Ripropongo un articolo che scrissi per Il Delfino e la Mezzaluna (Fondazione terra d'Otranto) in occasione del 70° anniversario della Liberazione.
1945 – 2015.
Sono passati 70 anni da quel 25 aprile in cui l’Italia
passò dall'oscurantismo di una dittatura guerrafondaia che
annichiliva le libertà individuali e sociali, alla Democrazia e alla creazione di una Costituzione
giudicata da più parti “la più bella del mondo”. E’ giusto ricordare quanti contribuirono, con
sacrifici anche estremi, a restituire dignità ad un’Italia annichilita da
vent’anni di dittatura.
Enzo Sozzo |
Negli ultimi
anni la percezione della Lotta di Liberazione come patrimonio dell’intera nazione
sta divenendo collettiva ed unificante, in particolare nel Salento leccese grazie agli studi e
alle ricerche di personaggi come Enzo Bianco, Enzo Sozzo, Maurizio Nocera,
Ippazio Luceri (Pati) ed altri storici e studiosi. Si arriva
faticosamente a dare volti, nomi e numeri alle migliaia di partigiani
meridionali che in quegli anni scelsero di stare dalla parte della Democrazia,
soprattutto, come dice Maurizio Nocera, “arriveremo presto a
comprendere e sapere che si trattava di almeno il 50% dei resistenti e
patrioti”.
Infatti la lotta
di liberazione era vista, fino a pochi anni addietro, quasi esclusivamente come
qualcosa che riguardasse il settentrione, solo da pochi anni gli studi hanno
portato ad una diversa percezione della realtà. Se è vero che la guerra
guerreggiata fu a nord, altrettanto vero è che Il meridione ha dato una parte
molto consistente di combattenti alla lotta di liberazione.
Mari Teresa Sparacio |
Anche Vito
Antonio Leuzzi nella prefazione del bel libro “Liberi e ribelli”[2] di Enzo Bianco(Argo editore) ricorda[…] Andrea
ed Enzo Sozzo, Salvatore Mazzotta, Michele Cafaro, Aldo Masciullo, Giuseppe
Zollino, Emanuele Pisanò, Pietro Rollo (il primo caduto), Monsignor Francesco
Petronelli, Nino Giancane, Antonio Rondello, Amleto Buia, Nicola Imbriani,
Giuseppe Maggio (avvocato), Umberto Leo, Ennio Martina, Guglielmo Fazzi, Aldo
Piccinno, Federico Carola, Giovanbattista Barcellona, Carlo Calò, Gaetano
Leopizzi, Giuseppe Panzeri, Luigi Paradiso, Antonio Rollo, Luigi Sarcinella,
Francesco Turrisi. Sono muratori, salumieri, avvocati[…] Persone che
fecero una scelta di campo, quella della liberazione dal nazismo e dell’uscita
dal periodo più nero della storia italiana. Molti non avevano una storia
politica alle spalle, non un’ideologia, solo la consapevolezza che il fascismo
era il male peggiore. È un libro importante per la memoria, perché, come scrive
l’autore nella premessa: “Questo lavoro – che certo non è privo di
lacune, di errori e di omissioni per le quali ci scusiamo – non vuole limitarsi
a far ricordare a chi vive ormai soltanto nella mente e nel cuore dei propri
cari o su qualche targa stradale: ha anche la speranza di offrire spunti di
riflessione su un patrimonio morale che ci è stato lasciato dai partigiani ma
che, con le tendenze in atto, rischia seriamente di non trovare più eredi
legittimi in un paese che, del resto, oggi sembra, in tante espressioni,
l’esatto contrario dei valori incarnati dai “banditen” (come li chiamavano i
tedeschi) di sessant'anni fa.”
Questi dati
sono ora stati implementati da tre ponderose ricerche del Prof. Ippazio (Pati)
Luceri che mettono in fila nomi e luoghi, perché i tasselli della storia
tornino al loro giusto posto, soprattutto perché la memoria storica è
essenziale per capire come siamo e non ripetere gli errori del passato.
Abbiamo incontrato il
Prof. Maurizio Nocera, che bene conosciamo come ricercatore, storico, saggista,
poeta e illustre collaboratore di queste pagine, oltre che Segretario
Provinciale dell’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani Italiani) di Lecce.
Durante il fascismo e prima dell’otto settembre
e quindi della Resistenza combattuta, a Lecce esisteva un movimento
antifascista?
