Commenti

Non pubblicheremo commenti anonimi.

sabato 24 dicembre 2011

Auguri scomodi (Don Tonino Bello)


Tanti auguri scomodi
 Non obbedirei mai al mio dovere di vescovo, se vi dicessi "Buon Natale" senza darvi disturbo. Io, invece, vi voglio infastidire.
Non posso, infatti, sopportare l'idea di dover rivolgere auguri innocui, formali, imposti dalla "routine" di calendario.
Mi lusinga, addirittura, l'ipotesi che qualcuno li respinga al mittente come indesiderati. Tanti auguri scomodi, allora!
Gesù che nasce per amore vi dia la nausea di una vita egoista, assurda, senza spinte verticali. E vi conceda la forza di inventarvi un'esistenza carica di donazione, di preghiera, di silenzio, di coraggio.
Il bambino che dorme sulla paglia vi tolga il sonno e faccia sentire il guanciale del vostro letto duro come un macigno, finchè non avrete dato ospitalità a uno sfrattato, a un povero marocchino, a un povero di passaggio.
Dio che diventa uomo vi faccia sentire dei vermi ogni volta che la carriera diventa l'idolo della vostra vita; il sorpasso progetto dei vostri giorni: la schiena del prossimo, strumento delle vostre scalate.
Maria, che trova solo nello sterco degli animali la culla ove deporre con tenerezza il frutto del suo grembo, vi costringa con i suoi occhi feriti a sospendere lo struggimento di tutte le nenie natalizie, finché la vostra coscienza ipocrita accetterà che lo sterco degli uomini o il bidone della spazzatura o l'inceneritore di una clinica diventino tomba senza croce di una vita soppressa.
Giuseppe, che nell'affronto di mille porte chiuse è il simbolo di tutte le delusioni paterne, disturbi tutte le sbornie dei vostri cenoni, rimproveri i tepori delle vostre tombolate, provochi cortocircuiti allo spreco delle vostre luminarie, fino a quando non vi lascerete mettere in crisi dalla sofferenza di tanti genitori che versano lacrime segrete per i loro figli senza fortuna, senza salute, senza lavoro.
Gli angeli che annunciano la pace portino guerra alla vostra sonnolenta tranquillità incapace di vedere che, poco più lontano di una spanna con l'aggravante del vostro complice silenzio, si consumano ingiustizie, si sfrutta la gente, si fabbricano armi, si militarizza la terra degli umili, si condannano i popoli allo sterminio della fame.
I poveri che accorrono alla grotta, mentre i potenti tramano nell'oscurità e la città dorme nell'indifferenza, vi facciano capire che, se anche voi volete vedere "una gran luce", dovete partire dagli ultimi. Che le elemosine di chi gioca sulla pelle della gente sono tranquillanti inutili. Che le pellicce comprate con le tredicesime di stipendi multipli fanno bella figura ma non scaldano. Che i ritardi dell'edilizia popolare sono atti di sacrilegio, se provocati da speculazioni corporative.
I pastori che vegliano nella notte, "facendo la guardia al gregge" scrutando l'aurora, vi diano il senso della storia, l'ebbrezza delle attese, il gaudio dell'abbandono in Dio. E vi ispirino un desiderio profondo di vivere poveri: che poi è l'unico modo per morire ricchi. Sul nostro vecchio mondo che muore nasca la speranza!!!
don Tonino Bello

venerdì 23 dicembre 2011

storie di cronopios e fama


copertina di Storie di cronopios e di fama
 “Cronopios e famas”.

Chi sono questi personaggi inquietanti e bizzarri di Cortazar? Quelli che stanno nel libro giudicato da molti il suo capolavoro assoluto?

Italo Calvino era uno che quando scriveva lo sapeva fare veramente. Allora lo faccio dire a lui chi sono i cronopios e i famas. Sono tesi e antitesi, volo e cammino faticoso, sorriso e triste consapevolezza dell’oggi. E mentre scrivo, invidio Calvino, forse lo detesto anche un po’ perché lui sa scrivere. E’ uno di quelli che quando l’hai letto ti tocca dire “ma perché non l’ho scritto io?” Però… a ciascuno il suo. Accontentiamoci del nostro orticello.

