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sabato 6 aprile 2013

L'Aquila 2009

L'Aquila
Il 6 aprile 2009 l'Abruzzo subisce un tremendo terremoto, a L'Aquila fu devastazione, 306 vittime e migliaia di feriti. In quei giorni si sperimentò la voluta pochezza di un governo becero, i furti non degli sciacalli da appartamenti, ma della protezione civile e di sedicenti industriali che ridevano al telefono felici per i lavori prossimi venturi. In quei giorni un premier incapace pensava solo a come passare le serate con escort pagate da altri,  ed elargì lavori per costose, inutili e scassate new town. Solo in regimi sud americani d'altri tempi vedemmo questo tipo di governanti. Oggi, grazie a quei criminali non interventi, L'Aquila è ancora terra bruciata, il centro storico chiuso e ad Arcore ancora fanno riunioni i principali responsabili della devastazione. 

I responsabili della devastazione post terremoto

venerdì 5 aprile 2013

5 aprile 1945 - ultimo bombardamento, muoiono bimbi ad Alessandria.



E’ stato l’ultimo bombardamento della seconda guerra mondiale. Erano le 15,20 del 5 aprile 1945, bombardieri alleati scatenarono l’inferno su Alessandria, il risultato della carneficina fu drammatico: 160 morti e 500 feriti. Fra i morti 40 erano i bimbi dell’Asilo Infantile Maria Ausiliatrice. L’obbiettivo era la stazione ferroviaria, ma la potenza d’urto fu spropositata al punto di costringere il CLN a protestare con il comando alleato. Già nel 1944 lo stillicidio di bombardamenti fu impressionante, Alessandria è città strategica geograficamente ed aveva lo scalo merci delle ferrovie più importante della zona. Dalle schede ISRAL (Istituto Storico per la Resistenza della città di Alessandria) leggiamo:


1944:
21 e 29 giugno: Bombardati i ponti su Tanaro e Bormida.
11 luglio: Bombe sulla città – 46 i morti.
17, 20, 21, 27 luglio: Bombe senza vittime, distrutta la ferrovia.
2, 7 e 20 agosto: Demolizione parziale del Ponte Bormida e raffiche di mitra nella notte.
21 agosto: 31 morti in un bombardamento a tappeto.
3 settembre: 8 morti, colpito il palazzo della GIL e del Gas.
5 settembre: 39 morti in un bombardamento in cui viene colpito un rifugio con una bomba dirompente. 20 non avranno mai nome perché letteralmente maciullati. Verrà redatto un atto di morte presunta.

giovedì 4 aprile 2013

4 aprile 1968 - viene assassinato Martin Luther King


"I have a dream"

(Ultimo discordo di Martin Luter King)

Sono felice di unirmi a voi in questa che passerà alla storia come la più grande dimostrazione per la libertà nella storia del nostro paese. Cento anni fa un grande americano, alla cui ombra ci leviamo oggi, firmò il Proclama sull’Emancipazione. Questo fondamentale decreto venne come un grande faro di speranza per milioni di schiavi negri che erano stati bruciati sul fuoco dell’avida ingiustizia. Venne come un’alba radiosa a porre termine alla lunga notte della cattività.

Ma cento anni dopo, il negro ancora non è libero; cento anni dopo, la vita del negro è ancora purtroppo paralizzata dai ceppi della segregazione e dalle catene della discriminazione; cento anni dopo, il negro ancora vive su un’isola di povertà solitaria in un vasto oceano di prosperità materiale; cento anni dopo; il negro langue ancora ai margini della società americana e si trova esiliato nella sua stessa terra.

Per questo siamo venuti qui, oggi, per rappresentare la nostra condizione vergognosa. In un certo senso siamo venuti alla capitale del paese per incassare un assegno. Quando gli architetti della repubblica scrissero le sublimi parole della Costituzione e la Dichiarazione d’Indipendenza, firmarono un "pagherò" del quale ogni americano sarebbe diventato erede. Questo "pagherò" permetteva che tutti gli uomini, si, i negri tanto quanto i bianchi, avrebbero goduto dei principi inalienabili della vita, della libertà e del perseguimento della felicità.

