Ci sono notizie che
occupano poche colonne di giornale che tuttavia lasciano una scia di domande,
impongono di fermarsi a riflettere, a pensare.
Jeffrey Spector è un
imprenditore inglese, è malato di tumore incurabile alla spina dorsale. Il suo
terrore è il rimanere nel corso di un fine vita non si sa quanto lunga ancora,
paralizzato. Decide che è arrivato per lui il momento di staccare la spina,
quindi ha scelto di andare a morire dove i ricchi, e solo loro, possono farlo.
A Zurigo, in una clinica già nota agli italiani perché scelta tempo fa da Lucio
Magri.
Morire con dignità ha
un costo elevato non solo in termini etici, ma anche di denaro. In un paese
come il nostro, dove non si concede neppure la possibilità di scegliere come e
se curarsi in caso di malattia terminale, a dolore si aggiunge senso di impotenza per chi vuole e pretende di decidere per conto tuo anche come tu possa morire.
Jeffrey Spector ha forse voluto enfatizzare
questa sua scelta, pagando un operatore che filmasse i suoi ultimi giorni in
famiglia ed organizzando con i suoi congiunti una sontuosa cena di commiato.
Rimangono tuttavia scelte personali, etiche, morali assolutamente
indiscutibili. Rimane la pietas che deve
accompagnare questi momenti. E rimane il disgusto per uno Stato che vuole
arrogarsi la possibilità di non offrire una prospettiva dignitosa, per quanto dolorosa, al libero arbitrio, dove l’arrogante scelta etica di un parlamentare
vuole sostituirsi a quella di ogni cittadino che ha altre visioni della
vita, altri punti di riferimento, altre fedi, altra dignità. Il paradosso è che
lo stesso parlamentare, in nome della ragion di Stato, compie scelte economiche
capestro per molte persone, al punto che i suicidi procurati non si contano. Oppure decide di inviare militari a crepare da qualche parte.
Contraddizioni in
termini, come quella di uno stato definito da molti “la più grande democrazia
mondiale” che consente l’utilizzo delle armi ai privati e ha la pena di morte
nel suo ordinamento. Democrazia è pace e rispetto di ogni vita, non a caso
l’associazione che si occupa dei detenuti in Italia si chiama “Nessuno tocchi
Caino”, perché la giustizia serve a recuperare, non già ad annientare vite.
Per questo firmammo in
moltissimi, due milioni almeno, perché Paula Cooper, quindicenne statunitense
che aveva assassinato una sua insegnante per rubarle pochi spiccioli, venisse
salvata dalla pena di morte alla quale era stata condannata. Fu giusto firmare
perché a scempio non si aggiungesse barbarie di Stato. Paula venne graziata e
la pena commutata in trent’anni di carcere. Qualche anno fa uscì di prigione,
voleva rifarsi una vita. Non sappiamo cos’è successo, quel che si sa è che Paula
non ce l’ha fatta, si è suicidata. Forse quella “grande” Democrazia ha
tralasciato di occuparsi di lei. Esattamente come in altre parti si tralascia
lo Stato Sociale in nome di quella che chiamano spending rewiew. Un controllo
della spesa fatto a discapito di chi ha meno.
“Bisogna amarsi molto
per suicidarsi” scrisse Camus ne “I giusti” del 1950. Non so se è questa una
chiave di lettura, certo è che vedere il suicidio esclusivamente come
autodistruzione è minimizzare. Per alcuni è una vera e propria via d’uscita,
per altri ammissione di una sconfitta, e ancora può essere mancanza di
emozioni, di un fine da raggiungere, resa ad una realtà troppo lontana da quella
giudicata verosimile e mille altri motivi che rendono stancante, spossante
proseguire a camminare.