«I cronopios e i famas, due geníe d'esseri che incarnano con movenze di balletto due opposte e complementari possibilità dell'essere, sono la creazione piú felice e assoluta di Cortázar. Dire che i cronopios sono l'intuizione, la poesia, il capovolgimento delle norme, e che i famas sono l'ordine, la razionalità, l'efficienza, sarebbe impoverire di molto, imprigionandole in definizioni teoriche, la ricchezza psicologica e l'autonomia morale del loro universo. Cronopios e famas possono essere definiti solo dall'insieme dei loro comportamenti. I famas sono quelli che imbalsamano ed etichettano i ricordi, che bevono la virtú a cucchiaiate col risultato di riconoscersi l'un l'altro carichi di vizi, che se hanno la tosse abbattono un eucalipto invece di comprare le pasticche Valda. I cronopios sono coloro che, se si lavano i denti alla finestra, spremono tutto il tubetto per veder volare al vento festoni di dentifricio rosa; se sono dirigenti della radio fanno tradurre tutte le trasmissioni in rumeno; se incontrano una tartaruga le disegnano una rondine sul guscio per darle l'illusione della velocità. Del resto, osservando bene, si vedrà che è una determinazione degna dei famas che i cronopios mettono nell'essere cronopios, e che nell'agire da famas i famas sono pervasi da una follia non meno stralunata di quella cronopiesca».

“Quando i cronopios cantano le loro canzoni preferite, il loro  rapimento è tale che più d’una volta sono finiti sotto un camion o una bicicletta; cadono dalla finestra, perdono quel che avevano in  tasca e persino il conto dei giorni.”

Meditazione del  cronopio:

 «È tardi, ma meno
 Tardi per me che per i famas,
 per i  famas è cinque minuti più tardi,
 andranno a letto più tardi.
 Io ho un orologio con meno vita, meno casa
 E meno andarmene a letto
 Io sono un cronopio disgraziato e umido».
 “…Mentre beve il caffè al  Richmond di Florida, bagna il cronopio il suo biscotto con le sue  lacrime naturali...”

Sentirsi cronopios o fama? Essere qui ed ora o vivere oggi svolazzando fra ieri e dopodomani?  Vedere il mondo con gli occhi   di uno di quelli che si dicono “pragmatici”, e quando sente quella parolaccia, un cronopio qualunque pensa ad una brutta malattia che cancella le emozioni, oppure vedere le cose chiudendo gli occhi? Con la forza dei ricordi che addolciscono i colori e le emozioni? E’ vero, poi cammini ad occhi chiusi.  E’ vero, sbatti contro l’albero che sta  corteggiando spudoratamente il cespuglio lì vicino. E’ vero, è tutto vero. Però vuoi mettere la visione della realtà distorta.  Forse solo contorta. Forse meno irreale di quell’altra, quella fatta di numeri e caselle incasellate?
 E poi, alla fine, quando anche i famas scoprono che spesso, troppo spesso “il vero è inverosimile”?  Quando scoprono, giusto per fare un esempio banale, che un paese esporta armi nei territori in cui manda guerrieri con armature e archibugi e dire che vanno a “fare la pace”?  Ah il realismo dei famas…..
Salento… Voi salentini per grazia ricevuta o per casta, pensate di esserne esenti? Anche qui cronopios e famas. Il maestrale può essere un fastidioso vento, oppure un’opportunità per vedere il cielo terso standosene, nelle notti d’inverno, in campagna a farsi congelare senza sentire freddo e guardare le stelle allungando la mano per toccarle una ad una. E riuscirci. E poi appenderle sui rami di un fico e aspettare che arrivi Natale. E accarezzare i capelli di lei che sogna il sogno di colorati palloncini volanti con attaccati bimbi che   ridono…. Ah Cronopios.    
Oppure camminare in riva al mare vedendo sbarcare pirati e guardando nocchieri maestosi sulle loro navi. Forse vanno a scoprire continenti colmi d’oro e felicità. I famas invece… Loro stanno seduti sulla sdraio davanti allo stesso mare pensando che, in fondo, la felicità sta solo nelle canzoni ascoltate a San Remo. E sicuramente hanno la testa appesantita da lu mieru. Ne hanno bevuto mezzo bicchiere.
Van Gogh che vendette un solo dipinto in vita  era un cronopio o un fama? Non abbiamo dubbi. E   i “pazzi” sciagurati che invece di pensare al guadagno scrivevano odi che nessuno leggeva? “Tempo perso…” diceva il fama più vicino a loro.  Ma il tempo non si perde mai così, invano. Una coda all’ufficio postale può essere eterna e crudele, ma può diventare leggera come l’aria  mentre aspetti l’impiegata che ti chiami. E l’impiegata è spesso triste, raramente con un pacato sorriso, però ben vestita perché “sono a contatto con il pubblico”. E quando lo chiamano “il pubblico” il fama rivendica la sua intimità, il cronopio offre due petali di viola alla signora dietro il bancone. Anche se  non sorride.    Ed è ancora più leggera l’attesa se immagini che i bollettini che ti trascini in mano siano aquiloni. Lo so, poi devi tornare con i piedi a terra. Ti tocca pagare.  Però intanto hai scippato il tempo. Gli hai rubato la noia. Vuoi mettere la differenza?
E cosa erano i briganti che facevano boccacce ai piemontesi tristi e cupi? 
Non ne ho idea…. Forse non voglio, semplicemente, parlarne. 
 