In provincia di Lecce
esistono due momenti. Intanto la resistenza al fascismo che
va dall'indomani dell’assassinio Matteotti ed arriva fino al
1943, quando il fascismo implode l’otto settembre, da lì parte quella che
potremmo definire la seconda fase, la lotta del popolo italiano contro il
nazifascismo. Il primo omicidio in provincia di Lecce avvenne a Gallipoli, un
giovane accalappiacani stava passando sotto la sede del Partito Socialista, una
squadraccia di camicie nere, guidati da galipolini e, pare, da qualche
tavianese, assaltò la sede del PSI, il giovane rimase ucciso, la sede
distrutta. Era il 29 ottobre 1922, il 28 ci fu la marcia su Roma. Da quel preciso
momento le sezioni del PSI guidate da personaggi come l’avvocato Rodolfo
D’ambrosio di Taviano, la famiglia Povero di Lecce, Carlo Mauro che poi verrà
arrestato e che fu fra i fondatori del Partito Comunista d’Italia con Gramsci e
Bordiga, iniziarono una resistenza che durò vent'anni che era
soprattutto il rifiuto dell’omolagazione. Non ancora, in quella fase, si
parlava di resistenza armata.
Dall'altra parte
si trovavano i latifondisti, gli agrari, i contadini arricchiti. E
non scordiamo che di qui erano personaggi di primo piano del fascismo
come il gallipolino Starace, e il
gerarca De Luca. In provincia di Lecce non esisteva industria, Ma agricoltura,
la maggiore organizzazione degli agrari, la confagricoltura
non indossò la camicia nera, non ufficialmente, tuttavia si servì di
persone “di mezzo” per mantenere il potere. E molti furono, negli anni bui
della dittatura, gli episodi che potremmo chiamare di protesta civile. Ricordo
un episodio che mi venne tramandato da mia nonna. Mio nonno, socialista, il
primo maggio andava in piazza con le sue figliole e metteva loro una piccola
coccarda rossa come fermacapelli. Questo era motivo di ritorsione,
il fascismo qui si manifestava verso gli antifascisti con la
rasatura dei capelli e l’olio di ricino. E’ noto il caso di Pantaleo Russo di
Tuglie, avvocato anarchico. Fu rasato e gli venne somministrato olio di ricino.
Qui a Lecce esistevano i partiti antifascisti,
in particolare il Comunista e Socialista?
Nel 1892 nacque il PSI
a Gallipoli e Galatina. Nel 1921, grazie all'avvocato Mauro, nacque a
Galatina il Partito Comunista d’Italia. Comunisti e socialisti
che ad ogni visita di Starace o di alti gerarchi venivano arrestati
preventivamente.
E nel Ventennio?
Anche nel Salento
leccese ci furono i confinati, i Povero di Lecce e altri, li mandarono a
Ventotene, Ponza, Lipari. Fino ad arrivare all’otto settembre, qui non
accadde nulla di rilevante, a Leuca arrivarono poche navi con qualche
battaglione, lo sbarco importante avvenne in Sicilia. inizialmente era
previsto proprio sulle coste salentine, però gli alleati scelsero diversamente,
qui arrivarono poche formazioni di polacchi soprattutto. Praticamente non ci
furono scontri militari, c’è memoria di un episodio a Leverano e poco più. La
guerra partigiana era al nord. Qui assistemmo a trasformismi invece, i podestà
divennero sindaci, i gerarchi cambiarono casacca e divennero il “nuovo corso”.
In realtà questa “operazione” venne pilotata dagli americani che volevano
esportare anche a nord questo modello per mantenere il controllo della
situazione soprattutto perché avevano timore dei partigiani che erano
organizzati e armati e che gli USA praticamente subirono.
Quindi i Podestà e i
capi milizia si trasformarono anche come membri del Comitato di Liberazione
Nazionale. I combattenti e gli antifascisti di fatto non guidarono i CLN che
furono presi in mano da personaggi moderati nelle città e da vecchi fascisti
nei piccoli paesi. A Lecce il primo presidente del CLN fu il liberale Barone
Personè. Non era mai stato fascista, né antifascista, un moderato che spuntò
fuori quasi improvvisamente dopo il 25 aprile come Presidente del CLN di Lecce.
