Commenti

Non pubblicheremo commenti anonimi.

sabato 30 maggio 2015

Pensieri liberi leggendo di due suicidi

Ci sono notizie che occupano poche colonne di giornale che tuttavia lasciano una scia di domande, impongono di fermarsi a riflettere, a pensare.
Jeffrey Spector è un imprenditore inglese, è malato di tumore incurabile alla spina dorsale. Il suo terrore è il rimanere nel corso di un fine vita non si sa quanto lunga ancora, paralizzato. Decide che è arrivato per lui il momento di staccare la spina, quindi ha scelto di andare a morire dove i ricchi, e solo loro, possono farlo. A Zurigo, in una clinica già nota agli italiani perché scelta tempo fa da Lucio Magri.
Morire con dignità ha un costo elevato non solo in termini etici, ma anche di denaro. In un paese come il nostro, dove non si concede neppure la possibilità di scegliere come e se curarsi in caso di malattia terminale, a dolore si aggiunge senso di impotenza per chi vuole e pretende di decidere per conto tuo anche come tu possa morire. 

Jeffrey Spector ha forse voluto enfatizzare questa sua scelta, pagando un operatore che filmasse i suoi ultimi giorni in famiglia ed organizzando con i suoi congiunti una sontuosa cena di commiato. Rimangono tuttavia scelte personali, etiche, morali assolutamente indiscutibili.  Rimane la pietas che deve accompagnare questi momenti. E rimane il disgusto per uno Stato che vuole arrogarsi la possibilità di non offrire una prospettiva dignitosa, per quanto dolorosa, al libero arbitrio, dove l’arrogante scelta etica di un parlamentare vuole sostituirsi a quella di ogni cittadino che ha altre visioni della vita, altri punti di riferimento, altre fedi, altra dignità. Il paradosso è che lo stesso parlamentare, in nome della ragion di Stato, compie scelte economiche capestro per molte persone, al punto che i suicidi procurati non si contano. Oppure decide di inviare militari a crepare da qualche parte.
Contraddizioni in termini, come quella di uno stato definito da molti “la più grande democrazia mondiale” che consente l’utilizzo delle armi ai privati e ha la pena di morte nel suo ordinamento. Democrazia è pace e rispetto di ogni vita, non a caso l’associazione che si occupa dei detenuti in Italia si chiama “Nessuno tocchi Caino”, perché la giustizia serve a recuperare, non già ad annientare vite.
Per questo firmammo in moltissimi, due milioni almeno, perché Paula Cooper, quindicenne statunitense che aveva assassinato una sua insegnante per rubarle pochi spiccioli, venisse salvata dalla pena di morte alla quale era stata condannata. Fu giusto firmare perché a scempio non si aggiungesse barbarie di Stato. Paula venne graziata e la pena commutata in trent’anni di carcere. Qualche anno fa uscì di prigione, voleva rifarsi una vita. Non sappiamo cos’è successo, quel che si sa è che Paula non ce l’ha fatta, si è suicidata. Forse quella “grande” Democrazia ha tralasciato di occuparsi di lei. Esattamente come in altre parti si tralascia lo Stato Sociale in nome di quella che chiamano spending rewiew. Un controllo della spesa fatto a discapito di chi ha meno.
“Bisogna amarsi molto per suicidarsi” scrisse Camus ne “I giusti” del 1950. Non so se è questa una chiave di lettura, certo è che vedere il suicidio esclusivamente come autodistruzione è minimizzare. Per alcuni è una vera e propria via d’uscita, per altri ammissione di una sconfitta, e ancora può essere mancanza di emozioni, di un fine da raggiungere, resa ad una realtà troppo lontana da quella giudicata verosimile e mille altri motivi che rendono stancante, spossante proseguire a camminare.
Per chi non ha un al di là in cui sperare poi,  è veramente la fine di tutto, quanto dolce nessuno è in grado di dire, tuttavia un modo per smettere di sentirsi a disagio in questa vita, nei rapporti interpersonali, sociali. Non conosco i pensieri di Gianni quando salì sulla seggiola per impiccarsi al ramo di un albero, neppure quelli di altri suicidi che ho conosciuto e che hanno scelto quella strada per stanchezza, per avvilimento, per mancanza di stimoli altri o perché, semplicemente, così hanno scelto. Nessuno giudichi. 
Lucio Magri ha scelto di andare dove si può morire “serenamente”, dove 200 persone ogni anno si recano a terminare la loro esistenza e dove il 40% dopo aver prenotato e visto, sceglie di proseguire a vivere nonostante le malattie, la depressione, nonostante altre scelte. “Quelli che rimangono sono tuttavia depressi incurabili” dice un resposabile della clinica.
Tornano alla mente nomi illustri di personaggi che morirono suicidi. Penso a Cesare Pavese, a Majakowskyi*, a Vincent Van Gogh che si sparò in un prato e passò gli ultimi due giorno con il fratello fumando la pipa prima si spegnersi. Al medico che lo soccorse disse “ci ho provato ma ho fallito, ci riproverò”.  Lui aveva dipinto un quadro che era un urlo contro la sua vita, o forse, chissà, una richiesta di aiuto. Quel meraviglioso “campo di grano con corvi” che esprime immensa sofferenza.
Non si può parlare di banale follia, il suicidio lucido è quasi sempre un percorso che dura un tempo più o meno lungo, ma rimane una casa costruita caparbiamente, pietra su pietra, mattone su mattone.
E non si parla di un fenomeno marginale, secondo i dati OMS i suicidi sono un milione l’anno, quelli solo tentati un numero venti volte superiore. Il suicidio è la terza causa di morte per le persone fra i 15 e i 44 anni. Un fenomeno sociale quindi che dimostra come il fine vita sia una scelta fra molte altre possibilità. 
Per chiudere cito ancora Albert Camus: Vi è solamente un problema filosofico veramente serio: quello del suicidio. Giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta è rispondere al quesito fondamentale della filosofia. (A.C. Il mito di Sisifo – 1942)
Camus, per la cronaca, morì in un incidente d’auto a 47 anni. Qualcuno sospetta per una manomissione dell’auto da parte del kgb. Lui che sostenne in più occasioni che “il modo più stupido di morire è per incidente d’auto”.

*Mayakowskyi lasciò una lettera che diceva: "A tutti. Se muoio, non incolpate nessuno. E, per favore, niente pettegolezzi. Il defunto non li poteva sopportare. Mamma, sorelle, compagni, perdonatemi. Non è una soluzione (non la consiglio a nessuno), ma io non ho altra scelta. Lilja, amami. Compagno governo, la mia famiglia è Lilja Brik, la mamma, le mie sorelle e Veronika Vitol'dovna Polonskaja. Se farai in modo che abbiano un'esistenza decorosa, ti ringrazio.[...] Come si dice, l'incidente è chiuso. La barca dell'amore si è spezzata contro il quotidiano. La vita e io siamo pari. Inutile elencare offese, dolori, torti reciproci. Voi che restate siate felici






Nessun commento:

Posta un commento