Cortazar: Storie di Cronopios e Fama – Einaudi tascabili, 2005 (ed. originale, 1962)

giovedì 22 dicembre 2011

Farmacie: gli intoccabili


Arriva Monti, quello che rivendica “mani libere dai partiti” infatti liberalizza. Illuso, e le caste?  Brian De Palma li chiamò “Gli intoccabili” solo che i suoi erano poliziotti che davano la caccia a Al Capone, qui si gioca a parti invertite, è l'ippopotamo che si siede sul cardellino. Bruttissima storia veramente quella delle parafarmacie e dei taxi, riescono a bloccare due governi, prima  Prodi, ora Monti. Il governo intermedio, quello del bunga bunga, non ci ha nemmeno provato, loro sono i finti liberisti, i re del monopolio e delle caste. 
Ne abbiamo parlato con un esponente del mondo delle parafarmacie che ha voluto mantenere l’anonimato per motivi facilmente intuibili.

“Allora che è successo?”

“Il decreto Bersani prevedeva, dopo l’apertura delle parafarmacie, la liberalizzazione dei farmaci di fascia C, quelli con ricetta bianca. In fascia A ci sono quelli a carico dello Stato, ricetta rossa. Fase che non è mai arrivata, la fascia C se la tengono le farmacie”.

“Cosa comprende la famigerata fascia C?”

“Parliamo di 3741 farmaci che il primo decreto Monti aveva liberalizzato. Poi passarono ad una restrizione in base al tipo di ricetta, poi si parlò di liberalizzare solo in comuni con meno di 15.000 abitanti. La notte del 13 dicembre colpo di scena. Dalla fascia C sono spariti gli iniettabili, gli anticoncezionali e altri. In pratica siamo passati, a 1615 farmaci che potenzialmente potremmo vendere. Potenzialmente perché il ministero deciderà quanti di questi resteranno entro 120 giorni. Decideranno le caste o il ministero?”
lavoro041.jpg
ph:http://www.paginainizio.com/humor  


“A proposito di ricette obbligatorie, ricordo un servizio in TV in cui alcuni farmacisti venivano presi con le dita nella marmellata scordandosi l’obbligo”.


“In Tv? Forse a Striscia la notizia? Se ne sentono tante in giro”.

“Fatto 100 le vendite, a quanto ammonta la fascia C?”

“Diciamo fra 70 e 80”

Beh, si comprende qualcosa in più”

“Guardi, da un punto di vista dei fatturati con il decreto Monti originario si parlava di 500, 600 euro medi mensili di perdita per le farmacie, il grosso del fatturato lo fanno sulle ricette”

“A Lecce di che numeri parliamo per quanto vi riguarda?”

“Siamo 6 parafarmacie. D’altra parte acquistare una farmacia non è possibile per le persone normali. Per questo hanno il terrore delle liberalizzazioni, la concorrenza impaurisce e i castelli perderebbero valore. Prima del decreto Bersani i prezzi erano fissi. Ora la concorrenza è a vantaggio del cliente, noi dobbiamo vendere a prezzi scontati se vogliamo sopravvivere. Su molti farmaci da noi si risparmia anche il 20%, questo non può succedere in regime di monopolio. Ora il prezzo non è più fisso in fascia C, però se rimane il monopolio non cambia nulla”.

“Ma voi siete qualificati?”

“Siamo laureati. Molti di noi hanno un passato decennale come operatori in farmacie. Siamo iscritti all’albo, paghiamo le stesse quote, facciamo gli stessi corsi di formazione dei colleghi blasonati, ci dicono che non siamo attrezzati per fare preparazioni galeniche. Mi spiega lei perché dovrei attrezzarmi per fare cose che la legge mi vieta di fare? Io non posso neppure vendere erbe sfuse come le erboristerie, di che parliamo?”

“Un farmacista intervistato disse che non si possono vendere farmaci e salumi come nei centri commerciali”

“Lo dice FEDERFARMA, nel 2006 sosteneva che, invece di creare parafarmacie, si mettessero farmaci da banco nelle stazioni e negli aeroporti senza  alcuna presenza di farmacisti, ritenuta forse inutile. Magari con distribuzione gestita da loro. Cosa sono le dichiarazioni di questi giorni?”

“Già, sembra bizzarro. all’estero come funziona?”

“Saremmo stati un paese pilota. E' vero, la fascia C all'estero è venduta nelel farmacie. Però là le farmacie sono liberalizzate, qui sono in poche mani, le solite da decenni, sono per jus sanguinis”.

“Perché sono così potenti?”

“Nel governo Berlusconi in commissione sanità c’era il sen. D’Ambrosio Lettieri. Sa chi è? Presidente dell’Ordine Farmacisti di Bari e titolare di farmacia. Vogliamo parlare di conflitto di interessi?”.

