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venerdì 28 aprile 2017

Lecce, 25 aprile 2017, la comemorazione ufficiale



Un momento della commemorazione (ph: Lecceprima.it)


Il 25 aprile a Lecce è stata, come ogni anno e sempre più, una giornata di partecipazione e commozione. Quest'anno l'ANPI locale ha chiesto alla sua iscritta, la giovanissima Naomi De Pascalis, di tenere la commemorazione ufficiale. Naomi si è laureata da pochissimi giorni con una tesi proprio sulla Resistenza in Puglia, ANPI è stata più che degnamente rappresentata in ogni sua istanza con questo passaggio di generazione avendo ben chiaro sempre che la Resistenza non si è chiusa il 25 aprile 1945, ma deve proseguire proprio per arginare un neofascismo sempre più sfacciato. In una lista per le comunali a Lecce che si chiama, prendendo spunto dal gruppo fondato da Pino Rauti, "Andare Oltre" sono presenti personaggi che sui social non fanno mistero della loro fede e postano immagini di Hitler e Mussolini. Casa Pound ha presentato un proprio candidato sindaco e via dicendo. 
E deve proseguire in difesa della Costituzione "più bella del mondo" da sinistri tentativi di demolirla e sfasciare i principi fondanti della Repubblica nata dalla Resistenza.

Il discorso integrale di Naomi:

Buongiorno e buon 25 aprile a tutte e a tutti.
Non è facile per una giovane donna come me, che la Resistenza l’ha studiata sui libri di scuola, trovare le parole giuste per commemorare questa giornata così importante e riuscire a trasmettere a voi presenti il ricordo di tutte e tutti quelli che decisero di sacrificarsi, di sacrificare le loro vite per prendere parte alla Guerra di Liberazione. A 72 anni da quel 25 aprile molto è stato detto nelle commemorazioni ufficiali e tanto altro è stato scritto nei libri di storia. Coloro i quali decisero di prendere parte alla guerra di Liberazione, alla cacciata del nazifascismo dal territorio italiano fecero una scelta. Una scelta legata al desiderio di libertà, al desiderio di porre fine ai soprusi di cui il ventennio fascista si era macchiato, desiderio di porre fine ad una guerra che già prima della comunicazione dell’armistizio avvenuta l’8 settembre1943, avendo generato malessere non era più ben vista dalla gente comune.
In una giornata come quella di oggi è importante e doveroso ricordare il ruolo e l’apporto che il Salento e la Puglia, attraverso le sue donne e i suoi uomini, hanno avuto nella Guerra di Liberazione. Ancora oggi, quando si pensa alla Resistenza o quando se ne parla, nell’immaginario collettivo si fa riferimento a quanto accaduto nel Centro e Nord Italia. Poco o niente si sa di quanto accadde in Puglia durante la fase di occupazione e ritirata tedesca che vide il nostro territorio essere vittima della cieca furia e della becera violenza tedesca, per circa 20 giorni a partire da quel famoso 8 settembre 1943. Poco o niente si sa di coloro che, trovandosi al Nord decisero di darsi alla macchia, di andare in montagna a combattere, o molto più semplicemente decisero di aiutare i partigiani fornendo loro informazioni sulle postazioni nazi-fasciste o sugli spostamenti delle truppe tedesche; poco si sa nonostante il numero di studi sull’argomento sia cresciuto negli ultimi anni grazie al lavoro di studiosi di storia locale.
Se mi fermassi a chiedere a voi presenti qui oggi: chi sia Maria Teresa Sparascio, chi sia Umberto Leo, chi siano Enzo Sozzo, Gianni Giannoccolo, Salvatore Sicuro, Andrea Sozzo o Salvatore Mazzotta, probabilmente solo pochi di voi saprebbero rispondermi e ancor meno potrebbero essere quelli che sono a conoscenza del fatto che in città ad Enzo Sozzo, Andrea sozzo e a Salvatore Mazzotta sono state intitolate delle vie.
Quelli che ho appena citato sono solo alcuni dei nomi di nostri conterranei che decisero di prendere parte alla guerra di Liberazione, che furono parte attiva della Resistenza ognuno secondo il proprio pensiero e le proprie modalità.
Maria Teresa Sparascio, tricasina di origine ma trapiantata a Langhirano in provincia di Parma, decise di dare il proprio contributo diventando una staffetta partigiana; Enzo Sozzo combatté nelle SAP le Squadre di Azione Patriottica; Gianni Giannoccolo: il Presidente del nostro Comitato Provinciale dell’Associazione Nazionale partigiani d’Italia, martanese di origine, partì volontario nella compagnia  Gramsci nel 3° Battaglione nella terza Brigata Oltremare insieme con il compaesano Salvatore Sicuro; Umbero Leo combatté in Piemonte e così Salvatore Mazzotta. Figura emblematica è quella di Umberto Leo poiché attraverso la sua storia, si può capire cosa sia stato il fascismo con la sua propaganda agli occhi di molti giovani italiani, ma al tempo stesso cosa significava compiere la scelta di essere un partigiano. E voglio ricordarlo attraverso quella breve testimonianza che il partigiano Leos, questo il suo nome di battaglia, ha lasciato ad Enzo Bianco uno storico locale, proprio rispetto alla sua scelta di diventare partigiano, nonostante in un primo momento avesse deciso di combattere al fianco dei repubblichini.
Racconta Umberto Leo ad Enzo Bianco, rispetto ai mesi di servizio di leva svolto nella Repubblica Sociale Italiana e rispetto alla scelta successiva di diventare partigiano «Mancava tutto, non c’era organizzazione, l’alleanza con i tedeschi era difficile da sopportare», ricorda. «E poi mi colpì molto un episodio al quale mi capitò di assistere ad Ivrea: un uomo non si tolse il cappello al passaggio del labaro fascista e fu ucciso all’istante! Mi resi conto, sia pur lentamente, che ci avevano fatto vivere nell’ignoranza, nell’oppressione e nella violenza. E così non c’è da meravigliarsi se dopo l’8 settembre tutta la mia squadra passò con i partigiani. Ormai c’era una voglia enorme di liberarsi dai tedeschi e dai fascisti.»
Questi sono solo alcuni dei nomi e solo dei piccoli accenni alle loro vite e al loro ruolo nella Resistenza; se si volessero approfondire le storie di tutte le donne e di tutti gli uomini salentini che presero parte alla Resistenza non basterebbe una commemorazione della liberazione al mese. Le istituzioni, la scuola, la società civile dovrebbero farsi carico così come fa l’Anpi dal giorno della sua istituzione, e in sinergia con l’Anpi stessa, di approfondire le storie di quelle donne e di quegli uomini, di farle proprie e di ricordarle non solo in concomitanza o in prossimità delle celebrazioni ufficiali. La storia della Resistenza, le storie di coloro che alla Resistenza presero parte dovrebbero essere argomento quotidiano, affinché il sacrificio di quelle donne e di quegli uomini non sia stato vano. Conoscere la Resistenza significa conoscere una delle pagine più belle della storia d’Italia, conoscere la Resistenza potrebbe essere la risposta migliore a coloro i quali, nel 2017, continuano ad inneggiare al Fascismo attraverso i suoi simboli e l’esaltazione di alcune sue figure, quasi che il fascismo non appartenga a quella pagina più oscura, più violenta e antidemocratica della storia d’Italia. Conoscere la Resistenza significherebbe arginare queste persone, significherebbe attuare, grazie al valore che viene trasmesso dalla memoria storica, la XII disposizione costituzionale. XII disposizione che vieta la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista. La storia della Resistenza non come semplice e banale narrazione, quindi, ma la storia come strumento per la formazione di una coscienza critica che possa, negli anni a venire: portare alla cancellazione di tutti quei richiami al regime fascista, di tutte quelle associazioni o movimenti politici che non solo inneggiano al fascismo ma ne sono per ideologia una discendenza diretta; coscienza critica che attraverso la comunicazione della propria indignazione rispetto a queste nuove forme di fascismo, possa portare le istituzioni tutte ad arginare coloro i quali si macchiano di “apologia del fascismo” poiché non è più ammissibile che nel 2017 certi atteggiamenti, certi richiami nettamente espliciti, vengano liquidati come “ bravate” o come ragazzate. Non è più possibile che siano proprio alcuni membri che siedono all’interno delle istituzioni, quelle istituzioni che sono tornate ad essere democratiche proprio grazie alla caduta del regime fascista, a richiamare l’ideologia fascista attraverso l’esaltazione dei suoi simboli diffondendoli e vantandosene sui social network, restando totalmente impuniti e continuando a svolgere la loro attività politica all’interno dei vari consessi.
La Resistenza è stata antifascista e come tale deve essere ricordata.
Scriveva Calamandrei, in quell’epigrafe di denuncia contro la scarcerazione di Kesselring nel 1952:
 “Su queste strade se vorrai tornare
ai nostri posti ci ritroverai
morti e vivi collo stesso impegno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama
ora e sempre

