Commenti

Non pubblicheremo commenti anonimi.

sabato 8 giugno 2013

Un pezzo di Lecce


Lecce, angolo via L. Prato - vico degli Alami (foto Giovanna Falco)
dalla pag. Facebook - Lecce si Lecce no


Ph: Giovanna Falco, dalla pagina Fb. Lecce si  Lecce no

venerdì 7 giugno 2013

7 giugno 1926, Gaudi investito da un tram

Casa Batllo
Era il 7 giugno 1926, il primo tram entrato in servizio a Barcellona investì un signore. Aveva un aspetto dimesso, misero, lo portarono all'ospedale Santa Croce, un ospizio per indigenti. Morì il 10 giugno. Venne poi riconosciuto dal cappellano della Sagrada Familia, lui era Antoni Gaudi i Gornet. L’architetto che segnò un’epoca e fece vere rivoluzioni nel suo campo. E quella Cattedrale non riuscì a terminarla, anche se si era ricavato una stanzetta dove viveva proprio in quel cantiere. Era nato il 25 giugno 1852, studente di architettura nella Barcellona della Renaixença, piena di spinte al nuovo e di rivendicazioni di autonomia alle quali aderì e rimase fedele fino alla fine.  
Sagrada familia
Durante gli studi ebbe modo di lavorare con architetti famosissimi e di studiare le nuove metodologie di costruzione, in particolare l’utilizzo del cemento. Fodamentale fu l’incontro con Eusebi Guell che credette in lui diventandone protettore e commissionandogli opere che rimangono nella storia dell’architettura e dell’arte. A soli 31 anni venne chiamato a costruire la Sagrada Familia, opera che resterà incompiuta ma che rappresenta il culmine della sua visione artistica.
Sempre nel 1833 inizia Casa Vicens, nel 1887 la residenza del Conte Guell,  Palazzo Guell,  poi Casa Calvet, che ricevette il premio per la miglior costruzione in Barcellona, e la particolarissima Casa Batllò con il tetto a onde.  Prima di lasciare ogni altro lavoro per dedicarsi alla sola Sagrada Familia, costruì la Casa Millà.
Al suo funerale parteciparono migliaia di persone, nonostante la sua vita solitaria e riservata. L’ “Architetto di Dio”, come venne nominato, è sepolto nella cripta della Sagrada Familia.

“La creazione prosegue incessantemente attraverso l’uomo. Ma l’uomo non crea:
scopre. Coloro che ricreano le leggi della Natura per basare su esse le loro nuove
opere sono collaboratori del Creatore. Chi copia non collabora. Perciò, l’originalità
consiste nel ritorno alle origini” (A. GAUDÍ)



giovedì 6 giugno 2013

Di Cucchi, Stucchi ed altre amenità italiote

Due casi di "referti" strambi, uno dei medici, uno della magistratura. 

12 dicembre 1970: Saverio Saltarelli nel corso di una manifestazione venne colpito al petto da un candelotto lacrimogeno lanciato ad altezza d'uomo dalla polizia e morì. Il referto medico recitava che è morto "per arresto cardiocircolatorio". In sostanza: morì perché il cuore si è fermato.

5 giugno 2013: Vengono assolti i carcerieri di Stefano Cucchi. I giudici stabiliscono che è morto di sete e fame, la colpa è dei medici. Come è noto ed è scritto in ogni manuale di pronto soccorso la morte per fame provoca quanto riscontrato e refertato sul corpo di Stefano: Ecchimosi alle gambe, al viso, mascella fratturata, ecchimosi all'addome, emorragia alla vescica e al torace, due fratture alla colonna vertebrale.  Morì il 22 ottobre 2009 all'ospedale Sandro Pertini.

