succede spesso di mettere i piedi in mare e di vederli avvolti da chiazze oleose. Un tempo era catrame sversato da chissà dove, ora, molto spesso, è la signora che sta sguazzando serena con una patina di olio addosso che la rende idrorepellente e le crea tutto attorno la malevola chiazza. A farne le spese è l'ecosistema marino tutto, poi dici la TAP.
E al mare, come in ogni altro luogo: bar, ristoranti, in chiesa, al cinema e ovunque possiate immaginare di essere, oggi più che mai è tempo di smartphone. Ora hanno fatto anche quello che si può usare in acqua, mica vuoi nuotare senza facebook addosso. Gente che cammina con lo sguardo sullo schermo, altri con l’auricolare, giusto per non sentire i cinguettii di quelle oscene rondini che rompono i maroni. 
Nell'immagine evocativa di dagospia si vede la faccia di un camminatore risucchiata dallo smartphone e la notizia che in Germania questi individui vengono chiamati "smombies" (Zombi con lo smartphone). 


Ero in pizzeria, arriva una giovane coppia, si siedono a un tavolino e immediatamente ognuno di loro prende in mano il malevolo aggeggio tecnologico e legge e digita. Le uniche parole le hanno scambiate (in tutta fretta) con il cameriere per chiedere la pizza e la birra, poi di nuovo sprofondati nello schermo.
Io non ho WhatsApp, l’avevo installato e dopo due giorni l’ho eliminato dalla mia vita. Successe in quel poco tempo che venni inserito a mia insaputa in tre gruppi dei quali poco mi fregava. E’ vero, potevo togliermi, però voglio il privilegio di decidere io a quali gruppi appartenere e con chi. Questione di privacy, in fondo. Invece non è così, chiunque tu abbia in rubrica ti può inserire nel gruppo a difesa dagli immigrati come in quello "circoncisi è meglio". Senza dire del fatto che ognuno degli iscritti (mai meno di 50 altrimenti è out) si sente in dovere di inviarti le foto del cagnolino, come del cetriolo che sta tagliando per l’insalata. La memoria si intasa perchè il meledetto memorizza ogni cosa come un'idrovora.  

Con i primi cellulari era uno status symbol possederne uno, visti i costi esorbitanti dell’apparecchio e delle chiamate. Poi divenne status non averlo perché tutti l’avevano. Oggi è praticamente obbligatorio. Poi i telefoni si sono evoluti fino al famigerato spartphone. Da allora è apoteosi di nevrosi, come uno si alza al mattino, immediatamente va a leggere i messaggi, ovunque vai devi rimanere in contatto con il mondo. Contatto virtuale però, guai a guardarsi negli occhi. Temo che fra un po’ sarà status symbol non avere whattsapp. Però aggiro l’ostacolo, appena il mio vecchio (e mai connesso) smartphone defunge, lo sostituirò con un bel cellulare con i tasti, come i telefoni veri, soprattutto senza possibiltà di connessione. Giurassico ma libero.
Ebbene si, oggi si è rintracciabili ovunque. Mala tempora currunt per i mariti puttanieri o per le mogli che vogliono prendere il the con un’amica o un amico in un luogo appartato. Oggi c’è Google maps che ti individua. Leggevo un articolo su Il Sole 24 ore in cui si diceva della nuova applicazione, scrive la giornalista:
“…A vostra insaputa questa applicazione sempre attiva in background, registra ogni vostro spostamento e lo conserva nella sezione I tuoi luoghi alla voce Visitati. La prima volta che sono casualmente arrivata a questo elenco di luoghi, sono rimasta allibita. 3 giorni fa, 1 mese fa, 1 anno fa, Google Maps ricorda tutto, conosce le mie abitudini ed i locali che frequento meglio di mia madre! Preoccupante a dir poco. 
Ma non è tutto, in cima alla lista di luoghi visitati, tra cui bar, aeroporti, ristoranti, case musei e città, è possibile accedere alla cronologia di Google Maps ed andare indietro nel tempo tramite il calendario a tendina in alto. In questo modo non visualizzerete semplicemente gli indirizzi da voi raggiunti, ma anche i percorsi seguiti in macchina, a piedi o tramite mezzi pubblici ed il tempo impiegato per gli spostamenti”.
Chi è che parlava di “grande fratello?”. Bah. Ci siamo cascati dentro a nostra insaputa e con somma gioia, basta guardarsi attorno camminando sotto il cielo, pochi vanno avanti guardando dove dovrebbero, persone di ogni fascia di età guardano in basso, verso lo schermo. Da quando la telefonata iniziava con “come stai?” ad oggi che inizia con “dove sei?” il tempo sembra essere volato. La sciagura dello smartphone e la necessità di sentirsi monitorati vanno di pari passo, emblematici i selfie che vengono immediatamente immessi in rete per l’universo mondo, non ci si deve emozionare alla vista del Mosè o di un Caravaggio, quel che conta è fotografarsi davanti alle opere e inviare la foto sui social per dire “io sto qui”. Non è importante prendersi un caffè seduti in un bar qualunque, ma fotografare la tazzina e inviarla. Così ecco i social inondati da pasta con le cozze, cornetti e capuccini, sorrisi (molto spesso idioti) di chi si mette in posa al mare o su un prato o davanti alla cattedrale.

Chissà domani se si vanterà ancora la ragazza
Comunque questo costume di inviare messaggi a ritmo di cottimista del doverci essere ti dà immediatamente idea dell’età di chi scrive Basta osservare, diceva qualcuno, come digitano:  fino a 25 anni circa si digita con i due pollici camminando, dai 25 ai 40 con un solo pollice, quale sia dipende solo da chi è mancino e chi no. Dopo i 40 ci si ferma, si digita con l’indice, gli occhiali inforcati in punta di naso, maledicendo la tecnologia perché non si riesce a correggere o non si trova il punto interrogativo.
Poi ci sono i sessantenni che amano ridere di gusto inviandosi file un po’ zozzi o barzellette con immagini, ci metteranno mezz’ora ad aprirle, però ci si sente postadolescenti.   
E quando arrivano messaggi ormai c’è uniformità anche nella suoneria, il fischio malefico si sente ovunque, al cinema, a teatro, per strada. E sono talmente tutti uguali che, quando si è in più persone, come un telefono fischietta, tutti a cacciarsi le mani in tasca a tirar fuori l’aggeggio. Perbacco, mica vuoi perdere l’opportunità di rispondere in tempo reale!
No, non mi sento privato da qualcosa senza whattsapp, neppure senza connessione perenne, anzi, mi sento più leggero e con la possibilità di poter raccontare una palla clamorosa “dove sei?” “sto ripassando la consecutio temporum alla mia scrivania e pensando al lento scorrere della vita” posso dire mentre il profumo meraviglioso della pasta con le cozze che mi sta davanti, in un luogo di mare, mi inebria. Vuoi mettere la soddisfazione?


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