RESISTENZA
Ebbene, quel camerata Kesselring a cui Calamandrei si riferiva all’inizio dell’epigrafe, sembra essere tornato. Non in carne ed ossa, ovviamente, ma sembra essere tornato. Anzi, forse sarebbe meglio dire che sembra non essersene mai andato via poiché il suo spirito e la sua ideologia continuano ad essere presenti in coloro i quali nascondendosi dietro una facciata di italianità, altro non fanno che soffiare sul fuoco dell’odio ed alimentano il razzismo nei confronti di chi, mettendo comunque a repentaglio la propria vita, decide di scappare dalla guerra in cerca di un futuro migliore per sé o per i propri figli. E coloro i quali assumono questi atteggiamenti, altro non sono che dei piccoli Kesselring contro cui, prendendo proprio spunto da quanto detto da Calamandrei: “dovremmo farci trovare ai nostri posti” a difesa di tutti coloro che attraversano il mediterraneo sperando solo di riuscire a sfuggire alla guerra e alla fame.
In una giornata come quella di oggi in cui si celebrano i valori della libertà e della democrazia, non bisogna dimenticare che dalla Resistenza nacquero la nostra Repubblica e la nostra Costituzione, le nostre basi per l’unità europea. La nostra Costituzione che veniva approvata ormai 70 anni fa dall’Assemblea Costituente, e per la precisione il 22 dicembre 1947. Assemblea costituente che racchiudeva in sé tutte le anime della Resistenza, i suoi valori, e i suoi principi. Principi che riportati interamente nella carta costituzionale, a 70 anni dalla loro approvazione sembrano ancora: disattesi, non attuati, distanti dall’essere realizzati. Principi che dovrebbero essere attuati in toto affinché il sacrificio dei nostri partigiani non sia stato vano. Principi che dovrebbero essere attuati già da ora, considerando il clima torbido e violento in cui sembra essere calato lo scenario politico internazionale, a partire da quanto contenuto e sancito nell’articolo 11 della stessa Costituzione in cui i padri e le madri costituenti espressero il loro secco rifiuto alla guerra attraverso quella stupenda formula in cui si legge:“ L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.” Ed è tenendo presente i dettami dell’art. 11 che l’Italia dovrebbe agire rispetto allo scenario bellico che sembra prospettarsi nell’immediato futuro.
Chiedo scusa se ai più il passaggio sulla Costituzione possa essere sembrato inopportuno, ma non si può prescindere dalla Costituzione in quanto figlia della Resistenza che oggi siamo qui a commemorare.
E questa commemorazione, questa Festa della Liberazione, dovrebbe essere vista non come un “punto di arrivo”, come una semplice celebrazione, o come una festa che alla fine dei conti ci permette di stare a casa da scuola o dal lavoro, ma dovrebbe essere considerata come un punto di partenza per tutti noi. Un punto di partenza su cui riflettere per far sì che la memoria e la storia della guerra di liberazione non si perda, per far sì che eventi così funesti come quelli della seconda guerra mondiale non si ripetano più, affinché la Resistenza funga da forza propulsiva e propositiva per le generazioni future, perché il 25 aprile sia 25 aprile sempre 365 giorni l’anno.
Ora e sempre RESISTENZA.