“Qui a Lecce sarete rappresentati nell’Ordine”

“Sulla carta, nella realtà sono rappresentati i titolari di farmacie e i loro parenti. E’ come se non esistessimo. Siamo un male da estirpare. Pensi che anche nei depositi medicinali applicano per noi condizioni diverse rispetto a quelle delle farmacie. Molto spesso hanno titolari di farmacie nei consigli di amministrazione. I prezzi della merce sono identici e convenzionati per tutti, per noi cambiano le scontistiche e ci sono fantomatici costi di gestione riservati”.

“Volete diventare farmacie a tutti gli effetti”

“Guardi, noi chiediamo di essere non convenzionati, lasciamo le ricette rosse alle farmacie. Chiediamo di fare come per i laboratori di analisi convenzionati e quelli privati. Il cliente ne troverebbe giovamento a parità di trattamento. Ha mai chiesto uno sconto in farmacia prima della nascita dei nostri punti vendita? Ora sa che si può fare. Grazie a noi anche”.


   

mercoledì 21 dicembre 2011

auguri dal governo dei tecnici


Il governo dei tecnici augura buon Natale (nella foto il premier Monti)

politici, banchieri e trinciato

Pensierino del pomeriggio. Un tempo qualche imbecille pensò di tassare gli sms. La chiamarono "tassa sui fidanzatini". Non se ne fece nulla, anche i politici hanno un'anima.
Oggi un premier tassa il tabacco per sigarette. Quello che utilizzano i ragazzi per risparmiare. I banchieri non hanno anima......

Savinien Cyrano de Bergerac

Pezzo scritto la scorsa primavera.