5 giugno 2013: Un esponente della lega nord PER L'INDIPENDENZA DELLA PADANIA viene nominato alla guida del CO.PA.SI.R. (Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica) che si occupa di servizi segreti. Il signor Giacomo Stucchi, in linea con il suo partito, probabilmente desidera secedere e spaccare l'Italia in due., Mettere un individuo simile alla sicurezza sarebbe come nominare Erode agli asili nido. Per la cronaca rileviamo con soddisfazione che il signor Stucchi si è distinto in passato come firmatario di disegni di legge mportantissimi per il futuro dell'Italia, citiamo in particolare la sua sottoscrizione al D.D.L. per l'Isitituzione del Museo delle Carrozze storiche lombarde nella villa reale di Monza.  

mercoledì 5 giugno 2013

da piazza Tienanmen a piazza Taksim

Piazza Tienanmen (Cina) maggio 1989 - Piazza Taksim (Turchia)  maggio 2013



Ph: www.repubblica.it/esteri/2013/06/02/foto/da_tienanmen.../1/

martedì 4 giugno 2013

14 giugno 1783, in Mongolfiera.

Ph: http://www.turismoitalianews.it/
Joseph era convinto che i fumi del camino o dei falò contenessero uno strano gas che faceva sollevare le cose, il “gas Mongolfier”. Iniziò a fare esperimenti con casse di legno e taffetà, accese la fiamma sotto una cupola e la cassa si sollevò a terra. Coinvolse il fratello Etienne a fare ulteriori esperimenti e il 14 dicembre 1782 un primo volo portò molto in alto quell'oggetto strano che vinceva la forza di gravità. Decisero, i fratelli Mongolfier, di ufficializzare l’evento, lavorarono sodo e il 4 giugno 1783 fecero pubblica dimostrazione  ad Annonay, 10 minuti di volo ad un'altezza (forse) di 1.600 metri. La scoperta fece il giro della Francia e le dimostrazioni vennero fatte a Parigi. Il 19 settembre 1783 alla presenza di Luigi XVI e di Maria Antonietta, il volo decollò con esseri viventi a bordo: un’oca, un gallo ed una pecora. Negli otto minuti di volo gli animali uscirono indenni, superando il test dell’altitudine. Il 21 novembre 1783 il primo volo con esseri umani a bordo sui tetti di Parigi.  

lunedì 3 giugno 2013

Giù le mani dalla Costituzione (Onida e Zagrebelsky)

 "Il cosiddetto presidenzialismo altera gli equilibri costituzionali e riduce le garanzie in favore dell'esecutivo. E' pericoloso e dobbiamo essere del tutto contrari" ...  "Non è nemmeno vero che riformare la costituzione sia un'urgenza. Sono le strutture, le leggi, le amministrazioni che vanno riformate, nel senso indicato dalla nostra carta fondamentale"  Così il presidente emerito della Corte Costituzionale, Valerio Onida,

Da: http://temi.repubblica.it/micromega-online/la-costituzione-non-e-cosa-vostra/ riportiamo l'intervento di Gustavo Zagrebelsky: 