Parliamo di partigiani combattenti, da qui
partirono alcuni per aggregarsi alla resistenza in Jugoslavia, e
molti salentini si trovarono militari sbandati al nord e si unirono ai
partigiani in montagna.
I primi si riunivano
nella zona di San Pancrazio, Salice, Veglie. Due dei personaggi di spicco che
decisero di partire verso la Jugoslavia furono Gianni Giannoccolo, ancora
vivente, e Salvatore Sicuro, mancato nel 2013 e già presidente dell’ANPI Lecce
per moltissimi anni. In tutto furono una cinquantina di persone che si
imbarcarono a Bari verso il Montenegro. Giannoccolo venne ferito, poi curato e
tornò a combattere. Erano ragazzi all’epoca che sentirono l’esigenza di andare
a combattere. Non erano eccessivamente politicizzati, anche se Sicuro aveva
studiato a Pisa dove l’antifascismo era forte, ad un certo punto sentirono
l’esigenza di fare una scelta di campo. Altro caso è quello dei militari
sbandati, lasciati senza stato maggiore e senza ordini. Il Re fuggì a Brindisi con
Badoglio, i militari che erano a nord, moltissimi di loro, si aggregarono ai
resistenti. E non solo a nord, anche in Albania, per esempio, il
battaglione Gramsci era formato prevalentemente da militari leccesi. In Grecia invece
i militari italiani vennero quasi tutti deportati dai nazisti che erano da
tempo pronti e a conoscenza dell’armistizio.
Invece i resistenti salentini combattenti a
nord?
Intanto diciamo che la
resistenza all'estero e in Italia furono complementari, la resistenza
organizzata la troviamo in Grecia, Albania, Jugoslavia, Francia,
Italia e poco più. I maquis francesi non erano organizzati come i
resistenti italiani greci e jugoslavi, dove nacquero i veri eserciti
di Liberazione Nazionale. Per quanto riguarda l’Italia possiamo tranquillamente
dire che la netta maggioranza dei militari appartenenti alle varie forze armate
era composta da meridionali: pugliesi, abruzzesi, campani, e via dicendo. Arrivato l’otto settembre
moltissimi militari passarono con i partigiani. Citiamo Efisio Licheri,
carabiniere nel parmense, sposato con Maria Teresa Sparacio, ammazzata da
pallottole naziste, che si tolse la divisa per combattere con i partigiani. I numeri e i
nomi stanno emergendo adesso, grazie anche agli sforzi dell’ANPI nazionale di
rimettere ordine nella memoria. La Resistenza combattuta a nord era un fatto
italiano a tutto tondo, del nord e del sud. Penso che addirittura il 50% dei
resistenti fosse del meridione italiano. Per questo
la resistenza riguarda il sud.
Però dobbiamo arrivare al 2000 perché anche
l’ANPI si accorgesse di questi numeri.
Vedi, ci fu un
grandissimo personaggio che se ne accorse per tempo, Aldo Moro, parlando con
Arrigo Boldrini, lo disse chiaramente. Addirittura esiste una convinzione di
qualcuno che dice che la lotta di liberazione fu l’atto finale del
risorgimento. Nel 1861 i piemontesi arrivarono per unire l’Italia, possiamo
dire che nel 1945 i meridionali già al nord dettero un contributo decisivo all’unità della
nazione attraverso la liberazione dalla Repubblica di Salò e dai nazisti.
Molti pongono come ultimo atto del Risorgimento
la grande guerra, la prima, in realtà quella fu guerra imperialista per la
conquista di territori, la lotta di liberazione fu invece guerra patriottica
vera e propria. Nel 1975 proprio Moro ne parlò e Boldrini convocò a Bari
il consiglio nazionale dell’ANPI.
Aldo Moro, in un epico
discorso che ho trovato integralmente e che cito spesso, disse fra l’altro:
…A lungo si è ripetuto che
alla piena esplicazione della Resistenza ha nociuto il peso negativo
rappresentato dal Mezzogiorno, che non ha compiuto l'esperienza della lotta
partigiana del Nord Italia. Gli storici tendono ora a correggere questa visione
dualistica, di un Nord, proiettato verso una peraltro indefinita rivoluzione, e
un Sud, ancora una volta "palla al piede" dello sviluppo italiano. Il
rapporto tra Mezzogiorno e Resistenza è complesso. Non va dimenticato, nello
sfondo, ciò che pagarono le campagne del Mezzogiorno al fascismo. È vero, fu
avviata una politica di bonifiche che consentì in un secondo tempo la
formazione di ceti agrari più progrediti, meno attaccati alla esclusiva
conservazione della rendita. Ma quel poco che si fece sotto il fascismo per il Sud,
ebbe come corrispettivo il blocco dell'emigrazione interna, una politica di
bassi salari, sperequazioni tributarie e pesanti vincoli contrattuali nelle
campagne. Il programma fascista di un'Italia rurale ed eroica portò in realtà
ad un eccesso di popolazione contadina, costretta a vivere entro strutture
economiche rimaste arcaiche e statiche e perciò prive di impulsi creativi.