“ Mi sta guardando... Mi pare proprio che mi guardi, che si permetta di fissarmi il naso - lei che sul teschio camuso non ha naso... (si mette in guardia) Che dite? Che è inutile resisterle?...Lo so. Ma non si combatte solo per vincere. No, è assai più bello quando è inutile!...Vi vedo. Quanti siete? Mille? - Vi riconosco, ci siete tutti... tutti i miei vecchi nemici! La Menzogna? (Tira colpi di spada nel vuoto) Tieni! Prendi! Ah ah! Il Compromesso, il Pregiudizio, la Viltà... (Duella) Volete che venga a patti? Mai!... Ah, eccoti anche te, la Stupidità!... Lo so che alla fine l'avrete vinta voi, ma non m'importa: io mi batto! mi batto! mi batto! Sì, m'avete preso tutto: l'alloro e la rosa. Prendete! Prendete!... Ma c'è qualcosa che porto con me, nonostante voi, qualcosa con cui stasera saluterò l'azzurra soglia del cielo nel presentarmi a Dio, qualcosa che non ha piega né macchia...(si lancia con la spada levata verso il vuoto) qualcosa che...(La spada gli scivola dalle mani, barcolla, cade nelle braccia di Le Bret e Ragueneau)
ROSSANA  : Che cosa?
CIRANO  : Qualcosa... qualcosa che...Il pennacchio mio.”
Questo è il finale del Cyrano. Ed è il suo ultimo fiero combattimento. Ogni personaggio che ha dignità combatte i suoi mulini a vento. Grandi, immensi, tuttavia non invincibili. Uno stupendo spirito libero Cirano Saviniano Ercole di Bergerac. Proteso da sempre verso l’utopia. Sprezzante del denaro e della gloria. Spadaccino incontenibile e vincente sempre. Solo un vile attacco alle spalle riuscirà a fermarlo.. L’idea di libertà non si vince guardandola fissa negli occhi. La si deve colpire vigliaccamente . E il pennacchio sul cappello  è  la sua libertà. Ed è la ricchezza che nessuno potrà mai strappargli,  e che si porterà orgogliosamente appresso.
Il dialogo con l’amico Le Bret, che gli rimproverava di aver gettato alla compagnia teatrale il denaro che gli serviva a sopravvivere per il mese, dopo aver rovinato lo spettacolo con il duello finito con il celebre:” “ecco, e' finita la ballata, io tocco.”, è da un lato disarmante, dall’altro di una grandezza immensa. “
“LE BRET: E per il resto del mese?
CIRANO: Non ho più niente.
LE BRET: Che Pazzia!
CIRANO: Ma che gesto!”
E ancora, quando viene sollecitato a mettere la sua capacità di scrivere versi al soldo di qualche protettore ricco e potente risponde:
“  E che dovrei fare? Cercarmi un protettore? Trovarmi un padrone? Arrampicarmi oscuramente, con astuzia, come l'edera che lecca la scorza del tronco cui si avvinghia, invece di salire con la forza? No, grazie.
Dedicare versi ai ricchi come qualsiasi opportunista? Fare il buffone nella speranza vile di vedere spuntare sulle labbra di un ministro un sorriso che non sia minaccioso? No, grazie.
Mandar giù rospi tutti i giorni? Logorarmi lo stomaco? Sbucciarmi le ginocchia per il troppo genuflettermi? Specializzarmi nel piegare la schiena? No, grazie.
Accarezzare la capra con una mano e annaffiare il cavolo con l'altra? Avere sempre a portata di mano il turibolo dell'incenso in attesa di potenti da compiacere? No, grazie.
Progredire di girone in girone, diventare un piccolo grande uomo da salotto, navigare avendo per remi madrigali e per vele sospiri di vecchie signore? No, grazie.
Farmi pubblicare dei versi a pagamento dall'editore Sercy? No, grazie.
Farmi eleggere papa da un concilio di dementi in una bettola? No, grazie.
Affaticarmi per farmi un nome con un sonetto invece di scriverne degli altri? No, grazie.
Trovare intelligente un imbecille? Essere angosciato dai giornali e vivere nella speranza di vedere il mio nome apparire sulle riviste letterarie? No, grazie.
Vivere di calcolo, ansia, paura? Anteporre i doveri mondani alla poesia, scrivere suppliche, farmi presentare? No, grazie. Grazie, grazie, grazie, no!
Ma invece... cantare, ridere, sognare, essere indipendente, libero, guardare in faccia la gente e parlare come mi pare, mettermi - se ne ho voglia - il cappello di traverso, battermi per un sì per un no o fare un verso!
Lavorare senza curarsi della gloria e della fortuna alla cronaca di un viaggio cui si pensa da tempo, magari nella luna!
Non scrivere mai nulla che non sia nato davvero dentro di te!
Appagarsi soltanto dei frutti, dei fiori e delle foglie che si sono colte nel proprio giardino con le proprie stesse mani!
Poi, se per caso ti arriva anche il successo, non dovere nulla a Cesare, prendere tutto il merito per te solo e, disprezzando l'edera, salire - anche senza essere né una quercia né un tiglio- salire, magari poco, ma salire da solo!”
Penso che il significato di Cyrano stia proprio in queste poche battute. E so che ci sono e ci sono state persone per le quali il denaro era poca cosa, così come era nulla tutto ciò che si potevano permettere vendendo il loro mestiere o la loro arte. Nulla in confronto alla grandezza del gesto che avrebbero compiuto.
 Perché Cyrano? E perché in questi giorni? Forse per il tanto  parlare di principi non negoziabili. O forse solo perché la confusione è molta sotto il cielo primaverile. Ed ho bisogno di aria fresca. E perché  sento la necessità di fermarmi un attimo, e di combattere la voglia di lasciar andare le cose come sembrano andare. Per una strada che mi è sconosciuta e che, tutto sommato, disconosco.. Cyrano è l’antipolitica  , se la politica è   l’arte del compromesso. Ma può esserne il condensato stesso se è ricerca dell’equilibrio senza mai prescindere dai principi in cui si crede.
Lo stesso inconfessato amore per Rossana perché, come dice all’amico:  “ ... Vediamo, rifletti un po'. Questo naso che mi precede di un quarto d'ora dovunque io vada mi vieta perfino il sogno d'essere amato da una brutta. Allora, di chi vuoi che mi sia innamorato? Ma è chiaro! Mi sono innamorato - che vuoi farci- della più bella di tutte!” lo costringe ad arrivare al cuore della sua amata con le sembianze di un altro. E l’amore, si sa, quando si mette di traverso, sa essere una forza sconvolgente.      Solo alla fine svelerà il suo doppio ” No no, mio caro amore... io non ti ho amata mai.” E solo allora la fragile incosciente Rossana capirà che dietro le sembianze del bel Cristiano, bello e vuoto, si cela il sentimento alto di Cyrano. Che non se ne andrà senza aver finalmente osato dire il suo amore.
Già, perché Cyrano? E perché in questi giorni? Forse perché mi vorrei ritrovare, e vorrei ridare un senso alle cose che penso, e vorrei avere più certezze. E forse vorrei sentire la forza incosciente di dire che io so. So che dopo aver letto e  studiato e visto, le cose hanno il senso che io riconosco in loro. So che un’eclissi di sole è passeggera, so che una mareggiata poi passa e torna bonaccia. E so che i pescatori potranno tornare in porto, magari impauriti e spaventati, ma vivi. E conosco le verità sulla vita e sull’amore. Conosco lo sguardo complice di chi incontro per strada. Però non riesco a dirlo in questi momenti.  Cyrano mi accompagna da molti anni, forse è infantile, chissà. Ma la vita è un tutto tondo fatto di considerazioni e studio, ed è anche fatta di emozioni forti. Nel momento in cui un amore diventa routine, o in cui si crede che lo stato delle cose sia immutabile, allora è la sconfitta delle emozioni. E non solo di quelle, è la resa della speranza.


martedì 20 dicembre 2011

le bestie

http://www.youtube.com/watch?v=IKVKliwiZ4E

Non si commenta, si clicca, si guarda e basta. Parla da sè.