lunedì 24 aprile 2017

Salentini nella lotta di Liberazione

Ripropongo un articolo che scrissi per Il Delfino e la Mezzaluna (Fondazione terra d'Otranto) in occasione del 70° anniversario della Liberazione.

1945 – 2015. Sono passati 70 anni da quel 25 aprile in cui l’Italia passò dall'oscurantismo di una dittatura guerrafondaia che annichiliva le libertà individuali e sociali, alla Democrazia e alla creazione di una Costituzione giudicata da più parti “la più bella del mondo”.  E’ giusto ricordare quanti contribuirono, con sacrifici anche estremi, a restituire dignità ad un’Italia annichilita da vent’anni di dittatura.  
Enzo Sozzo

Negli ultimi anni la percezione della Lotta di Liberazione come patrimonio dell’intera nazione sta divenendo collettiva ed unificante, in particolare nel Salento leccese grazie agli studi e alle ricerche di personaggi come Enzo Bianco, Enzo Sozzo, Maurizio Nocera, Ippazio Luceri (Pati) ed altri storici e studiosi.  Si arriva faticosamente a dare volti, nomi e numeri alle migliaia di partigiani meridionali che in quegli anni scelsero di stare dalla parte della Democrazia, soprattutto, come dice Maurizio Nocera, “arriveremo presto a comprendere e sapere che si trattava di almeno il 50% dei resistenti e patrioti”.
Infatti la lotta di liberazione era vista, fino a pochi anni addietro, quasi esclusivamente come qualcosa che riguardasse il settentrione, solo da pochi anni gli studi hanno portato ad una diversa percezione della realtà. Se è vero che la guerra guerreggiata fu a nord, altrettanto vero è che Il meridione ha dato una parte molto consistente di combattenti alla lotta di liberazione.

Mari Teresa Sparacio
“…Il medico di Latiano, Cosimo Rubino e il rotondetto Agesilao… a Taviano il D’Ambrosio, a Gallipoli il falegname inflessibile Francesco Pastore, a Galatina l’avvocato Mauro, nonché i repubblicani Egidio Reale e Antonio Vallone ed il più autorevole di tutti, quella specie di radicale e quacquero all'inglese che fu De Viti Marco…”. Con queste considerazioni Tommaso Fiore nel suo Salento antifascista(1968)[1], dissolveva i luoghi comuni sull’assenza di opposizione al regime nel Salento leccese ed indicava la necessità di un pieno recupero della memoria relativa alle lotte per la libertà che si erano manifestate in Terra d’Otranto-
Anche Vito Antonio Leuzzi nella prefazione del bel libro “Liberi e ribelli”[2] di Enzo Bianco(Argo editore) ricorda[…] Andrea ed Enzo Sozzo, Salvatore Mazzotta, Michele Cafaro, Aldo Masciullo, Giuseppe Zollino, Emanuele Pisanò, Pietro Rollo (il primo caduto), Monsignor Francesco Petronelli, Nino Giancane, Antonio Rondello, Amleto Buia, Nicola Imbriani, Giuseppe Maggio (avvocato), Umberto Leo, Ennio Martina, Guglielmo Fazzi, Aldo Piccinno, Federico Carola, Giovanbattista Barcellona, Carlo Calò, Gaetano Leopizzi, Giuseppe Panzeri, Luigi Paradiso, Antonio Rollo, Luigi Sarcinella, Francesco Turrisi. Sono muratori, salumieri, avvocati[…] Persone che fecero una scelta di campo, quella della liberazione dal nazismo e dell’uscita dal periodo più nero della storia italiana. Molti non avevano una storia politica alle spalle, non un’ideologia, solo la consapevolezza che il fascismo era il male peggiore. È un libro importante per la memoria, perché, come scrive l’autore nella premessa: “Questo lavoro – che certo non è privo di lacune, di errori e di omissioni per le quali ci scusiamo – non vuole limitarsi a far ricordare a chi vive ormai soltanto nella mente e nel cuore dei propri cari o su qualche targa stradale: ha anche la speranza di offrire spunti di riflessione su un patrimonio morale che ci è stato lasciato dai partigiani ma che, con le tendenze in atto, rischia seriamente di non trovare più eredi legittimi in un paese che, del resto, oggi sembra, in tante espressioni, l’esatto contrario dei valori incarnati dai “banditen” (come li chiamavano i tedeschi) di sessant'anni fa.”
Questi dati sono ora stati implementati da tre ponderose ricerche del Prof. Ippazio (Pati) Luceri che mettono in fila nomi e luoghi, perché i tasselli della storia tornino al loro giusto posto, soprattutto perché la memoria storica è essenziale per capire come siamo e non ripetere gli errori del passato.