Da anni, ormai, sotto la maschera della ricerca di efficienza si tenta di cambiare il senso della Costituzione: da strumento di democrazia a garanzia di oligarchie. Non dobbiamo perdere di vista questo, che è il punto essenziale. Non è in gioco solo una forma di governo che, per motivi tecnici, può piacere più di un’altra. L’uguaglianza, la giustizia sociale, la protezione dei deboli e di coloro che la crisi ha posto ai margini della società, la trasparenza del potere e la responsabilità dei governanti sono caratteri della democrazia, cioè del governo diffuso tra i molti. L’oligarchia è il regime della disuguaglianza, del privilegio, del potere nascosto e irresponsabile, cioè del governo concentrato tra i pochi che si difendono dal cambiamento, sempre gli stessi che si riproducono per connivenze e clientele. Parlando di oligarchie, non si deve pensare solo alla politica, ma al complesso d’interessi nazionali e internazionali, economico-finanziari e militari, che nella politica trovano la loro garanzia di perpetuità e i loro equilibri.
Ora, di fronte alle difficoltà di salvaguardare questi equilibri e alla volontà di rinnovamento che in molte recenti occasioni si è manifestata nella società italiana, è evidente la pulsione che si è impadronita di chi sta al vertice della politica: si vuole “razionalizzare” le istituzioni in senso oligarchico. Invece di aprirle alla democrazia, le si vuole chiudere o, almeno, congelare. L’incredibile decisione di confermare al suo posto il Presidente della Repubblica uscente è l’inequivoca rappresentazione d’un sistema di complicità che vuole sopravvivere senza cambiare. L’ancora più incredibile applauso, commosso e grato, che ha salutato quella rielezione – rielezione che a qualunque osservatore sarebbe dovuta apparire una disfatta – è la dimostrazione del sentimento di scampato pericolo. Ogni sistema di potere a rischio, o per incapacità di mediare le sue interne contraddizioni o per la pressione esterna da parte di chi ne è escluso, reagisce con l’istinto di sopravvivenza. Ma le riforme, in questo contesto, non possono essere altro che mosse ostili. Per questo, di fronte alla retorica riformista, noi diciamo: in queste condizioni, le vostre riforme non saranno che contro-riforme e il fossato che vi separa dalla democrazia si allargherà. Contro gli accordi che nascondono contro-riforme, noi, per parte nostra, useremo tutti gli strumenti per impedirle e chiediamo a coloro che siedono in Parlamento di prendere posizione con chiarezza e impegnativamente e di garantire comunque la possibilità per gli elettori di esprimersi con il referendum, se e quando fosse il momento.
Soprattutto, a chi si propone di cambiare la Costituzione si deve chiedere: qual è il mandato che vi autorizza? Il potere costituente non vi appartiene affatto. Siete stati eletti per stare sotto, non sopra la Costituzione. Se pretendete di stare sopra, mancate di legittimità, siete usurpatori. Se proprio non vogliamo usare parole grosse, diciamo che siete come la ranocchia che cerca di gonfiarsi per diventare bue. Non è la prima volta. E’ già accaduto. Ma ciò significa forse che ciò che è illegittimo sia perciò diventato legittimo?
Per questo, difenderemo la Costituzione come cosa di tutti e ci opporremo a coloro che la considerano cosa loro. La costituzione della democrazia è, per così dire, il vestito di tutta la società; non è l’armatura del potere di chi ne dispone. La mentalità dominante tra i tanti, finora velleitari, “costituenti” che si sono succeduti nel tempo nel nostro Paese, è stata questa: di fronte alle difficoltà incontrate e al discredito accumulato, invece di cambiare se stessi, mettere sotto accusa la Costituzione. La colpa è sua! Non sarà invece che la colpa è vostra o, meglio, della vostra concezione della politica e degli interessi che vi muovono?
Su un punto, poi, deve farsi chiarezza per evitare gli inganni. Chi vuol cambiare, normalmente, è un innovatore e le novità sono la linfa vitale della vita politica. Per questo, gli innovatori godono d’una posizione pregiudiziale di vantaggio. Ma, esiste anche un riformismo gattopardesco di segno contrario: si può voler cambiare le istituzioni per bloccare la vita politica e salvaguardare un sistema di potere in affanno. Allora, il movimentismo istituzionale equivale alla stasi politica. La stasi solo apparentemente è pace: è la quiete prima della tempesta.