E’ ovvio, oggi, che l’America è venuta meno a questo "pagherò" per ciò che riguarda i suoi cittadini di colore. Invece di onorare questo suo sacro obbligo, l’America ha consegnato ai negri un assegno fasullo; un assegno che si trova compilato con la frase: "fondi insufficienti". Noi ci rifiutiamo di credere che i fondi siano insufficienti nei grandi caveau delle opportunità offerte da questo paese. E quindi siamo venuti per incassare questo assegno, un assegno che ci darà, a presentazione, le ricchezze della libertà e della garanzia di giustizia.

Siamo anche venuti in questo santuario per ricordare all’America l’urgenza appassionata dell’adesso. Questo non è il momento in cui ci si possa permettere che le cose si raffreddino o che si trangugi il tranquillante del gradualismo. Questo è il momento di realizzare le promesse della democrazia; questo è il momento di levarsi dall’oscura e desolata valle della segregazione al sentiero radioso della giustizia.; questo è il momento di elevare la nostra nazione dalle sabbie mobili dell’ingiustizia razziale alla solida roccia della fratellanza; questo è il tempo di rendere vera la giustizia per tutti i figli di Dio. Sarebbe la fine per questa nazione se non valutasse appieno l’urgenza del momento. Questa estate soffocante della legittima impazienza dei negri non finirà fino a quando non sarà stato raggiunto un tonificante autunno di libertà ed uguaglianza.

Il 1963 non è una fine, ma un inizio. E coloro che sperano che i negri abbiano bisogno di sfogare un poco le loro tensioni e poi se ne staranno appagati, avranno un rude risveglio, se il paese riprenderà a funzionare come se niente fosse successo.

Non ci sarà in America né riposo né tranquillità fino a quando ai negri non saranno concessi i loro diritti di cittadini. I turbini della rivolta continueranno a scuotere le fondamenta della nostra nazione fino a quando non sarà sorto il giorno luminoso della giustizia.

Ma c’è qualcosa che debbo dire alla mia gente che si trova qui sulla tiepida soglia che conduce al palazzo della giustizia. In questo nostro procedere verso la giusta meta non dobbiamo macchiarci di azioni ingiuste.

Cerchiamo di non soddisfare la nostra sete di libertà bevendo alla coppa dell’odio e del risentimento. Dovremo per sempre condurre la nostra lotta al piano alto della dignità e della disciplina. Non dovremo permettere che la nostra protesta creativa degeneri in violenza fisica. Dovremo continuamente elevarci alle maestose vette di chi risponde alla forza fisica con la forza dell’anima.

Questa meravigliosa nuova militanza che ha interessato la comunità negra non dovrà condurci a una mancanza di fiducia in tutta la comunità bianca, perché molti dei nostri fratelli bianchi, come prova la loro presenza qui oggi, sono giunti a capire che il loro destino è legato col nostro destino, e sono giunti a capire che la loro libertà è inestricabilmente legata alla nostra libertà. Questa offesa che ci accomuna, e che si è fatta tempesta per le mura fortificate dell’ingiustizia, dovrà essere combattuta da un esercito di due razze. Non possiamo camminare da soli.

E mentre avanziamo, dovremo impegnarci a marciare per sempre in avanti. Non possiamo tornare indietro. Ci sono quelli che chiedono a coloro che chiedono i diritti civili: "Quando vi riterrete soddisfatti?" Non saremo mai soddisfatti finché il negro sarà vittima degli indicibili orrori a cui viene sottoposto dalla polizia.

Non potremo mai essere soddisfatti finché i nostri corpi, stanchi per la fatica del viaggio, non potranno trovare alloggio nei motel sulle strade e negli alberghi delle città. Non potremo essere soddisfatti finché gli spostamenti sociali davvero permessi ai negri saranno da un ghetto piccolo a un ghetto più grande.