Abbiamo incontrato il Prof. Maurizio Nocera, che bene conosciamo come ricercatore, storico, saggista, poeta e illustre collaboratore di queste pagine, oltre che Segretario Provinciale dell’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani Italiani) di Lecce.

Maurizio Nocera

Durante il fascismo e prima dell’otto settembre e quindi della Resistenza combattuta, a Lecce esisteva un movimento antifascista?

In provincia di Lecce esistono due momenti. Intanto la resistenza al fascismo che va dall'indomani dell’assassinio Matteotti ed arriva fino al 1943, quando il fascismo implode l’otto settembre, da lì parte quella che potremmo definire la seconda fase, la lotta del popolo italiano contro il nazifascismo. Il primo omicidio in provincia di Lecce avvenne a Gallipoli, un giovane accalappiacani stava passando sotto la sede del Partito Socialista, una squadraccia di camicie nere, guidati da galipolini e, pare, da qualche tavianese, assaltò la sede del PSI, il giovane rimase ucciso, la sede distrutta. Era il 29 ottobre 1922, il 28 ci fu la marcia su Roma. Da quel preciso momento le sezioni del PSI guidate da personaggi come l’avvocato Rodolfo D’ambrosio di Taviano, la famiglia Povero di Lecce, Carlo Mauro che poi verrà arrestato e che fu fra i fondatori del Partito Comunista d’Italia con Gramsci e Bordiga, iniziarono una resistenza che durò vent'anni che era soprattutto il rifiuto dell’omolagazione. Non ancora, in quella fase, si parlava di resistenza armata. 
Dall'altra parte si trovavano i latifondisti, gli agrari, i contadini arricchiti. E non scordiamo che di qui erano personaggi di primo piano del fascismo come il gallipolino Starace,  e il gerarca De Luca. In provincia di Lecce non esisteva industria, Ma agricoltura, la maggiore organizzazione degli agrari, la confagricoltura non indossò la camicia nera, non ufficialmente, tuttavia si servì di persone “di mezzo” per mantenere il potere. E molti furono, negli anni bui della dittatura, gli episodi che potremmo chiamare di protesta civile. Ricordo un episodio che mi venne tramandato da mia nonna. Mio nonno, socialista, il primo maggio andava in piazza con le sue figliole e metteva loro una piccola coccarda rossa come fermacapelli. Questo era motivo di ritorsione, il fascismo qui si manifestava verso gli antifascisti con la rasatura dei capelli e l’olio di ricino. E’ noto il caso di Pantaleo Russo di Tuglie, avvocato anarchico. Fu rasato e gli venne somministrato olio di ricino.

Qui a Lecce esistevano i partiti antifascisti, in particolare il Comunista e Socialista?

Nel 1892 nacque il PSI a Gallipoli e Galatina. Nel 1921, grazie all'avvocato Mauro, nacque a Galatina il Partito Comunista d’Italia.  Comunisti e socialisti che ad ogni visita di Starace o di alti gerarchi venivano arrestati preventivamente.   

E nel Ventennio?

Anche nel Salento leccese ci furono i confinati, i Povero di Lecce e altri, li mandarono a Ventotene, Ponza, Lipari. Fino ad arrivare all’otto settembre, qui non accadde nulla di rilevante, a Leuca arrivarono poche navi con qualche battaglione, lo sbarco importante avvenne in Sicilia. inizialmente era previsto proprio sulle coste salentine, però gli alleati scelsero diversamente, qui arrivarono poche formazioni di polacchi soprattutto. Praticamente non ci furono scontri militari, c’è memoria di un episodio a Leverano e poco più. La guerra partigiana era al nord. Qui assistemmo a trasformismi invece, i podestà divennero sindaci, i gerarchi cambiarono casacca e divennero il “nuovo corso”. In realtà questa “operazione” venne pilotata dagli americani che volevano esportare anche a nord questo modello per mantenere il controllo della situazione soprattutto perché avevano timore dei partigiani che erano organizzati e armati e che gli USA praticamente subirono.
Quindi i Podestà e i capi milizia si trasformarono anche come membri del Comitato di Liberazione Nazionale. I combattenti e gli antifascisti di fatto non guidarono i CLN che furono presi in mano da personaggi moderati nelle città e da vecchi fascisti nei piccoli paesi. A Lecce il primo presidente del CLN fu il liberale Barone Personè. Non era mai stato fascista, né antifascista, un moderato che spuntò fuori quasi improvvisamente dopo il 25 aprile come Presidente del CLN di Lecce.

Parliamo di partigiani combattenti, da qui partirono alcuni per aggregarsi alla resistenza in Jugoslavia, e molti salentini si trovarono militari sbandati al nord e si unirono ai partigiani in montagna.

I primi si riunivano nella zona di San Pancrazio, Salice, Veglie. Due dei personaggi di spicco che decisero di partire verso la Jugoslavia furono Gianni Giannoccolo, ancora vivente, e Salvatore Sicuro, mancato nel 2013 e già presidente dell’ANPI Lecce per moltissimi anni. In tutto furono una cinquantina di persone che si imbarcarono a Bari verso il Montenegro. Giannoccolo venne ferito, poi curato e tornò a combattere. Erano ragazzi all’epoca che sentirono l’esigenza di andare a combattere. Non erano eccessivamente politicizzati, anche se Sicuro aveva studiato a Pisa dove l’antifascismo era forte, ad un certo punto sentirono l’esigenza di fare una scelta di campo. Altro caso è quello dei militari sbandati, lasciati senza stato maggiore e senza ordini. Il Re fuggì a Brindisi con Badoglio, i militari che erano a nord, moltissimi di loro, si aggregarono ai resistenti. E non solo a nord, anche  in Albania, per esempio, il battaglione Gramsci era formato prevalentemente da militari leccesi. In Grecia invece i militari italiani vennero quasi tutti deportati dai nazisti che erano da tempo pronti e a conoscenza dell’armistizio. 