* * *
Anche noi siamo per la pace; vediamo che il nostro Paese ha bisogno di pacificazione, pur se esitiamo a usare questa parola, corrotta ormai dall’abuso. Sappiamo però, anche, che la pace è esigente, molto esigente. Non può esistere senza condizioni. Dice la Saggezza Antica: “su tre cose si regge il mondo: la giustizia, la verità e la pace”. E commenta così: in realtà sono una cosa sola, perché la giustizia si appoggia sulla verità e alla giustizia e alla verità segue la pace. La pace è la conseguenza della verità e della giustizia. Altrimenti, pacificare significa solo zittire chi vuole verità e giustizia, per nascondere segreti, inganni e ingiustizie e continuare come prima. Non è questa la pace di cui il nostro Paese ha bisogno.
Non siamo né i velleitari né i giacobini che ci dipingono. Non crediamo affatto al regno perfetto della Verità e della Giustizia sulla terra. Sappiamo bene che la politica non si fa con i paternoster e temiamo i fanatici della virtù rigeneratrice. Ma da qui a tutto accettar tacendo, il passo è troppo lungo. Siamo disposti alla pacificazione, ma a condizione che, nelle forme e con i mezzi della democrazia, si abbia come fine la ricerca della verità e la promozione della giustizia. Altrimenti, pacificazione è parola al vento. La pacificazione non è un sentimento o una predica, ma è una politica. È, dunque, una cosa molto concreta, difficile e impegnativa, perché non significa stare tutti insieme in un patto di connivenza. Significa combattere le zone oscure del potere, le sue illegalità, i suoi privilegi e le sue immunità; significa operare per la giustizia in favore del riequilibrio delle posizioni sociali, della riduzione delle disuguaglianze, dei diritti dei più deboli, di coloro che la crisi economica ha ridotto allo stremo, spingendoli ai margini della società. Solo questa è pacificazione operosa e veritiera.
Si dice che le “riforme istituzionali e costituzionali” hanno questo scopo. Ma, noi temiamo che, dietro alcune riforme “neutre”, semplificatrici e razionalizzatrici (numero dei parlamentari, province, bicameralismo), ve ne siano altre, pronte a saltar fuori quando se ne presenti l’occasione propizia, le quali con la pacificazione non hanno a che vedere. Piuttosto, hanno a che vedere con ciò che si denomina “normalizzazione”.
* * *
La procedura. Esiste, nella Costituzione (art. 138) una procedura prevista per la sua “revisione”. Ma oggi se ne immagina un’altra, farraginosa e facente capo a un’assemblea, chiamata “convenzione”. Si sta cercando la via per una spallata per la quale le procedure ordinarie, per la volontà impotente delle forze politiche, non sono sufficienti? Già il nome induce al dubbio che di ben altro che di una “revisione” si tratti. Le “convenzioni costituzionali” (a iniziare da quella di Filadelfia del 1787) possono essere convocate con limitati compiti riformatori, ma poi prendono la mano e pretendono di essere “costituenti”, cioè di scrivere nuove costituzioni. Il fatto poi che qualcuno abbia fatto riferimento a una “Commissione dei 75”, come la “Commissione per la Costituzione” che elaborò ex novo la vigente Costituzione del 1947, non fa che rafforzare questa supposizione, confermata dal fatto che ritorna il linguaggio e la mentalità della “grande riforma”. Par di capire che si voglia la riscrittura ex novo dell’architettura della politica. L’odierna procedura – da quel poco che si capisce e dal molto che non si capisce – è un miscuglio in cui sono messi insieme parlamentari ed “esperti”, scelti dai partiti, presumibilmente in proporzione alle forze che compongono il Parlamento. Il prodotto dovrebbe passare per le commissioni “affari costituzionali” e giungere alle Camere, separate o riunite (presumibilmente per superare l’ostilità del Senato), per concludersi con l’approvazione, non senza una concessione alla democrazia del web. Il voto finale dovrebbe essere un “prendere o lasciare” (su tutto il “pacchetto” o sulle singole parti, non si sa), senza possibilità di emendamento. Poiché un tale procedimento è totalmente estraneo alla Costituzione vigente, le è anzi contrario, s’immagina che poi, con una legge costituzionale si