Non potremo mai essere soddisfatti finché i nostri figli saranno privati della loro dignità da cartelli che dicono:"Riservato ai bianchi". Non potremo mai essere soddisfatti finché i negri del Mississippi non potranno votare e i negri di New York crederanno di non avere nulla per cui votare. No, non siamo ancora soddisfatti, e non lo saremo finché la giustizia non scorrerà come l’acqua e il diritto come un fiume possente.

Non ha dimenticato che alcuni di voi sono giunti qui dopo enormi prove e tribolazioni. Alcuni di voi sono venuti appena usciti dalle anguste celle di un carcere. Alcuni di voi sono venuti da zone in cui la domanda di libertà ci ha lasciato percossi dalle tempeste della persecuzione e intontiti dalle raffiche della brutalità della polizia. Siete voi i veterani della sofferenza creativa. Continuate ad operare con la certezza che la sofferenza immeritata è redentrice.

Ritornate nel Mississippi; ritornate in Alabama; ritornate nel South Carolina; ritornate in Georgia; ritornate in Louisiana; ritornate ai vostri quartieri e ai ghetti delle città del Nord, sapendo che in qualche modo questa situazione può cambiare, e cambierà. Non lasciamoci sprofondare nella valle della disperazione.

E perciò, amici miei, vi dico che, anche se dovrete affrontare le asperità di oggi e di domani, io ho sempre davanti a me un sogno. E’ un sogno profondamente radicato nel sogno americano, che un giorno questa nazione si leverà in piedi e vivrà fino in fondo il senso delle sue convinzioni: noi riteniamo ovvia questa verità, che tutti gli uomini sono creati uguali.

Io ho davanti a me un sogno, che un giorno sulle rosse colline della Georgia i figli di coloro che un tempo furono schiavi e i figli di coloro che un tempo possedettero schiavi, sapranno sedere insieme al tavolo della fratellanza.

Io ho davanti a me un sogno, che un giorno perfino lo stato del Mississippi, uno stato colmo dell’arroganza dell’ingiustizia, colmo dell’arroganza dell’oppressione, si trasformerà in un’oasi di libertà e giustizia.

Io ho davanti a me un sogno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione nella quale non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per le qualità del loro carattere. Ho davanti a me un sogno, oggi!.

Io ho davanti a me un sogno, che un giorno ogni valle sarà esaltata, ogni collina e ogni montagna saranno umiliate, i luoghi scabri saranno fatti piani e i luoghi tortuosi raddrizzati e la gloria del Signore si mostrerà e tutti gli essere viventi, insieme, la vedranno. E’ questa la nostra speranza. Questa è la fede con la quale io mi avvio verso il Sud.

Con questa fede saremo in grado di strappare alla montagna della disperazione una pietra di speranza. Con questa fede saremo in grado di trasformare le stridenti discordie della nostra nazione in una bellissima sinfonia di fratellanza.

Con questa fede saremo in grado di lavorare insieme, di pregare insieme, di lottare insieme, di andare insieme in carcere, di difendere insieme la libertà, sapendo che un giorno saremo liberi. Quello sarà il giorno in cui tutti i figli di Dio sapranno cantare con significati nuovi: paese mio, di te, dolce terra di libertà, di te io canto; terra dove morirono i miei padri, terra orgoglio del pellegrino, da ogni pendice di montagna risuoni la libertà; e se l’America vuole essere una grande nazione possa questo accadere.

Risuoni quindi la libertà dalle poderose montagne dello stato di New York.

Risuoni la libertà negli alti Allegheny della Pennsylvania.

Risuoni la libertà dalle Montagne Rocciose del Colorado, imbiancate di neve.

Risuoni la libertà dai dolci pendii della California.

Ma non soltanto.

Risuoni la libertà dalla Stone Mountain della Georgia.

Risuoni la libertà dalla Lookout Mountain del Tennessee.

Risuoni la libertà da ogni monte e monticello del Mississippi. Da ogni pendice risuoni la libertà.