Invece i resistenti salentini combattenti a nord?

Intanto diciamo che la resistenza all'estero e in Italia furono complementari, la resistenza organizzata la troviamo in Grecia, Albania, Jugoslavia, Francia, Italia e poco più. I maquis francesi non erano organizzati come i resistenti italiani greci e jugoslavi, dove nacquero i veri eserciti di Liberazione Nazionale. Per quanto riguarda l’Italia possiamo tranquillamente dire che la netta maggioranza dei militari appartenenti alle varie forze armate era composta da meridionali: pugliesi, abruzzesi, campani,  e via dicendo. Arrivato l’otto settembre moltissimi militari passarono con i partigiani. Citiamo Efisio Licheri, carabiniere nel parmense, sposato con Maria Teresa Sparacio, ammazzata da pallottole naziste, che si tolse la divisa  per combattere con i partigiani. I numeri e i nomi stanno emergendo adesso, grazie anche agli sforzi dell’ANPI nazionale di rimettere ordine nella memoria. La Resistenza combattuta a nord era un fatto italiano a tutto tondo, del nord e del sud. Penso che addirittura il 50% dei resistenti fosse del meridione italiano. Per questo la resistenza riguarda il sud.

Però dobbiamo arrivare al 2000 perché anche l’ANPI si accorgesse di questi numeri.

Vedi, ci fu un grandissimo personaggio che se ne accorse per tempo, Aldo Moro, parlando con Arrigo Boldrini, lo disse chiaramente. Addirittura esiste una convinzione di qualcuno che dice che la lotta di liberazione fu l’atto finale del risorgimento. Nel 1861 i piemontesi arrivarono per unire l’Italia, possiamo dire che nel 1945 i meridionali già al nord  dettero un contributo decisivo all’unità della nazione attraverso la liberazione dalla Repubblica di Salò e dai nazisti.
 Molti pongono come ultimo atto del Risorgimento la grande guerra, la prima, in realtà quella fu guerra imperialista per la conquista di territori, la lotta di liberazione fu invece guerra patriottica vera e propria. Nel 1975 proprio Moro ne parlò e Boldrini convocò a Bari il consiglio nazionale dell’ANPI.
Aldo Moro, in un epico discorso che ho trovato integralmente e che cito spesso, disse fra l’altro:  
…A lungo si è ripetuto che alla piena esplicazione della Resistenza ha nociuto il peso negativo rappresentato dal Mezzogiorno, che non ha compiuto l'esperienza della lotta partigiana del Nord Italia. Gli storici tendono ora a correggere questa visione dualistica, di un Nord, proiettato verso una peraltro indefinita rivoluzione, e un Sud, ancora una volta "palla al piede" dello sviluppo italiano. Il rapporto tra Mezzogiorno e Resistenza è complesso. Non va dimenticato, nello sfondo, ciò che pagarono le campagne del Mezzogiorno al fascismo. È vero, fu avviata una politica di bonifiche che consentì in un secondo tempo la formazione di ceti agrari più progrediti, meno attaccati alla esclusiva conservazione della rendita. Ma quel poco che si fece sotto il fascismo per il Sud, ebbe come corrispettivo il blocco dell'emigrazione interna, una politica di bassi salari, sperequazioni tributarie e pesanti vincoli contrattuali nelle campagne. Il programma fascista di un'Italia rurale ed eroica portò in realtà ad un eccesso di popolazione contadina, costretta a vivere entro strutture economiche rimaste arcaiche e statiche e perciò prive di impulsi creativi. Crollato il fascismo e liberato il Mezzogiorno dalle truppe alleate, non per caso ancora una volta furono le campagne a muoversi. Si trattava della lotta al latifondo e della riforma agraria, cioè di una delle esperienze più significative di questo dopoguerra, che ha consentito lo svilupparsi di un grande movimento contadino nel Sud ed ha impegnato i governi in un notevole sforzo, nel suo insieme positivo.
Ma, tornando agli anni cruciali che vanno dalla fine del '43 a tutto il '45, non ci sembra si possa dire che il Mezzogiorno fu una remora alla realizzazione degli ideali della Resistenza. Non vanno dimenticati gli intellettuali meridionali schierati sul fronte della libertà. E poi parlano le cose. Il Sud ha dato con profonda convinzione il suo apporto alla guerra di liberazione e ai primi atti dei governi della coalizione antifascista; ha contribuito al crollo degli eserciti nazifascisti, facilitando l'avanzata di quelli alleati; ha visto la nascita e l'affermarsi delle prime libere manifestazioni politiche dei partiti antifascisti; ha scritto con l’insurrezione napoletana una tra le pagine più belle della Resistenza. [...].

Penso che questo documento di Moro sia uno dei più importanti scritti sulla Resistenza italiana.  


Parliamo di alcune figure salentine emblematiche della lotta di liberazione.