ratificherà l’accaduto. Non è nemmeno il caso di commentare in dettaglio questo pasticcio annunciato: la legge costituzionale di ratifica ex post non è essa stessa la confessione che quel che intanto si fa è fuori della Costituzione? i “garanti della Costituzione” non hanno nulla da eccepire? la convenzione nascerebbe come proiezione di un parlamento eletto con una legge elettorale che, col premio di maggioranza, altera profondamente la rappresentanza, ma non s’è sempre detto che le assemblee con compiti costituenti devono essere “proporzionali”? gli “esperti”, scelti dai partiti, saranno dei “fidelizzati”? il loro compito non si ridurrà alla “copertura” delle posizioni di chi li ha scelti con quello scopo? come si esprimeranno: con una voce sola, che fa tacere i dissidenti, o con più voci? se le opinioni saranno diverse – come necessariamente dovrà essere se gli “esperti” saranno scelti senza preclusioni – che cosa aggiungerà il loro lavoro a un dibattito che, tra gli esperti, dura già da più di trent’anni? se saranno chiamati a votare, cioè a scegliere, non avremmo allora dei tecnici chiamati a esprimersi politicamente? in fine, come potrebbero i parlamentari degnamente accettare l’umiliazione del voto bloccato “sì-no” sulle proposte della Convenzione? Questi arzigogoli contraddittorii non sono forse il segno della confusione in cui si caccia la volontà, quando è impotente?
Il presidenzialismo. Nel merito della riforma, ancora una volta, dietro le quinte s’affaccia la volontà di presidenzialismo: “semi” o intero. L’argomento sul quale, da ultimo, si basano i presidenzialisti, è il seguente: i tempi della presidenza Napolitano hanno visto una trasformazione “di fatto” dell’ordinamento, in questo senso. Non è allora naturale che si costituzionalizzi, regolandolo, quanto è già avvenuto? A questo riguardo, però, occorre distinguere. Una cosa è l’espansione dell’azione presidenziale utile a preservare le istituzioni parlamentari previste dalla Costituzione, nel momento della loro difficoltà, in vista del ritorno alla normalità. Altra cosa è l’azione che prelude a trasformazioni per instaurare una diversa normalità. Queste contraddicono l’obbligo di fedeltà alla Costituzione che c’è, obbligo contratto da chi fa parte delle istituzioni. Aut, aut. Non sono rispettosi dei doveri costituzionali presidenziali, e del Presidente medesimo, i sostenitori dell’avvenuta trasformazione della “costituzione materiale”. Il “garante della Costituzione” agisce per preservarla o per trasformarla?
Noi temiamo che il presidenzialismo, quali che siano le sue formulazioni e i “modelli” di riferimento, nel nostro Paese non sarebbe una semplice variante della democrazia. Si risolverebbe in una misura non democratica, ma oligarchica. Sarebbe, anzi, la costituzionalizzazione, il coronamento della degenerazione oligarchica della nostra democrazia. Sarebbe la risposta controriformista alla domanda di partecipazione politica che si manifesta nella nostra società al tempo presente. L’investitura d’un uomo solo al potere, portatore e garante d’una costellazione d’interessi costituiti, non è precisamente l’idea di democrazia partecipativa che sta scritta nella Costituzione, alla quale siamo fedeli.
Controlli. Il senso concreto del presidenzialismo che viene proposto in questa fase della nostra vita politica si chiarisce minacciosamente anche con riguardo ad altri due temi all’ordine del giorno dei riformatori costituzionali: l’autonomia della magistratura e la libertà dell’informazione. Ogni oligarchia ha bisogno di organizzare e gestire il potere in maniera nascosta, segreta. Ma la democrazia è il regime in cui il potere pubblico è esercitato in pubblico. La pubblicità delle opere dei governanti, è la condizione della loro responsabilità. Il potere non responsabile è autocratico, non democratico. Qual è il rimedio contro la chiusura del potere politico su se stesso? È la conoscenza veritiera dei fatti. E quali sono gli strumenti di tale conoscenza? Le indagini giudiziarie e le inchieste giornalistiche. Per nulla sorprendente è che chiunque si trovi ad esercitare un potere oligarchico sia ostile alla libertà delle une e delle altre, quando forse, invece, trovandosi all’opposizione, l’aveva difesa a spada tratta. Nulla di sorprendente: non sorprendente, ma certamente inquietante la concomitanza di proposte restrittive dell’azione giudiziaria e giornalistica con i progetti di riforma del sistema di governo. Chi ha a cuore la democrazia non può ragionare secondo la logica contingente della convenienza, ma deve difendere la libertà della pubblica opinione, indipendentemente dal fatto che questa libertà possa giovare o nuocere a questa o quella parte, a questi o quegl’interessi.