Per chi non ha un al
di là in cui sperare poi, è veramente la
fine di tutto, quanto dolce nessuno è in grado di dire, tuttavia un modo per
smettere di sentirsi a disagio in questa vita, nei rapporti interpersonali,
sociali. Non conosco i pensieri di Gianni quando salì sulla seggiola per
impiccarsi al ramo di un albero, neppure quelli di altri suicidi che ho
conosciuto e che hanno scelto quella strada per stanchezza, per avvilimento,
per mancanza di stimoli altri o perché, semplicemente, così hanno scelto. Nessuno giudichi.
Lucio Magri ha scelto di andare dove si può morire “serenamente”, dove 200
persone ogni anno si recano a terminare la loro esistenza e dove il 40% dopo aver prenotato e visto, sceglie
di proseguire a vivere nonostante le malattie, la depressione, nonostante altre scelte. “Quelli che
rimangono sono tuttavia depressi incurabili” dice un resposabile della clinica.
Tornano alla mente
nomi illustri di personaggi che morirono suicidi. Penso a Cesare Pavese, a
Majakowskyi*, a Vincent Van Gogh che si sparò in un prato e passò gli ultimi due
giorno con il fratello fumando la pipa prima si spegnersi. Al medico che lo
soccorse disse “ci ho provato ma ho fallito, ci riproverò”. Lui aveva dipinto un quadro che era un urlo
contro la sua vita, o forse, chissà, una richiesta di aiuto. Quel meraviglioso
“campo di grano con corvi” che esprime immensa sofferenza.
Non si può parlare di
banale follia, il suicidio lucido è quasi sempre un percorso che dura un tempo
più o meno lungo, ma rimane una casa costruita caparbiamente, pietra su pietra,
mattone su mattone.
E non si parla di un
fenomeno marginale, secondo i dati OMS i suicidi sono un milione l’anno, quelli
solo tentati un numero venti volte superiore. Il suicidio è la terza causa di
morte per le persone fra i 15 e i 44 anni. Un fenomeno sociale quindi che
dimostra come il fine vita sia una scelta fra molte altre possibilità.
Per chiudere cito ancora Albert Camus: Vi è solamente un
problema filosofico veramente serio: quello del suicidio. Giudicare se la vita
valga o non valga la pena di essere vissuta è rispondere al quesito
fondamentale della filosofia. (A.C. Il mito di Sisifo – 1942)
Camus, per la cronaca, morì in un incidente d’auto a 47
anni. Qualcuno sospetta per una manomissione dell’auto da parte del kgb. Lui che
sostenne in più occasioni che “il modo più stupido di morire è per incidente
d’auto”.
*Mayakowskyi lasciò una lettera che diceva: "A tutti. Se muoio, non incolpate nessuno. E, per favore, niente pettegolezzi. Il defunto non li poteva sopportare. Mamma, sorelle, compagni, perdonatemi. Non è una soluzione (non la consiglio a nessuno), ma io non ho altra scelta. Lilja, amami. Compagno governo, la mia famiglia è Lilja Brik, la mamma, le mie sorelle e Veronika Vitol'dovna Polonskaja. Se farai in modo che abbiano un'esistenza decorosa, ti ringrazio.[...] Come si dice, l'incidente è chiuso. La barca dell'amore si è spezzata contro il quotidiano. La vita e io siamo pari. Inutile elencare offese, dolori, torti reciproci. Voi che restate siate felici
*Mayakowskyi lasciò una lettera che diceva: "A tutti. Se muoio, non incolpate nessuno. E, per favore, niente pettegolezzi. Il defunto non li poteva sopportare. Mamma, sorelle, compagni, perdonatemi. Non è una soluzione (non la consiglio a nessuno), ma io non ho altra scelta. Lilja, amami. Compagno governo, la mia famiglia è Lilja Brik, la mamma, le mie sorelle e Veronika Vitol'dovna Polonskaja. Se farai in modo che abbiano un'esistenza decorosa, ti ringrazio.[...] Come si dice, l'incidente è chiuso. La barca dell'amore si è spezzata contro il quotidiano. La vita e io siamo pari. Inutile elencare offese, dolori, torti reciproci. Voi che restate siate felici