Intanto inizierei da Enzo Sozzo, a Imperia dove si spostò sposò una ragazza di famiglia comunista, dalla conoscenza con quella famiglia inizò ad avvicinarsi ai partigiani. Le cose fondamentali che fece furono sostanzialmente il segnalare presenze di nazisti e pericoli.
In realtà erano due i leccesi sposati con due sorelle, Enzo e Aldo Vallone di Galatina. L’otto settembre Enzo lasciò la divisa e incontrò questa donna. Dopo la guerra tornò a Lecce dove fondò l’ANPI.
Altro personaggio importantissimo è il fratello di Enzo, Andrea Sozzo. Militare alle bocche di Cattaro dove i nazisti attaccarono, lui difese la postazione e vi trovò la morte, per sette giorni  nessuno seppe nulla del suo sacrificio.
Poi cito Ludovico Patrizi di Cursi che è considerato il primo caduto della Resistenza italiana. Si trovava a Genova sul Ponte decimo, alla sua squadra venne ordinato di tenere la postazione e non far passare i nazisti, assiame a 4 commilitoni venne ucciso la notte dell’otto settembre. Fu il ministro Taviani (DC) che gli dedicò il ponte che ora porta il suo nome. 
Altra figura importante è Maria Teresa Sparacio[3]
Poi diciamo di Salvatore Donno di Corigliano d’Otranto, comandante di una formazione di finanzieri a Milano, divenne uno dei capi della Resistenza milanese. E non dobbiamo assolutamente scordare l’apporto delle donne alla lotta di liberazione a livello nazionale, anche in Salento le staffette partigiane note sono state: Maria teresa SPARASCIO (Caprarica del Capo-Tricase); Sieve Luigina ALFARANO (Casarano); Aida CAGGIULA (Parabita); Adele MILEO e la sorella Amelia MILEO (Lecce); Giulia MOSCO (Lecce); Carmela SCRIMIERI (Novoli; Maria Teresa SPANO (Melissano); a queste vanno aggiunte altre staffette non leccesi ma residenti a Lecce perché mogli di cittadini leccesi, fra cui: Antonia Maria MAGGIORE (Lecce); Antonietta FAZZINI SOZZO (Lecce); Annunziata FIORE (avellinese sposata a Lecce, la più giovane partigiana di tutta la Resistenza, combattente in Albania) e di molti potremmo ancora parlare.
ANPI nazionale ultimamente ha fatto due convegni proprio per dire della resistenza a sud, uno a Torino e uno di Napoli del quale ancora non abbiamo gli atti che verranno pubblicati. L’ANPI sapeva, però anche lì c’è stata sottovalutazione. Quando venne fondata ANPI a Firenze il meridione era pochissimo rappresentata, da Lecce erano in due, nessuno da Brindisi e Bari. Ora si tenta di colmare, con colpevole ritardo forse, questo vuoto.

ANPI Lecce come nacque e quali furono le sue prime iniziative?

Ricordiamo che fu Enzo Sozzo a fondare ANPI Lecce e a dare vita ad un primo archivio dei partigiani salentini. Quando nacque l’ANPI si occupò di assistenza alle famiglie dei partigiani caduti, molto spesso si trattava di orfani e vedove, a loro venne fatto avere un buono di 20.000 lire per i caduti e 10.000 per i feriti. Per fare ciò fu indispensabile un lavoro di selezione, di comprendere chi fossero i Partigiani per evitare errori di valutazione. Quando cadde il fascismo molti dissero di aver partecipato alla Resistenza.
Successivamente l’assistenza si trasformò anche in pacchi di generi di prima necessità. Dagli anni ’70 del novecento si puntò a ricordare i caduti, mettere le targhe nei municipi e fare avere le medaglie a chi le meritava. Purtroppo mentre a nord nacquero immediatamente gli Istituti Storici della Resistenza, qui da noi il ritardo è stato immenso. Stiamo faticosamente tentando di recuperare le informazioni mancanti, però di testimoni diretti, per ovvie ragioni anagrafiche, ne sono rimasti molto pochi, per cui le ricerche si fanno percorrendo l’Italia in lungo e largo, frequentando archivi militari e degli Istituti Storici e cercando testimonianze dei parenti.

E’ stata questa voglia di portare alla luce verità storiche dimenticate che ha spinto il   Professor Ippazio (Pati) Luceri a fare questi preziosi volumi, abbiamo parlato anche con lui per fare un quadro aggiornato dei numeri e di piccoli episodi che hanno caratterizzato quei periodi neri per la storia dell’Italia.

“Accanto ai nomi più conosciuti degli antifascisti (solo per citare qualcuno, Casalino, Mauro, Refolo, Sozzo, Povero, Milinanni), nel libro si leggono i più comuni cognomi del Salento, tanto che il primo impulso che si prova è cercare, in quell’elenco, i propri nonni, i propri compaesani, le persone di cui si è sentito raccontare. Luceri annota storie e vite classificate per nome e cognome, brigata d’appartenenza, paese d’origine, nome dei genitori, data di nascita, nome di combattimento, periodo di militanza partigiana e presidi di lotta. Il quadro che ne emerge racconta un’altra storia, quella partigiana e antifascista, fatta da gente di umili origini, per lo più contadini, bandisti, artigiani che hanno lottato con la vita. È la storia di Ugo Baglivo, di Alessano, fucilato nelle Fosse Ardeatine; di Michele Schiavone, di Scorrano, prima monaco e poi anarchico, confinato nel carcere di Turi dove muore nel 1935; del poeta e pittore Giuseppe Sozzo, di Surbo, prigioniero nei lager in Polonia e poi in Germania, del regista cinematografico Emanuele Caracciolo, nato a Tripoli da genitori gallipolini, imprigionato a Regina Coeli e ammazzato con un colpo di pistola alla nuca. O di Graziano Fracasso, di Tricase, e Giuseppe Nocco, nativo di Maglie, entrambi combattenti sul Monte Tricorno, due soldati che si riconobbero dal proprio dialetto tra le bombe e i colpi di fucile, e giurarono di salutare ognuno i parenti dell’altro se uno di loro fosse rimasto ucciso. Fu Fracasso a recarsi a Maglie, commosso, davanti al portone della famiglia Nocco.” Questa la presentazione del primo libro di Pati pubblicata su 20 centesimi.