La legge elettorale. La riforma della legge vigente è riconosciuta come emergenza democratica, da tutti e non da oggi. Dopo che la Corte costituzionale, con l’improvvida sentenza che aveva dichiarato inammissibile il referendum che avrebbe ripristinato la legge precedente (soluzione realisticamente prospettata, fin dall’inizio, da Libertà e Giustizia), tutti dissero in coro: riforma elettorale, fatta subito con legge. Si è visto. Anche oggi si ripete la stessa cosa, ma con quali prospettive? Esiste una convergenza di vedute in Parlamento? È difficile crederlo e già emergono le resistenze. I due maggiori aspetti critici della legge attuale, dal punto di vista della democrazia, sono l’abnorme premio di maggioranza e le liste bloccate. Ma il premio di maggioranza farà gola ai due raggruppamenti maggiori che, sondaggi alla mano, possono sperare di avvalersene. Le liste bloccate (i parlamentari “nominati”) sono nell’interesse delle oligarchie di partito e degli stessi membri attuali del Parlamento, che possono contare sulla ricandidatura facile, tanto più in mancanza d’una legge sulla democrazia nei partiti, anch’essa sempre invocata (subito la legge!) quando scoppia qualche scandalo. Dal punto di vista della funzionalità o governabilità del sistema, occorrere poi eliminare il diverso metodo di attribuzione del premio di maggioranza nelle due Camere, ciò che ha determinato la vittoria di un partito nell’una, e la sua sconfitta nell’altra. Il ritorno al voto con questa incongruenza sarebbe come correre verso il disastro, verso il suicidio della politica. Ma anche a questo proposito, non si può essere affatto sicuri che calcoli interessati, questa volta non a vincere ma impedire ad altri di vincere, non abbiano alla fine la meglio. Il Capo dello Stato ha minacciato le sue dimissioni, ove a una riforma non si addivenga. Altri immaginano una riforma imposta dal Governo con decreto-legge. Sono ipotesi realistiche? Possiamo davvero immaginare che un Presidente della Repubblica, che porti le responsabilità inerenti alla sua carica, al momento decisivo sarebbe pronto a sottrarvisi, precipitando nel caos? Quanto al Governo, possiamo credere ch’esso possa agire facendo tacere al suo interno le divisioni esistenti tra le forze parlamentari che lo sostengono, le quali sarebbero comunque chiamate a convertire in legge il decreto (senza contare – ma chi presta più attenzione a questi dettagli? – che la decretazione d’urgenza è vietata in materia elettorale).
* * *
E allora? C’è da arrendersi a questa condizione crepuscolare della democrazia? Al contrario. C’è invece da convocare tutte le energie disponibili, dovunque esse si possano trovare, proprio come abbiamo cercato di fare con questa pubblica manifestazione. Per raccogliere in un impegno e in un movimento comune la difesa e la promozione della democrazia costituzionale che, per tanti segni, ci pare pericolare. Dobbiamo crescere fino a costituire una massa critica di cui non sia possibile non tenere conto, da parte di chi cerca il consenso e chiede il nostro voto per entrare nelle istituzioni. Per questo dobbiamo riuscire a spiegare ai molti che la questione democratica è fondamentale; che non possiamo rassegnarci. Essa riguarda non problemi di fredda ingegneria costituzionale da lasciare agli esperti, ma la possibilità, da tenere ben stretta nelle nostre mani, di lavorare e cercare insieme le risposte ai problemi della nostra vita. Domandare pace, lavoro, uguaglianza e giustizia sociale, diritti individuali e collettivi, cultura, ambiente, salute, legalità, verità e trasparenza del potere, significa porre una domanda di democrazia. Non che la democrazia assicuri, di per sé, tutto questo. Ma, almeno consente che non si perda di vista la libertà e la giustizia nella società e che non ci si consegni inermi alla prepotenza dei più forti.