Crollato il fascismo e liberato il Mezzogiorno dalle truppe alleate, non per
caso ancora una volta furono le campagne a muoversi. Si trattava della lotta al
latifondo e della riforma agraria, cioè di una delle esperienze più
significative di questo dopoguerra, che ha consentito lo svilupparsi di un
grande movimento contadino nel Sud ed ha impegnato i governi in un notevole
sforzo, nel suo insieme positivo.
Ma, tornando agli anni cruciali che vanno dalla fine del '43 a tutto il
'45, non ci sembra si possa dire che il Mezzogiorno fu una remora alla
realizzazione degli ideali della Resistenza. Non vanno dimenticati gli
intellettuali meridionali schierati sul fronte della libertà. E poi parlano le
cose. Il Sud ha dato con profonda convinzione il suo apporto alla guerra di
liberazione e ai primi atti dei governi della coalizione antifascista; ha
contribuito al crollo degli eserciti nazifascisti, facilitando l'avanzata di
quelli alleati; ha visto la nascita e l'affermarsi delle prime libere
manifestazioni politiche dei partiti antifascisti; ha scritto con
l’insurrezione napoletana una tra le pagine più belle della Resistenza. [...].
Penso che questo
documento di Moro sia uno dei più importanti scritti sulla Resistenza italiana.
Parliamo di alcune figure salentine
emblematiche della lotta di liberazione.
Intanto inizierei da
Enzo Sozzo, a Imperia dove si spostò sposò una ragazza di famiglia comunista,
dalla conoscenza con quella famiglia inizò ad avvicinarsi ai partigiani. Le
cose fondamentali che fece furono sostanzialmente il segnalare presenze di
nazisti e pericoli.
In realtà erano due i leccesi
sposati con due sorelle, Enzo e Aldo Vallone di Galatina. L’otto settembre Enzo
lasciò la divisa e incontrò questa donna. Dopo la guerra tornò a Lecce dove
fondò l’ANPI.
Altro personaggio
importantissimo è il fratello di Enzo, Andrea Sozzo. Militare alle bocche
di Cattaro dove i nazisti attaccarono, lui difese la postazione e vi trovò la
morte, per sette giorni nessuno seppe
nulla del suo sacrificio.
Poi cito Ludovico Patrizi di Cursi che è considerato il primo caduto della
Resistenza italiana. Si trovava a Genova sul Ponte decimo, alla sua squadra
venne ordinato di tenere la postazione e non far passare i nazisti, assiame a 4
commilitoni venne ucciso la notte dell’otto settembre. Fu il ministro Taviani
(DC) che gli dedicò il ponte che ora porta il suo nome.
Altra figura importante è Maria Teresa Sparacio[3]
Poi diciamo di
Salvatore Donno di Corigliano d’Otranto, comandante di una formazione di
finanzieri a Milano, divenne uno dei capi della Resistenza milanese. E non
dobbiamo assolutamente scordare l’apporto delle donne alla lotta di liberazione
a livello nazionale, anche in Salento le
staffette partigiane note sono state: Maria teresa SPARASCIO (Caprarica del
Capo-Tricase); Sieve Luigina ALFARANO (Casarano); Aida CAGGIULA (Parabita);
Adele MILEO e la sorella Amelia MILEO (Lecce); Giulia MOSCO (Lecce); Carmela
SCRIMIERI (Novoli; Maria Teresa SPANO (Melissano); a queste vanno aggiunte
altre staffette non leccesi ma residenti a Lecce perché mogli di cittadini
leccesi, fra cui: Antonia Maria MAGGIORE (Lecce); Antonietta FAZZINI SOZZO
(Lecce); Annunziata FIORE (avellinese sposata a Lecce, la più giovane
partigiana di tutta la Resistenza, combattente in Albania) e di molti
potremmo ancora parlare.
