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mercoledì 19 ottobre 2016

Dolce collina di Langa... e di neoschiavismo

Italia decisamente unita, dal profondo a sud al produttivo nord. Non è solo bellezza, non solo arte, spesso, troppo spesso ahinoi, si tratta anche di malaffare.
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Schivi alla raccolta di pomodori

Leggo su La Stampa del 18 settembre che i carabinieri della compagnia di Alba hanno scovato un cascinale pieno di lavoratori stranieri utilizzati per la vendemmia. Ovviamente la storia è di caporali e lavoro nero. Il cancro del nuovo secolo salda definitivamente Foggia, Nardò, la Sicilia, l’Emilia e su su fino all'estremo nord del Piemonte.
Quella che si credeva una prerogativa delle province meridionali è estesa all'Italia intera.
Evidentemente il facile guadagno alletta! E se per ottenerlo occorre varcare la soglia e diventare, nei fatti, complici (o schiavi?) delle nuove e vecchie mafie, non si esita, a Cuneo come a Palermo o a Nardò.
Quando poi esiste, come evidenziato anche nelle dolci colline di Langa, uno sfruttamento vile, criminale, delle persone, degli immigrati, allora cadono tutti i confini di decenza, si annullano i diritti, cadono in parole povere, gli stessi principi di democrazia.
Negli anni passati, in particolare dagli ’80, le mafie si sono insediate a nord, prima portando attività apparentemente “pulite”, poi espandendo i loro raggi di azione fino a diventare dominanti. Emblematica l’infiltrazione nella rossa Emilia. Lì arrivarono alcune imprese che si occupavano di movimento terra, escavatori e camion. Proponevano costi decisamente competitivi per i loro servizi, qualcuno approfittava di questi prezzi, spesso in buona fede «forse non hanno lavoro a sud e provano a spostarsi da noi» dicevano. Fu l’inizio della fine, troppo tardi ci si accorse di quel che accadeva, è stato necessario arrivare a notare come queste “famiglie” occupassero piano piano fette sempre più consistenti di società. Di come arrivassero a infiltrare consigli comunali per avere appalti e permessi di costruzione, di come l’usura, i prestiti a strozzo, lo spaccio, iper e supermercati, sale gioco e via dicendo. Di come diventassero endemici e gestiti saldamente da chi, ormai imprenditore con un potere economico e capacità di “convincere” fuori dal comune dominava l’economia. E sono personaggi che non portano coppola e lupara, anzi, hanno i figli alla Bocconi perché parliamo di mafia imprenditrice e di spostamenti di capitali immensi.
E’ successo in Emilia, in Liguria, in Lombardia, in Piemonte. La prima amministrazione comunale commissariata a nord fu quella di Bardonecchia. E’ buona cosa non dimenticare. Tutto ebbe inizio negli anni ’60, quando una scellerata legge istituì il soggiorno obbligato per mafiosi in località del nord. Non tenne conto, il legislatore, delle possibili conseguenze. Rocco Lo Presti, calabrese morto poi nel 2009, venne inviato a Bardonecchia. Non passò molto tempo che si impadronì letteralmente della città. Nel 1995 Bardonecchia era nelle sue mani: violenza, affari, cementificazione criminale, usura. E poi festeggiamenti a champagne.
Lo Presti aveva attività svariate: Autotrasporto, commercio, bar, ristoranti, sale gioco. Fece trasferire a nord decine di calabresi in odore di ‘ndrangheta. Già all’epoca si parlava di racket della braccia gestito dallo stesso Lo Presti.
Mario Ceretto, imprenditore locale, si rifiutò di assumere il personale imposto, nel 1975 venne rapito e ammazzato. E’ solo una storia, forse la più nota, altre si stanno conoscendo, altre non si conosceranno forse mai. In particolare quelle sulla polverizzazione di piccoli imprenditori (spesso poco acculturati) che fanno da mano d’opera per organizzazioni più strutturate. Magari fanno la spola fra Alessandria o Asti a Milano o Torino per prendere ordini. Magari gestiscono piccole “innocue” attività come sale gioco, mini società finanziarie che non si sa bene quali quattrini facciano girare. Magari organizzano lo spaccio conducendo una vita normale. E fanno vite all'apparenza normali, senza boatos, senza apparire troppo. Magari le loro mogli gestiscono negozietti di vicinato.

Così si inizia, così si prosegue. Il campanello d’allarme del nuovo schiavismo è nei fatti qualcosa di molto più strutturato e può diventare endemico se non stroncato con leggi e indagini ad hoc. Il problema sono i silenzi (omertà?) di chi sa e non denuncia, sia pure in forma riservata ed anonima, dire “non sono fatti miei” equivale al “nulla sacciu, nulla vidi”. Se poi aggiungiamo che chi sfrutta i lavoratori nei campi quando parla al bar Sport o vota preferisce un partito anti immigrati la misura è colma. 

martedì 18 ottobre 2016

Obiettori di coscienza, tre storie

La famosa frase con cui Gandhi parla della nonviolenza, che considera “antica come le colline”, si applica anche all'obiezione di coscienza, tanto che si può risalire a San Massimiliano, patrono degli obiettori di coscienza, che fu decapitato nei pressi di Cartagine, a Tebessa, il 12 marzo dell'anno 295 dopo Cristo, per essersi rifiutato di prestare il servizio militare nell'impero romano. Ma è soltanto nel Novecento che l'obiezione di coscienza diventa fenomeno più diffuso, sino ad acquisire un carattere di massa. I primi casi significativi avvengono durante la prima guerra mondiale. Mentre negli USA e in Gran Bretagna gli obiettori di coscienza, appartenenti a svariati gruppi religiosi, furono decine di migliaia, in Italia solo pochi giovani ebbero il coraggio di obiettare.