domenica 2 giugno 2013

Piazza Sant'Oronzo (O dei coglioni?)



Piazza Sant'Oronzo, che ora potremmo soprannominare alla toscana “Piazza de’ coglioni di mulo”, è inquietante in questi giorni. Occupata militarmente da una settimana per allestire improbabili gazebo di plastica per un'esposizione di tre giorni, poi, probabilmente, un’altra settimana per smontare il tutto, oltre la candida plastica c’è un finto antico in finta pietra lecce in polistirolo e mercanzie varie.
Ci sono molti modi di intendere città, cultura e commercio. Di intendere la bellezza nel suo significato più alto. Come dice Carlo Salvemini in un suo post su Facebook, citando i 100 passi: “e allora, invece della lotta politica, la coscienza di classe, tutte le manifestazioni e ste fissarie, bisognerebbe ricordare alla gente cos'è la bellezza, aiutarla, riconoscerla, difenderla… Le bellezza… è importante la bellezza, da quella scende giù tutto il resto…” Ecco, forse sta in queste poche parole il senso del bello, dell’estetica quando si fonde con l’etica. Avere fra le mani un gioiello come la città di Lecce e trattarlo come neppure Piazza Palio che è stata devastata letteralmente per fare un imporbabile polo fieristico, proprio facendo l’opposto delle città normali dove le fiere le fanno fuori. Avere una piazza come Sant’Oronzo e trasformarla in mercatirno rionale (neppure dei più belli) è un insulto vero e proprio al Santo sulla colonna, a commercianti e passanti. Immaginate se davanti alla Primavera del Botticelli a Firenze mettessero una bancarella di pop corn che copre il dipinto, e ancora, immaginiamo se la torre di Pisa venisse ricoperta di un impianto di impalcature con sopra la pubblicità di preservativi. Però loro non lo fanno, anche se hanno esigenze di fare cassa. Immaginiamo e non facciamocene una ragione. In una città che ha al suo attivo (passivo per le casse comunali perché costruiti sperperando denaro pubblico) ben due aree mercatali inutilizzate, una dotata di stand rigorosamente chiusi, l’altra in contenzioso eterno con i commercianti ambulanti, anziché utilizzarle per renderle vive, si sceglie di ricoprire e rendere invisibile la bellezza della città, il suo valore aggiunto. Turisti arrivano a frotte nonostante gli amministratori di questa città che dovrebbe (il condizionale si impone) essere un museo a cielo aperto.  Proseguendo così una domanda sorge spontanea: a quando la concessione dell’anfiteatro romano per farci la sagra del pampacione?
Qualcuno dice che siamo in periodo di crisi e quindi è giusto valorizzare l’artigianato locale (compresi i coglioni di mulo?), assolutamente condivisibile come intento, guai se così non fosse, però viene da chiedersi perché, per farlo, si sacrifica il cuore pulsante e antico della città, lo stesso devastato dal traffico delle auto come neppure i paesi incivili fanno più. Se proprio non si vuole andare nelle aree mercatali, ci sarebbe Piazza Mazzini che è già bruttina di suo, quella potete pure coprirla.
A seguire alcuni commenti on line sullo scempio di Piazza Coglioni di Mulo (già Sant’Oronzo):

Danilo Biondo Sandalo: usare il barocco per farci un mercato,una sagra,uno scambio senza decoro, diviene un oltraggio alle influenze culturali e millenarie che ci hanno attraversato e qui hanno lasciato il segno...ma del resto rispecchia esattamente quel che vale la politica e quel che valgono i leccesi...in poche parole ognuno ha ciò che si merita...Io provo a guardare un pò oltre un tarallino...

Sergio Telaroli: Mi fa ricordare la prima Giunta leghista di Milano che per natale aveva concesso Piazza del Duomo alle giostre.

Antonio Pascarito:  Forse, e sottolineo "forse, in questo caso Peppino Impastato è stato citato un po' troppo frettolosamente... La struttura che viene montata in Piazza Sant'Oronzo, è rimovibile... i leccesi non la vedranno in eterno!... La stessa citazione di Peppino Impastato sarebbe appropriata per il filobus... oppure per il PUG, dove (una trasmissione dell'Indiano, lo ricorda benissimo) si permetterà di costruire a ridosso di un'area di interesse archeologico...