E quando lasciamo risuonare la libertà, quando le permettiamo di risuonare da ogni villaggio e da ogni borgo, da ogni stato e da ogni città, acceleriamo anche quel giorno in cui tutti i figli di Dio, neri e bianchi, ebrei e gentili, cattolici e protestanti, sapranno unire le mani e cantare con le parole del vecchio spiritual: "Liberi finalmente, liberi finalmente; grazie Dio Onnipotente, siamo liberi finalmente".

mercoledì 3 aprile 2013

Azzardopoli. Rapporto di Libera sul gioco d'azzardo


Azzardopoli si chiama il rapporto di Libera sul gioco d’azzardo per il 2012. I numeri sono inquietanti: 1260 sono gli euro giocati da ogni italiano (neonati compresi) nel 2012, 800.000 le persone dipendenti dal gioco, 76,1 miliardi di euro giocati,  10 miliardi la stima del gioco illegale. Con questi numeri l’Italia si pone al terzo posto al mondo e al primo in Europa per cifre giocate. Per capirci, 76 miliardi di euro sono quattro finanziarie (quelle normali, prima di Monti), due volte la spesa sanitaria delle famiglie, otto volte la spesa per l’istruzione sempre delle famiglie, equivale alla spesa che lo Stato fa per la scuola (stipendi, riscaldamento e luce comprese). Lo Stato gestisce direttamente questo enorme business, e parliamo di un vero paradosso, l’articolo 721 del codice penale stabilisce che sono giochi d’azzardo quelli nei quali “ricorre il fine di lucro…” e che sono assolutamente vietati. In pratica in ogni locale pubblico non sarebbe consentito giocarsi un aperitivo a briscola. Non a caso ogni gioco, ogni gratta e vinci deve essere approvato con apposito iter parlamentare. In questo sistema la malavita si inserisce perfettamente con la gestione diretta, o con prestanome, di punti scommessa o sale gioco imponendo le sue regole e sempre più spesso i suoi strumenti come le slot truccate o non collegate ai terminali dell’AAMS (Agenzia delle Dogane e dei Monopoli). Quanto guadagna lo Stato dal gioco? Anche qui è interessante leggerne, a fronte di una pressione fiscale indecente, i giochi sono l’unica attività che vede un calo delle imposte. Nel 2004, a fronte di giocate per 24.8 miliardi di euro, lo Stato incassò 7.3 miliardi (pari al 29.4%), nel 2011 a fronte di giocate per 79,9 miliardi, incassò la cifra di 9 miliardi (pari all’11,2%).  Nel 2012 la stima è di 8.050 miliardi, pari al 9,2% del giocato. Come si vede parliamo di un’isola felicissima. I Monopoli di Stato avrebbero il dovere di controllare tutto l’apparato giochi. Dal 2004, quando vennero aperte le licenze, 10 sorellastre di presero tutto quanto (Atlantis World, Cogetech, Snai, Lottomatica, Hbg Group, Cirsa, Codere, Sisal, Gmatica, Gamenet). Tuttavia AAMS è spesso distratta,  in un rapporto della DNA (Dipartimento Nazionale Antimafia) si parla espressamente di  “… atteggiamento inerte dei Monopoli nei confronti delle concessionarie di rete…” Per conseguenza la malavita ha buon gioco, dietro ogni luogo dove si perde denaro c’è necessità di prestiti, ecco gli strozzini che bazzicano quei luoghi, dietro ogni vincita si può  celare qualche forma di riciclaggio. Antica arma utilizzata dalle mafie: acquistare biglietti vincenti per giustificare arricchimenti altrimenti sospetti. Non a caso da Aosta alla Sicilia sono 41 i clan inquisiti (per la Puglia si parla dei clan: Vicientino, Pasimeni, Vitale, Penna, Parisi, Capriati, Tornese, Strisciuglio). Un ampio capitolo del rapporto è dedicato al gioco on line che non risparmia nessuna fascia di età con Poker on line, Casinò, scommesse in tempo reale (si può scommettere su un’azione di calcio in corso) che minano la vita stessa di moltissime famiglie. Il gioco dei minori, apparentemente proibito dalla legge, non pare esserlo altrettanto da parte di molti gestori di punti scommessa e sale gioco. Al disastro della rovina economica delle famiglie si aggiunge il dramma sanitario dei malati di gioco. Si stimano 1.720.000 di giocatori a rischio, di cui 708.000 patologici, ci si chiede come mai il divieto di pubblicità per alcoolici e sigarette non sia esteso al gioco d’azzardo. Le proposte di Libera vanno in questa direzione, oltre che verso la ridefinizione delle norme autorizzatorie, gestione e controllo, di destinare il 5% degli introiti alla prevenzione e ricerca e cura, il riconoscimento della  ludopatia come malattia. Ogni anno in Italia vi sono dai 5,5 ai 6,6 miliardi di euro di costi complessivi per la società dovuti al gioco patologico.