Remigio Cuminetti


Quando nel maggio del 1915 l'Italia entrò in guerra, iniziarono le difficoltà particolarmente per uno dei primi testimoni di Geova italiani, Remigio Cuminetti. Fu chiamato per il servizio militare, ma egli decise di mantenersi neutrale. Per questo fu processato dal Tribunale Militare di Alessandria. La sentenza n.309 del 18 agosto riporta i motivi di coscienza adottati da Cuminetti. Un'altra testimone, Clara Cerulli, presente al processo, ne fece una dettagliata relazione al fratello Giovanni De Cecca della Betel di Brooklyn, che sempre si interessò dell'attività svolta dai fratelli italiani. La lettera, datata 19 settembre 1916, costituisce un'autentica testimonianza del suo processo.


Luigi Lué


La figura di Luigi Lué è ricordata da Edmondo Marcucci nelle sue “Memorie”,  che sono un vero e proprio "diario di bordo" del cammino verso il riconoscimento dell'obiezione di coscienza in Italia. Ecco come Marcucci ricostruisce l'obiezione di Luigi Lué:

"Un vero interessante caso di obiezione di coscienza fu quello di un umile zoccolaio, cristiano-tolstojano e socialista, che si rifiutò di andare al fronte nella stessa guerra 1915-18. Era Luigi Lué di San Colombano al Lambro… Al giudice capitano espose il motivo del suo rifiuto 'per obbidire alla Legge di Dio' e per le sue convinzioni tolstojane. Il giudice si alzò, gli stese la mano e disse: 'Caro, le idee di Tolstoi sono le più nobili che esistano al mondo'. Ciò avvenne nel 1917, in piena guerra. Nell'ultimo processo, alla domanda (la solita) del giudice: 'Se uno viene col fucile in mano per uccidervi, voi che cosa fate ?' Lué rispose semplicemente: 'Signor Presidente, mi scusi: quello bisogna che sia un pazzo'. Lo stesso Pubblico Ministero disse: 'Signori del tribunale, siamo davanti al caso di uno di quegli uomini – ve ne sono in ogni parte del mondo – che non transigono a qualunque costo e vivono in un loro mondo spirituale. Quindi la nostra Legge è impotente contro la loro Legge”.



Alberto Long



Alberto Long nasce a Torre Pellice nel 1887 e a 28 anni entra in contatto con il messaggio evangelico. Diventa pastore avventista e svolge il suo ministero sia in Italia sia nelle missioni, in particolare in Madagascar. Chiamato a svolgere il servizio militare durante gli anni della prima guerra mondiale, si rifiutò di impugnare le armi e dichiarò al suo colonnello:
«Fatemi fare l’infermiere anche al fronte sotto i cannoni, ma il fucile non lo prendo».

Venne arrestato, ammanettato e portato davanti al tribunale di guerra. Fu inizialmente condannato dal tribunale militare di Torino a cinque anni di reclusione, successivamente da quello di San Donà del Piave a sette anni. Nonostante la condanna, gli ufficiali militari lo tirarono fuori di prigione e lo inviarono al fronte ma lui rifiutò nuovamente di prendere le armi. Fu portato per la terza volta davanti al tribunale e il Pubblico Ministero questa volta chiese la fucilazione. Nonostante il suo avvocato fosse riuscito a dimostrare che Long non era un vigliacco, ma un obiettore di coscienza per motivi religiosi, fu ugualmente condannato a venticinque anni di reclusione da scontare nel forte di Savona. L’epilogo fu comunque felice perché dieci mesi dopo venne liberato in seguito a  un’ampia amnistia decretata dal governo.



lunedì 17 ottobre 2016

Viaggiatori...

«Ma i veri viaggiatori partono per partire e basta: cuori lievi, simili a palloncini che solo il caso muove eternamente, dicono sempre “Andiamo”, e non sanno perché. I loro desideri hanno le forme delle nuvole».
Charles Baudelaire, “I fiori del male”.

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Ph: falco editore
Partenze, ritorni, altre partenze. Si parte per capire, per lasciarsi coinvolgere da altri mondi, culture diverse, e poi ci si accorge che non esiste ritorno possibile, tutto è cambiato, il viaggiatore è cambiato, il ritorno fisico è solo quello, manca il rientro delle emozioni, come di un primo bacio rimane una sensazione antica e forse rimpianto, non si troverà più quel colpo al cuore che fa volare. Invecchiando ci si pensa, e ci si accorge che il viaggio forse è l'unica possibilità di comprendere sè stessi e gli altri. Che quegli altri sono Persone di provenienza, esperienze, vissuti completamente diversi dai tuoi...  Finchè dura...