ANPI nazionale
ultimamente ha fatto due convegni proprio per dire della resistenza a sud, uno
a Torino e uno di Napoli del quale ancora non abbiamo gli atti che verranno
pubblicati. L’ANPI sapeva, però anche lì c’è stata sottovalutazione. Quando
venne fondata ANPI a Firenze il meridione era pochissimo rappresentata, da
Lecce erano in due, nessuno da Brindisi e Bari. Ora si tenta di colmare, con
colpevole ritardo forse, questo vuoto.
ANPI Lecce come nacque e quali furono le sue prime iniziative?
Ricordiamo che fu Enzo Sozzo a fondare ANPI Lecce e a dare vita ad un primo
archivio dei partigiani salentini. Quando nacque l’ANPI si occupò di assistenza
alle famiglie dei partigiani caduti, molto spesso si trattava di orfani e
vedove, a loro venne fatto avere un buono di 20.000 lire per i caduti e 10.000
per i feriti. Per fare ciò fu indispensabile un lavoro di selezione, di
comprendere chi fossero i Partigiani per evitare errori di valutazione. Quando
cadde il fascismo molti dissero di aver partecipato alla Resistenza.
Successivamente l’assistenza si trasformò anche in pacchi di generi di
prima necessità. Dagli anni ’70 del novecento si puntò a ricordare i caduti,
mettere le targhe nei municipi e fare avere le medaglie a chi le meritava.
Purtroppo mentre a nord nacquero immediatamente gli Istituti Storici della Resistenza,
qui da noi il ritardo è stato immenso. Stiamo faticosamente tentando di
recuperare le informazioni mancanti, però di testimoni diretti, per ovvie
ragioni anagrafiche, ne sono rimasti molto pochi, per cui le ricerche si fanno
percorrendo l’Italia in lungo e largo, frequentando archivi militari e degli
Istituti Storici e cercando testimonianze dei parenti.
E’
stata questa voglia di portare alla luce verità storiche dimenticate che ha
spinto il Professor Ippazio (Pati) Luceri a fare questi
preziosi volumi, abbiamo parlato anche con lui per fare un quadro aggiornato
dei numeri e di piccoli episodi che hanno caratterizzato quei periodi neri per
la storia dell’Italia.
“Accanto ai nomi più
conosciuti degli antifascisti (solo per citare qualcuno, Casalino, Mauro,
Refolo, Sozzo, Povero, Milinanni), nel libro si leggono i più comuni cognomi
del Salento, tanto che il primo impulso che si prova è cercare, in
quell’elenco, i propri nonni, i propri compaesani, le persone di cui si è
sentito raccontare. Luceri annota storie e vite classificate per nome e
cognome, brigata d’appartenenza, paese d’origine, nome dei genitori, data di
nascita, nome di combattimento, periodo di militanza partigiana e presidi di
lotta. Il quadro che ne emerge racconta un’altra storia, quella partigiana e
antifascista, fatta da gente di umili origini, per lo più contadini, bandisti,
artigiani che hanno lottato con la vita. È la storia di Ugo Baglivo, di
Alessano, fucilato nelle Fosse Ardeatine; di Michele Schiavone, di Scorrano,
prima monaco e poi anarchico, confinato nel carcere di Turi dove muore nel
1935; del poeta e pittore Giuseppe Sozzo, di Surbo, prigioniero nei lager in
Polonia e poi in Germania, del regista cinematografico Emanuele Caracciolo,
nato a Tripoli da genitori gallipolini, imprigionato a Regina Coeli e ammazzato
con un colpo di pistola alla nuca. O di Graziano Fracasso, di Tricase, e
Giuseppe Nocco, nativo di Maglie, entrambi combattenti sul Monte Tricorno, due
soldati che si riconobbero dal proprio dialetto tra le bombe e i colpi di
fucile, e giurarono di salutare ognuno i parenti dell’altro se uno di loro
fosse rimasto ucciso. Fu Fracasso a recarsi a Maglie, commosso, davanti al
portone della famiglia Nocco.” Questa la presentazione del primo libro di Pati
pubblicata su 20 centesimi.