martedì 2 aprile 2013

Jannacci


Non starò a fare l’immensa storia di Jannacci, è scritta ovunque.  Ci sono artisti, poeti, scrittori, che fanno parte della tua esistenza e ci rimarranno per sempre. L’estemporaneo, inquieto, folle lucido, il cardiologo che lavorò anche con Barnard (quello del primo trapianto di cuore), il cabarettista che si agitava sul palcoscenico. Lui così timido quando parlava, lui che cantava “Sei minuti all’alba”  e subito dopo  Silvano o El purtava i scarp de Tenis, storia di un barbone che dice “anch’io ho avuto il mio grande amore…” Si, Jannacci ha accompagnato la mia vita dagli anni ’70, mi divertiva ed era graffiante, estemporaneo, osava utilizzare la lingua italiana con sconvolgente disinvoltura (“Soffiati il naso col pettine”…).
Eravamo al Bar Salera, al paese, sotto c’era la tavernetta, ogni tanto si ballava, più spesso si parlava e si ascoltava musica. Erano gli anni ’70 (anni settanta, nati dal fracasso…” Arrivavano nuovi nomi, De Andrè, Vecchioni, Guccini. Conoscemmo Jannacci con Dario Fo che cantavano “Ho visto un re”. E noi parlavamo del mondo da cambiare con quel sottofondo.  Noi non cambiammo nulla, loro stravolsero il mondo delle parole e della poetica cantata. Ora so come ci prendeva in giro, come si prendeva in giro, come diceva di non prenderci troppo sul serio tutti quanti. Forse aveva maledettamente ragione . Nella tavernetta del Bar Salera si ascoltava e si parlava, nascevano amori folli della durata di poche ore. A volte qualcuno partiva e ci mancava, spesso qualcun altro tornava a parlarci del mondo fuori dal paese. E poi leggevamo Edgar Lee Master  e pensavamo di comprendere il mondo intero e di averlo fra le mani, avevamo l’algoritmo per mutare l’esistente. I sociologi ci facevano un baffo. Eravamo “quelli che sanno tutto”.  Chissà, forse lo possedevamo il mondo e non ce ne siamo neppure accorti, anzi, l’abbiamo gettato con il futuro che incombeva. Con questi pensieri che frullano in testa sono riuscito a commuovermi sentendo della morte di Jannacci, perché non è stato un cantante e basta, è stato un pezzo di me e lui non lo sapeva neppure.  
Ho riascoltato “Vincenzina e la fabbrica”. E pensavo di fargli un dono, piccolo magari, ascoltando “quando un musicista ride”. E pensavo nella mia triste valanga di ricordi, che forse piacerebbe anche a me andare in fondo alla piazza a sentire “se c’è ancora quello che canta onliù”. Intanto Jannacci faceva cantare in milanese anche i salentini. “El purtava i scarp de tenis” lo cantavano tutti quanti, e lo comprendevano. Le barriere linguistiche sono roba da idioti, gli artisti le superano con disinvoltura e con il sorriso sulle labbra.  Ci sarà un grande funerale, e chissà se qualcuno si volterà a vedere “se la gente piange davvero”.