Pati Luceri
Partiamo dai numeri dei resistenti salentini

Nel Salento leccese parliamo di 1200 partigiani e 600 patrioti provenienti da tutti i paesi della provincia. Chiamiamo Patrioti i resistenti che hanno combattuto meno di dei mesi o gli appartenenti del C.I.L. (Corpo Italiano di Liberazione). Altro discorso è quello dei deportati di cui diremo. I caduti sono stati 210. 12 furono le donne resistenti, alcune staffette, altre combattenti.

Dove hanno combattuto?

Jugoslavia, Grecia, Albania, Italia settentrionale. In Francia molti meno. In Jugoslavia la resistenza italiana fu molto forte. Moltissimi erano militari sbandati dopo l’otto settembre, decisero, di non passare con i nazifascisti e diedero vita a formazioni partigiane vere e proprie.

Erano militarmente preparati anche.

Lo erano, compatibilmente con la preparazione dell’esrcito fascista, ed erano armati, a differenza dei militari poi deportati. Diversa è la situazione al nord Italia, molti civili che erano lassù per motivi diversi si aggregarono alle formazioni partigiane spontaneamente. Erano operai, intellettuali, studenti.

Altro capitolo, dicevamo, è quello dei deportati.

Erano militari che non aderirono alla Repubblica di Salò e al nazismo, vennero disarmati dai nazisti e deportati nel lager. Sono veri e propri patrioti anche loro. Nel mio ultimo libro ho schedato 7.157 militari del Salento leccese che sono stati deportati vilmente, soprattutto dalla Grecia, con la promessa di essere portati in Italia.

Per scrivere i tuoi libri hai contattato anche i parenti dei deportati.

E’ vero, e sono sempre stato accolto con affetto. Ho trovato commozione e voglia di sapere, purtroppo manca una memoria tramandata dai diretti interessati e per responsabilità delle istituzioni, nessuno qui ha mai fatto una ricerca dettagliata. Non solo da noi, parlo dell’intero centro sud italiano dove le carenze di ricerca sono immense. I deportati non ne hanno mai parlato perché ne avevano paura, non osavano. In un recente libro intervista ad uno di loro, ora novantenne,  disse di non averne parlato “perché nei campi la situazione fu talmente drammatica che nessuno, neppure mia madre, mi avrebbe creduto”.
Ho presentato il mio libro in molti paesi, ricordo a Carpignano, dove un ex deportato, alla richiesta di dire qualcosa, rispose “no, starei ancora malissimo”.
Antonio P. di Castrignano dei Greci mi disse in grico “Figlio mio, mai più guerra, mai più guerra, mai più guerra”. I figli di Leonardo C. non gustarono mai le patate fritte da bimbi, lui non voleva sentire né vedere patate in casa, troppe ne dovette ingoiare.
Poi ci sono state altre testimonianze, tasselli di ricordi. La nipote che mi ha portato una lettera del nonno dal lager che scriveva in italiano “sto bene, qui è tutto bello” poi in grico “sono incatenato”. Doveva superare la censura e lo fece con il suo dialetto!
Voglio finire citanto Pisino di Maglie, fondatore del gruppo Bandiera Rossa. Viveva a Roma, osava disarmare i fascisti e portava le armi a Torpignattara dove insegnava di giorno ai giovani ad usarle. Per una soffiata venne trucidato alle Fosse Ardeatine con altri salentini, il melissanese Caputo, il gallipolino Emanuele Caracciolo, sceneggiatore a cinecittà, Baglivo, avvocato alessanese, i fratelli Carola, militari.      


 Bibliografia essenziale

Aldo Quarta: Lecce “qualunquista” – Quarta Editore, Lecce 1991
 Enzo Sozzo: La Valigia- A cura di Carlo Sozzo e Maurizio Nocera – Conte editore – Lecce, 1995
ANPI LECCE: Il Salento per la Libertà e la Pace – 1984
Maurizio Nocera (a cura di) : Enzo Sozzo L’uomo, l’Opera – 1990  
Ippazio (Pati) Luceri: Partigiani e antifascisti di Terra d’Otranto – Lecce, Brindisi e taranto – Grafiche Giorgiani - 2013
Ippazio (Pati) Luceri: Partigiani, antifascisti e deportati de Lecce e provincia Grafiche Giorgiani 2014
Ippazio (Pati) Luceri: I Deportati salentini leccesi nei lager nazifascisti Grafiche Giorgiani 2015   
Francedsco Accogli, Massimo Mura: Maria Teresa Sparacio. Staffetta partigiana salentina. Ed. dell’Iridie 2004
Roberto Battaglia Storia della Resistenza italiana 8 settembre 1943 – 25 aprile 1945. Torino 1964
G. Bocca, Storia dell'Italia partigiana, Laterza, Bari 1966
G. Capobianco, Il recupero della memoria. Per una storia della Resistenza in Terra di Lavoro - Autunno 1943, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1995
G. Chianese, Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, in E. COLLOTTI-R. SANDRI-F. SESSI, "Dizionario della Resistenza. Storia e geografia della Liberazione", vol. I, Einaudi, Torino 2000
G. Chianese, Matera, Napoli, Caiazzo: il Sud si ribella, in "Il Manifesto", 25 aprile 1995
A. de jaco, La Resistenza nel Sud. Cronaca per testimonianze, Argo, Lecce, 2000
A. monti, Il movimento della Resistenza e il Mezzogiorno d'Italia, in "Rinascita", n. 4, 1952
E. Santarelli, La rivolta di Lanciano e la Resistenza nel Mezzogiorno, in "Rivista Abruzzese di Studi Storici dal fascismo alla Resistenza", anno IV, nn. 2-3, luglio-novembre 1983
G. Schreiber, La vendetta tedesca 1943-1945. Le rappresaglie naziste in Italia, Mondadori, Milano 2000
http://www.unigalatina.it/ : Maurizio Nocera – Enzo Sozzo nell’arte e nella vita
Bianco E. Leberi e Ribelli – Argo Editore, Lecce 1999
Boccasile G.-Leuzzi V.A.- Benvenuto Max, ebrei e antifascisti in Puglia – Ipsaic, Progedit, Bari 2007