Nel Salento leccese
parliamo di 1200 partigiani e 600 patrioti provenienti da tutti i paesi della
provincia. Chiamiamo Patrioti i resistenti che hanno combattuto meno di dei
mesi o gli appartenenti del C.I.L. (Corpo Italiano di Liberazione). Altro
discorso è quello dei deportati di cui diremo. I caduti sono stati 210. 12
furono le donne resistenti, alcune staffette, altre combattenti.
Dove hanno combattuto?
Jugoslavia, Grecia,
Albania, Italia settentrionale. In Francia molti meno. In Jugoslavia la
resistenza italiana fu molto forte. Moltissimi erano militari sbandati dopo
l’otto settembre, decisero, di non passare con i nazifascisti e diedero vita a
formazioni partigiane vere e proprie.
Erano militarmente preparati anche.
Lo erano,
compatibilmente con la preparazione dell’esrcito fascista, ed erano armati, a
differenza dei militari poi deportati. Diversa è la situazione al nord Italia,
molti civili che erano lassù per motivi diversi si aggregarono alle formazioni
partigiane spontaneamente. Erano operai, intellettuali, studenti.
Altro capitolo, dicevamo, è quello dei deportati.
Erano militari che non
aderirono alla Repubblica di Salò e al nazismo, vennero disarmati dai nazisti e
deportati nel lager. Sono veri e propri patrioti anche loro. Nel mio ultimo
libro ho schedato 7.157 militari del Salento leccese che sono stati deportati
vilmente, soprattutto dalla Grecia, con la promessa di essere portati in
Italia.
Per scrivere i tuoi libri hai contattato anche i parenti dei
deportati.
E’ vero, e sono sempre
stato accolto con affetto. Ho trovato commozione e voglia di sapere, purtroppo
manca una memoria tramandata dai diretti interessati e per responsabilità delle
istituzioni, nessuno qui ha mai fatto una ricerca dettagliata. Non solo da noi,
parlo dell’intero centro sud italiano dove le carenze di ricerca sono immense.
I deportati non ne hanno mai parlato perché ne avevano paura, non osavano. In un
recente libro intervista ad uno di loro, ora novantenne, disse di non averne parlato “perché nei campi la situazione fu talmente
drammatica che nessuno, neppure mia madre, mi avrebbe creduto”.
Ho presentato il mio
libro in molti paesi, ricordo a Carpignano, dove un ex deportato, alla
richiesta di dire qualcosa, rispose “no,
starei ancora malissimo”.
Antonio P. di
Castrignano dei Greci mi disse in grico “Figlio
mio, mai più guerra, mai più guerra, mai più guerra”. I figli di Leonardo
C. non gustarono mai le patate fritte da bimbi, lui non voleva sentire né
vedere patate in casa, troppe ne dovette ingoiare.
Poi ci sono state altre
testimonianze, tasselli di ricordi. La nipote che mi ha portato una lettera del
nonno dal lager che scriveva in italiano “sto
bene, qui è tutto bello” poi in grico “sono
incatenato”. Doveva superare la censura e lo fece con il suo dialetto!
Voglio finire citanto
Pisino di Maglie, fondatore del gruppo Bandiera Rossa. Viveva a Roma, osava
disarmare i fascisti e portava le armi a Torpignattara dove insegnava di giorno
ai giovani ad usarle. Per una soffiata venne trucidato alle Fosse Ardeatine con
altri salentini, il melissanese Caputo, il gallipolino Emanuele Caracciolo,
sceneggiatore a cinecittà, Baglivo, avvocato alessanese, i fratelli Carola,
militari.
Bibliografia essenziale
Aldo Quarta: Lecce “qualunquista” – Quarta Editore,
Lecce 1991
Enzo Sozzo: La Valigia- A cura di Carlo Sozzo e
Maurizio Nocera – Conte editore – Lecce, 1995
ANPI LECCE: Il Salento per la Libertà e la Pace – 1984
Maurizio Nocera (a cura di) : Enzo Sozzo L’uomo,
l’Opera – 1990
Ippazio (Pati) Luceri: Partigiani e antifascisti di
Terra d’Otranto – Lecce, Brindisi e taranto – Grafiche Giorgiani - 2013
Ippazio (Pati) Luceri: Partigiani, antifascisti e
deportati de Lecce e provincia Grafiche Giorgiani 2014
Ippazio (Pati) Luceri: I Deportati salentini leccesi
nei lager nazifascisti Grafiche Giorgiani 2015
Francedsco Accogli, Massimo Mura: Maria Teresa
Sparacio. Staffetta partigiana salentina. Ed. dell’Iridie 2004
Roberto Battaglia Storia della Resistenza italiana 8 settembre 1943 – 25 aprile 1945.