Five roses


Quando vidi la bottiglia, lessi distrattamente l’etichetta e feci una rapida associazione con il “four roses”. “Strano”, mi dissi,  “un bourbon a tavola? Sono capitato in una cena di alcoolisti?”. 
Eppure conoscevo bene gli amici che mi avevano invitato  in quel bellissimo giardino.”Sarà per il dopo” mi dicevo. La cena era in piedi, come si conviene nelle sere estive in giardino. Il piatto di plastica nella mano destra che fatalmente si piega sotto il peso del trancio di pizza e di qualche altra cosa. Devi essere un contorsionista per non far cadere tutto. Nella stessa mano il finto coltello, ovviamente di plastica, che non taglierebbe  neppure il burro. Il bicchiere nell’altra, rigorosamente in bilico anche lui. E’ una delle occasioni in cui ti rendi conto di quanta necessità ci sarebbe di una terza mano. Il pane non ce la facevo a tenerlo. Dovevo riorganizzarmi. Il tovagliolo, ripiegato, era riposto provvisoriamente in tasca. E mentre si è in equilibrio precario arriva sempre il ritardatario che ti saluta  tendendoti la mano.  Per risposta un cenno del capo e un sorriso “mi manca anche la quarta mano, le altre tre sarebbero già impegnatissime” sorrido.  Va bene lo stesso, la compagnia era piacevole, la musica anche. E, come in molte cene in piedi nelle serate estive, non si parlava si cose serie. Finalmente, solo amene facezie. Finchè uno degli amici mi si avvicina con la bottiglia incriminata e mi riempie il bicchiere all’orlo. Nel frattempo avevo guadagnato un gradino di cemento sul quale avevo riposto un po’ di cose e stavo tentando disperatamente e senza esito di tagliare il mio pezzo di pizza. Non ho riletto l’etichetta perché pensavo di sapere. Devo averlo guardato proprio male. “Non ti piace il rosato?” . Osservai con attenzione e mi resi conto del cambio di numero, non four, ma five. Pur non sapendo altro, sorrisi. “Non conosco questa marca”- tralasciando l’equivoco ovviamente -  “Sei in Salento da una vita e non conosci il five roses? Inconcepibile”. Ovviamente mi informai in seguito, giusto per non rifare la figuraccia di quello che arriva dal nord e non si rende conto di dove si trova. Per caso, nella libreria di una preziosa amica, trovai un libretto che diceva di non ricordo quale anniversario del rosato.
 Le cantine Leone De Castris furono fondate nel lontano 1665. Nel 1943 proprietario degli oltre 10.000 ettari di oliveto e viti era l’avvocato Piero Leone Plantera (Pierino), marito dell’erede del casato, Maria Lisa De Castris Di Lemos. E  quell’anno l’Italia era spaccata in due. Il ricco e produttivo nord devastato dalla guerra, con i tedeschi che occupavano, i partigiani che rendevano loro difficile la vita, l’esercito italiano sbandato e tutte le situazioni che ne derivavano. Mentre al sud c’erano gli alleati.
 L’avvocato Pierino doveva comunque vendemmiare, anche se la situazione era drammatica. I clienti del suo vino erano piemontesi, liguri, francesi. E ordini non ne arrivavano. L’annata era buona, ottima. In più, mancavano gli uomini per la vendemmia. Sbandati, fuori Italia, abbandonati anche dal Savoia re d’Italia – periodaccio anche per l’allora  principino, lo choc per lui fu tremendo,   infatti in futuro passerà il tempo a sparare dalla sua barca contro qualche austriaco. Poi si darà al videopoker e alle signorine. Ma questa è altra storia.-  
 Insomma, una situazione da incubo.
Non si perse d’animo Pierino. Con una decisione improvvisa ed  imprevista e soprattutto mal vista dagli altri latifondisti, decise di far lavorare le donne con lo stesso salario degli uomini. Non solo. La moglie Lisetta si occupò dei  figli delle lavoranti creando nella masseria una sorta di asilo in cui accudiva i bimbi e, cosa più importante, li nutriva. E ancora una decisione fuori da ogni convenzione dovette prenderla l’Avvocato. Decise che non avrebbe vinificato rosso da taglio per i vini del nord - spesso un po’ deboli. Slavati come camice verdi lasciate troppo al sole –  No, avrebbe prodotto vino rosato. E lo avrebbe imbottigliato. Era proprio pazzo quell’uomo. Nessuno in Puglia imbottiglia. Il rosato poi, roba da donnicciole.  Pazzo ma caparbio. Andò avanti.  Rimanevano piccoli problemi. Non c’erano bottiglie. L’industria era al nord, qui non si produceva nulla. E dal nord non arrivava uno spillo. Ho letto della mancanza di fiammiferi per esempio. Si ingegnarono utilizzando i bossoli per farne accendini.  A Brindisi, in quel tempo, c’era la base americana. E quei soldati bevevano fiumi di birra, e gettavano le bottiglie dove capitava. Pierino, aiutato da amici, pagò alcuni ragazzi a Brindisi e a Bari perché le raccogliessero e le inviassero a Salice Salentino. E ancora, la tipografia non poteva fare etichette. Non c’era carta. L’avvocato si rivolse agli americani e li convinse a fornirne una certa quantità. Anche questa era fatta. Si vendemmiò, si vinificò un ottimo rosato e si imbottigliò. Rimaneva un problemino di poco conto. Se non arrivano dal nord a comprare, chi diavolo avrebbe  acquistato? Il cinque rose – questo il nome originale, perché la tenuta omonima era la migliore - era veramente speciale. Decise di dare due grandi feste. Invitò tutta la Lecce che contava e gli alti comandi dell’esercito liberatore. Offrì il suo rosato. Qualche giorno dopo arrivò in azienda una jeep. Ci fu una rapida trattativa che si concluse con l’ordine di 35.000 bottiglie  per le truppe americane. Avrebbe sostituito almeno in parte la birra. “Però il nome dovrebbe essere più americano” fu la richiesta.  Da allora la produzione non si fermò più. Oggi l’azienda è florida e continua a produrre Five roses.