Luisella Gallucci: …il punto è quale visione si ha della piazza, quale idea di centro storico. Questa struttura sarà pure rimovibile, ma rappresenta un temporaneo che diventa definitivo se si pensa con quale cadenza la piazza viene "aggredita" per ospitare eventi di questo genere, tutti oramai calendarizzati anno per anno in piazza, snaturando quasi ogni fine settimana l'isola pedonale che si trasforma in un vero cantiere. Abbiamo dimenticato i mega palchi estivi e le loro emissioni sonore che fanno tremare i vetri?

Francesco Montinaro: Campo Rom P.zza S.Oronzo : Come distruggere una Città!!!!

Carlo Salvemini:  ...perchè rinunciare al rispetto degli stili, ad un richiamo al decoro? io penso che il comune possa essere rimproverato di "omesso controllo" diciamo così; ma che non meno censurabile siano le scelte degli organizzatori totalmente avulse dal contesto scelto per lo svolgimento della fiera... parlarne non fa male a nessuno ma può essere utile a fare meglio…

Angelo Vozzi: Concordo sul cattivo gusto, ma sinceramente in questo periodo di crisi, prendersela pure con le fiere o i mercati, mi sa tanto di salotto buono della sinistra pronta solo a criticare .....

Valeria Crasto:  ma solo dal vivo ho visto la texture dei teloni...finta pietra leccese...oltre ogni mia aspettativa, per non parlare del trullo finto (alias info point) in pietra-polistirolo. ...come siamo avanti...


......ed hanno pienamente ragione!!!  Ma come si fa a promuovere l'artigianato artistico, che dovrebbe essere il volano della nostra economia, con stand finto antiche mura e gazebo di plastica....dire kitch è dire poco, dire trasch è un complimento.... a chi vengono queste idee malsane consiglio di andare a vedere cosa succede nel Lazio, in Toscana, e in altri luoghi d'italia dove chi amministra si consulta e collabora con gli artisti, con gli artisti/artigiani, con menti pensanti e accolgono le loro proposte, accettano i loro consigli, affinchè l'occasione possa servire a tutti.......ma siamo a lecce! core preciatu, sona maestru, arcu te pratu ! ma state scherzando o fate sul serio? perchè se fate sul serio forse è meglio che ci ripensiate e tornate a fare quello che le vostre scuole vi hanno insegnato a fare....ma per favore !!!


Il pezzo sopra è stato scritto giovedi 30 maggio, il primo giugno è stato pubblicato u Nuovo Quotidiano di Puglia un'intervista all'assessore al demanio di Lecce, segue un commento fatto a caldo:


C’è una vecchia barzelletta: “Come mai sei razzista?” chiede un signore all’amico: “Non sono io ad essere razzista, sono loro ad essere negri”. Mi è venuta in mente aprendo Quotidiano in edicola oggi (sabato 1 giugno 2013). L’assessore Luciano Battista, a chi chiede come mai questo terribile allestimento di Piazza Sant’Oronzo, risponde dicendo che:

  •          Non ci sono soldi e il materiale utilizzato è a costo zero.
  •          I leccesi “dovrebbero essere contenti che la città venga valorizzata”.
  •      “Il ragionamento non è solo estetico, La fiera ha ortato in città un movimento di gente e di interesse che difficilmente ci saremmo potuti permettere”


Bene, è la Piazza Sant’Oronzo ad essere esageratamente bella, mica loro che hanno toppato e l’hanno nascosta con quella colata di plastica e polistirolo. Non una parola sul fatto che questa porcata poteva essere spostato in luoghi diversi. No, assessore, il punto non è impedire agli artigiani di lavorare, è proprio far convivere il bello con il buono. Per esempio lasciando stare il centro storico della città fra le più belle d’Italia.

Poco oltre, nelle stesse pagine, il Sindaco Perrone dice di Lecce “capitale di cultura”… Vuoi vedere che mettono gazebo di plastica in Piazza Duomo?