Torino 1964
G. Bocca, Storia dell'Italia
partigiana, Laterza, Bari 1966
G. Capobianco, Il recupero della memoria. Per una storia della Resistenza in Terra di
Lavoro - Autunno 1943, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1995
G. Chianese, Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, in E. COLLOTTI-R. SANDRI-F. SESSI,
"Dizionario della Resistenza. Storia e geografia della Liberazione",
vol. I, Einaudi, Torino 2000
G. Chianese, Matera, Napoli, Caiazzo: il Sud si ribella, in "Il Manifesto", 25
aprile 1995
A. de jaco, La Resistenza nel Sud. Cronaca per testimonianze, Argo, Lecce, 2000
A. monti, Il movimento della Resistenza e il Mezzogiorno d'Italia, in
"Rinascita", n. 4, 1952
E. Santarelli, La rivolta di Lanciano e la Resistenza nel Mezzogiorno, in "Rivista
Abruzzese di Studi Storici dal fascismo alla Resistenza", anno IV, nn.
2-3, luglio-novembre 1983
G. Schreiber, La vendetta tedesca 1943-1945. Le rappresaglie naziste in Italia,
Mondadori, Milano 2000
http://www.unigalatina.it/ : Maurizio
Nocera – Enzo Sozzo nell’arte e nella vita
Bianco E. Leberi e Ribelli – Argo Editore,
Lecce 1999
Boccasile G.-Leuzzi V.A.- Benvenuto Max, ebrei e
antifascisti in Puglia – Ipsaic, Progedit, Bari 2007
[3]Maria Teresa Sparascio/ nata a Caprarica di Tricase il 13 ottobre 1906/
durante la Resistenza Nazionale/ testimoniò con la vita/ l’amore della libertà/
la pietà della famiglia/ l’antica fierezza della piccola patria lontana.
Tricase la ricorda e onora solennemente il 2 febbraio 1986.
Così sta scritto sulla lapide nell’atrio di Palazzo
Gallone in Tricase.
Maria Teresa Sparacio sposò l’appuntato dei
carabinieri Efisio Licheri. Lui veniva trasferio continuamente, andò anche sul fronte
Italo Jugoslavo rientrando in patria nel giugno 1942. Nel 1943, sempre per
servizio, si trovava a Langhirano (Parma) con la famiglia. L’otto settembre
l’armistizio e lo sbandamento. Moltissimi militari rimasero senza ordini, a Sud
c’erano gl ialleati, a nord, oltre la Linea Gotica, la Repubblica di Salò e i
nazisti. Licheri decise di salire in montanga con i partigiani ed entrò nella
Brigata Pablo con il nome di battaglia di Torino. Il territorio brulicava di
nazi fascisti, quindi erano indispensabili le staffette che portavano cibo e
comunicazioni ai combattenti, Maria
Teresa era una di queste. A Langhirano c’erano i nazifascisti, era
il 24 settembre, Maria Teresa stava in casa con le figliole, stava riordinando
documenti che il marito le aveva affidato, si chinò per raccogliere le
scarpione delle bimbe, dalla piazza un nazista sparò nella finestrella della
mansarda dove viveva. Un proiettile le trapassò il polmone sinistro davanti
agli occhi della piccola Maria D’Itria. Efisio seppe la cosa solo il giorno
successivo, si precipitò all’opedale di Parma per donarle il sangue.
Maria Teresa morì il 7 ottobre 1944.
io ricordo anche GIOVANNI ROCCI , mio nonno , faceva parte di quei carcerati in maniera preventiva e ricordo il racconto di mio padre GIORGIO CASALINO che marinaio a Napoli partecipa con altri della sua nave alle 4 giornate di Napoli
RispondiEliminaVi segnalo il capitano dei Carabinieri Ettore Bianco nato a Corigliano d'Otrano nel 1917 e comandante dei Carabinieri a Teramo. Rifiutando la resa ai tedeschi organizzò una banda che si scontrò col nemico prima nella nota battaglia di Bosco Martese tra i l25 e il 27 settembre 1943 e poi si spostò nell'appennino acquasantano (AP) fino alla liberazione. E' Medaglia d'Argento al V. M.
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