lunedì 19 dicembre 2011

Non siamo uno stato confessionale e integralista




Il vaticano chiede di vietare la pillola del  giorno dopo. C'è crisi ovunque, non nell'integralismo. La morale globale è tipica degli stati confessionali e integralisti. 
Meno chiesa e più etica per favore. Mica chiediamo di mettere in camicia di forza individui adulti di sesso maschile che se ne vanno in giro con lunghe tuniche rosse, con bastoni dorati e copricapi a punta a farsi baciare anelli che possiedono solo loro e il mago Otelma. Noi lasciamo che ognuno faccia il suo mestiere. Che ognuno abbia la libertà di credere ed obbedire al suo Dio senza calpestare le altre religioni e gli altri credo. 

pensierini di Natale


Natale incombe. Natività, cartapestai, la fiera dei pupi sotto tendoni di plastica bianca in piazza Sant’Oronzo. Brutti da vedersi, ma tant’è. “E’ il mercato, ragazzo”.  
Per le strade bimbi per mano agli adulti, ragazze per mano a ragazzi. Intrecci di mani che poi va a finire che non si districano più.  Luminarie sparse come tetti di stelle per le strade del centro. Ragazzi neri neri, senegalesi che si ritrovano in tanti a Porta Rudiae per dire “Non au racisme”. Manifestazione bella e colorata. Eggià, dopo i fattacci di Torino e Firenze si sentono solidali con i loro amici. Con altre persone. Una Rom sta chiedendo soldi ai passanti “per mangiare i bambini” dice, trattengo un sorriso, sa tanto di cannibalismo detto così. Passa un ragazzo negro, non mi piace dire “di colore”, e se poi ci chiamassero “gli incolori” saremmo felici? Si ferma, mette la mano in tasca e le dà qualche monetina. Solidarietà fra gli ultimi, quella che il Salento conosce bene. Natale di crisi economica, in TV il capo del governo (dei tecnici) snocciola dati e costi da far impallidire ogni benpensante. Però non si tocchino le farmacie per carità, neppure i tassisti, anche per loro è Natale.
“Solo pensierini quest’anno” dice una signora forse elegante (non ho nozioni sufficienti per capire i parametri dell’eleganza) alla sua amica che risponde “certo, solo pensierini”. Pensano molto le signore eleganti, anzi pensierinano. C’è crisi, c’è crisi. Dicembre tiepido e dolce anche in riva al mare di Castro dove i manifesti dicono “viene la RAI a riprenderci” quasi un monito ai castrioti : mettetevi belli belli per carità.
E sarà Natale anche per i vigili urbani e soprattutto per gli ausiliari del traffico. Quelli che vagano spersi fra auto in sosta a controllare bigliettini e a “elevare ammende” che è il modo, questo si elegante, per dire “fare multe”. Strano il linguaggio della burocrazia a volte, sembra parlare d’altro. È come, che so, chiamare aeromobili gli aerei o convogli i treni. E di treni non parlo perché diventerebbero pensierini di Natale scurrili.
«Come va quest’anno il Natale?» «Lasciamo perdere» è il dialogo fra me e la signora che vende bigiotteria nel suo negozio.
Babbo Natale spiaccicato...(640x480)
Ieri sera ho bevuto vin brulè.  Una vera panacea per il raffreddore, oppure contro l’insonnia, o ancora per passare il tempo nelle fredde notti invernali. Qualcuno lo utilizza anche per sedurre, ma questo non lo dico.