  
Portami in fondo alla piazza, là dove canta il jukebox,
senti se c'è ancora quello che canta Onliù, Onliuuu...
 E portami in fondo alla piazza, fammi cantare con lui.
Accertarsi bene che quello che canta sia proprio Onliù. Onliuuu... (Da: quello che canta onliù)

Vincenzina davanti alla fabbrica
Vincenzina il foulard non si mette più
Una faccia davanti al cancello che si apre già
Vincenzina hai guardato la fabbrica
Come se non c’è altro che fabbrica
E hai sentito anche odor di pulito
E la fatica è dentro là
Zero a zero anche ieri sto Milan qui
Sto Rivera che ormai non mi segna più
Che tristezza il padrone non c’ha neanche sti problemi qua
Vincenzina davanti alla fabbrica
Vincenzina vuol bene alla fabbrica
E non sa che la vita giù in fabbrica
Non c’è, se c’è com’è? (Vincenzina e la fabbrica)

…Quelli che “hanno 150 ergastoli, tutti giovani e forti e tutti assolti”.
Quelli che “la mafia? Non ci risulta”.
Quelli che fanno l’amore in piedi convinti di essere in un pied a terre.
Quelli che “l’ha detto il telegiornale”.
Quelli che “ il primo furto non si scorda mai”.
Quelli che si ricordano.
Quelli che hanno cominciato a lavorare da piccoli, ancora lavorano, ma non sanno che
cazzo stanno facendo… (Da: Quelli che)

…e sente che la sua angoscia e' buona
perche' e' la sua tristezza che suona
e' come in un concerto
che piove ma e' all'aperto
si guarda in giro
e gli vien voglia di cantar 
e qui canta
" Instrumental "
e sente che la sua tristezza e' buona
e allora prende lo strumento e suona
e' come in un concerto, che piove
ma e' all'aperto
i suoi occhi ti chiedon di scusar… (Da: quando un musicista ride)

…Ma mi, ma mi, ma mi, quaranta dì, quaranta noch
A San Vitur a ciapà i bot
Durmi de can
Pien de malan… (Da: Sei minuti all’alba)




domenica 31 marzo 2013

31 marzo 1921: Alliste e le sue giornate rosse


Le giornate rosse allistine.
Dal 1919 al 1922 l'Italia tutta, Salento compreso, venne investita dalle lotte contadine. Scioperi e occupazione delle terre erano ricominciati dopo lo scempio del primo massacro mondiale. La nascita del PCI a Livorno contribuì alla formazione di una coscienza rivoluzionaria. Nella fattispecie ai feudatari agrari vennero contrapposti i fasci da combattimento. Il 3\ marzo 1921 i contadini allistini proclamarono lo sciopero. La prefettura inviò un funzionario che convinse le parti alle trattative, i contadini revocarono lo sciopero ma gli agrari non si sedettero al tavolo. Ad Alliste,  Racale, Taviano e Matino i contadini non la presero bene e proclamarono lo sciopero da 4 aprile. Alle 10 una delegazione di contadini allistini guidata da Cosimo Panico si recò dal sindaco Vincenzo Vergari il quale si fece portavoce delle loro istanze. I contadini erano però molto tesi, fuori dal municipio impedirono l’uscita a tutti quanti. Il Sindaco promise interventi, i contadini chiesero immediata firma delle richieste da parte degli agrari, il sindaco prese tempo, i contadini no “oggi bisogna far sangue, oggi è Repubblica” urlavano. La repubblica neritina faceva testo ed esempio, la coscienza politica e civile tramutavano la richiesta di denaro semplice in richiesta politica. Il sindaco chiese aiuto alla prefettura, vennero inviati rinforzi dalle forze dell’ordine da Gallipoli. La situazione non degenerò e il 7 aprile gli agrari recepirono in toto le richieste dei contadini. 

(Fonte: wikipedia)