[1]  TommasoFiore , Salento antifascista – Adriatica Ed. 1968
[2]    Enzo Bianco, Liberi e Ribelli – Argo Editore, 2005

[3]Maria Teresa Sparascio/ nata a Caprarica di Tricase il 13 ottobre 1906/ durante la Resistenza Nazionale/ testimoniò con la vita/ l’amore della libertà/ la pietà della famiglia/ l’antica fierezza della piccola patria lontana. Tricase la ricorda e onora solennemente il 2 febbraio 1986.
Così sta scritto sulla lapide nell’atrio di Palazzo Gallone in Tricase.
Maria Teresa Sparacio sposò l’appuntato dei carabinieri Efisio Licheri. Lui veniva trasferio continuamente, andò anche sul fronte Italo Jugoslavo rientrando in patria nel giugno 1942. Nel 1943, sempre per servizio, si trovava a Langhirano (Parma) con la famiglia. L’otto settembre l’armistizio e lo sbandamento. Moltissimi militari rimasero senza ordini, a Sud c’erano gl ialleati, a nord, oltre la Linea Gotica, la Repubblica di Salò e i nazisti. Licheri decise di salire in montanga con i partigiani ed entrò nella Brigata Pablo con il nome di battaglia di Torino. Il territorio brulicava di nazi fascisti, quindi erano indispensabili le staffette che portavano cibo e comunicazioni  ai combattenti, Maria Teresa era una di queste. A Langhirano c’erano i nazifascisti, era il 24 settembre, Maria Teresa stava in casa con le figliole, stava riordinando documenti che il marito le aveva affidato, si chinò per raccogliere le scarpione delle bimbe, dalla piazza un nazista sparò nella finestrella della mansarda dove viveva. Un proiettile le trapassò il polmone sinistro davanti agli occhi della piccola Maria D’Itria. Efisio seppe la cosa solo il giorno successivo, si precipitò all’opedale di Parma per donarle il sangue. Maria Teresa morì il 7 ottobre 1944.


domenica 23 aprile 2017

Le faticose elezioni a Lecce

La scomoda e lunghissima campagna elettorale leccese è iniziata e si cominciano a vedere faccioni ammiccanti dai manifesti sei per tre sparsi per la città, santini a terra calpestati, arrivano sms di richiesta di sostegno, si rimodulano le mailing list per escludere o includere amici ed ex amici ora concorrenti, i giornali ascoltano e segnalano appuntamenti, i social sono pian piano inondati da stimabili persone che si candidano e così via. Tutto normale, si potrebbe dire. No, tutto normale non è. Parlo per gli elettori e simpatizzanti della parte politica che guarda a sinistra. Le destre sono autosufficienti, a Lecce ingoiano rospi, si scannano ma  si alleano comunque, a livello nazionale finirà probabilmente con Salvini alla corte di re Silvio a fare da zerbino.  
Altrove non è così,  non è facile guardare amici e persone che si stimano militare in liste diverse con candidati a sindaco diversi, non è facile perché la stima personale per molti di loro è alta e si spera in una revisione di posizioni per un eventuale secondo turno. Eppure la convergenza da subito è, o meglio, sarebbe stata possibile. Lo dimostra la posizione presa da Sinistra Italiana di Alessandria che sostiene il candidato sindaco uscente, di area PD  che, addirittura, votò si per il referendum di dicembre.
I livelli nazionale e locale, come dice l’amico Renzo Penna di Alessandria, sono diversi. Se a livello alto una convergenza con il PD è ostica o addirittura indigeribile, a livello locale potrebbe essere il caso di trovare un accordo di legislatura su programmi condivisi.
A maggior ragione avrebbe dovuto essere naturale e condivisibile trovare a Lecce un momento unificante, dato per assunto che il candidato Salvemini non è iscritto né militante del PD, ma persona indipendente, con tutti i difetti e i pregi che gli si possano riconoscere, rimane una risorsa con la quale un dialogo è possibile ed auspicabile. Ad Alessandria non so cosa potrà succedere, nulla è scritto, ma è una città che ha conosciuto alternanze dalla lega al centro destra al centro sinistra e così via. Lecce è invece un feudo nel quale una eventuale vittoria di formazioni non di destra, non legate agli affari, ai voti di scambio, non governate da personaggi dalle frequentazioni discutibili, sarebbe un fatto epocale ed immenso.
E non è facile capire diversi posizionamenti quando la visione della città, tranne forse sfumature comprensibili solo dagli addetti ai lavori, è simile, come simile è la percezione dei problemi e delle eventuali e mai facili soluzioni.
Veramente non è facile, l’unica consolazione, se così vogliamo chiamarla, è che si possono dare solo due preferenze, per cui non si potrebbero votare i candidati che si stimano in blocco. Scelta è scelta, però sarebbe bello avere una possibilità in più, senza non detti, senza battutine e sottintesi che alla lunga diventano disarmanti e stantii.


P.S. – A proposito delle preferenze è bene ricordare che se ne possono assegnare al massimo due, nel caso di preferenza doppia è indispensabile che i due scelti siano di genere diverso (donna/uomo) e della stessa lista, indipendentemente dal candidato sindaco scelto, è infatti possibile il voto disgiunto.