D’altronde l’arte della seduzione è perfidamente sublime, molto spesso gli uomini (detti “individui bipedi di sesso maschile”) utilizzano risotti, spesso improbabili, ma tant’è. Altri si buttano su arrosti preparati con le debita lentezza. Però bisogna stare molto attenti, se è un appuntamento con una recente conoscenza si rischia di preparare per ore carne per una vegetariana, e questo vanificherebbe attese e ansie. Ma perché mai la seduzione deve passare per la tavola? Ingozzandosi lo si fa meglio? Porrò la domanda a chi sa.
Pochi balconi con lucine colorate, in giro per la città, crisi crisi crisi, la corrente costa. Per fortuna pochissimi babbinatale appesi penosamente a balconi e facciate di palazzi. Più che portatori di doni mi ricordano tanto paracadutisti che hanno sbagliato il lancio e si sono spiaccicati su un muro.
 Non sono mai stato a Natale in Salento, sempre in Piemonte. Solitamente la cucina è mista: calabro/piemontese. Si inizia a cenare il 24, ci si alza da tavola il 26. Esclusa qualche breve pausa per dormire. E mai nessuno che mi regali una confezione di Alka Selzer accidenti.
 La Tv trasmetterà gli inevitabili, eterni, immortali film di Natale. Sfileranno Stanlio ed Ollio, Chaplin, e amenità simili. Piacevoli ma sempre maledettamente le stesse. E tutti a fare gli auguri per strada, sotto le stelle finte delle luminarie, sotto i lampioni che a Lecce hanno reso multicolori chissà perché. E non mi si parli di tombole. Casco addormentato al terzo numero estratto.
E poi la tragedia dell’omicidio di Natale. Il panettone pare appartenere ad un’era glaciale, antica. Una volta c’erano quelli che amavo, con uvetta, frutta candita e basta. Improvvisamente, con il benessere diffuso, li ritrovi ripieni di improbabili creme allo champagne, piuttosto che al pistacchio e simili. Equivale, più o meno all'offrire a un salentino cozze ripiene di nutella.
E va bene, intanto prepariamoci per il capodanno. Dobbiamo pur entrare nel 2012 con dignità. Possibilmente senza botti. Anche perchè, per chi crede ai Maya... E per chi non ci crede, nessun problema, dalla manovra economica di metà febbraio usciranno vivi in pochi. Il governo dei tennici (scritto così) a che serve se non a fare il lavoro sporco che i politici non vogliono fare e a fare le manovre che piacciono alla BCE?
Vabbè buon nuovo anno. 

domenica 18 dicembre 2011

la fiera del dito medio.

Il più imbecille disse "chi vota a sinistra è un coglione". Ma chi ha votato questi ignobili figuri non si vergogna neppure un pò?

strage di torino 18 dicembre 1922



Francesco Prato, tramviere in Torino, la notte del 17 dicembre 1922 ammazzò due fascisti, Giuseppe Dresda e Lucio Bazzanti per questioni private, roba di donne. Il padre della fidanzata del Prato, non contento della relazione, chiede ai fascisti di intervenire.
“I nostri morti non li piangiamo li vendichiamo” dicono i fascisti. Così inizia la caccia ai “sovversivi”. Operazione che richiederà 3 giorni, dal 18 al 20 dicembre 1922. Il capo delle squadre d’azione, tal Pietro Brandimarte e i quadrumviri torinesi: Scarampi, Voltolini, Monferrino e Orsi guidano le truppe nere. Risultato: 12 morti, 26 feriti e in fiamme la Camera del Lavoro.
Benito Mussolini (quello richiamato nel ricordo da Silvio Berlusconi pochi giorni fa), chiamò poi il prefetto di Torino e disse: “Come capo del fascismo mi dolgo che non ne abbiano ammazzati di più. Come capo del governo debbo ordinare il rilascio dei comunisti arrestati”.
Vittime dei fascisti della strage di Torino:
Carlo Berruti
Matteo Chiorlero
Erminnio Andreone
Pietro Ferrero
Andrea Ghiorno
Matteo Tarizzo
Leone Mazzola
Giovanni Massaro
Stefano Zurletti
Cesare Pochettino
Evasio Becchio.
Angelo Quintagliè
Il processo a Brandimarte, il 29 maggio 1945 viene trasferito a Firenze. In Cassazione il criminale viene condannato a 26 anni e tre mesi, il 30 aprile 52 viene invece assolto per insufficienza di prove.