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martedì 2 aprile 2013

Jannacci


Non starò a fare l’immensa storia di Jannacci, è scritta ovunque.  Ci sono artisti, poeti, scrittori, che fanno parte della tua esistenza e ci rimarranno per sempre. L’estemporaneo, inquieto, folle lucido, il cardiologo che lavorò anche con Barnard (quello del primo trapianto di cuore), il cabarettista che si agitava sul palcoscenico. Lui così timido quando parlava, lui che cantava “Sei minuti all’alba”  e subito dopo  Silvano o El purtava i scarp de Tenis, storia di un barbone che dice “anch’io ho avuto il mio grande amore…” Si, Jannacci ha accompagnato la mia vita dagli anni ’70, mi divertiva ed era graffiante, estemporaneo, osava utilizzare la lingua italiana con sconvolgente disinvoltura (“Soffiati il naso col pettine”…).
Eravamo al Bar Salera, al paese, sotto c’era la tavernetta, ogni tanto si ballava, più spesso si parlava e si ascoltava musica. Erano gli anni ’70 (anni settanta, nati dal fracasso…” Arrivavano nuovi nomi, De Andrè, Vecchioni, Guccini. Conoscemmo Jannacci con Dario Fo che cantavano “Ho visto un re”. E noi parlavamo del mondo da cambiare con quel sottofondo.  Noi non cambiammo nulla, loro stravolsero il mondo delle parole e della poetica cantata. Ora so come ci prendeva in giro, come si prendeva in giro, come diceva di non prenderci troppo sul serio tutti quanti. Forse aveva maledettamente ragione . Nella tavernetta del Bar Salera si ascoltava e si parlava, nascevano amori folli della durata di poche ore. A volte qualcuno partiva e ci mancava, spesso qualcun altro tornava a parlarci del mondo fuori dal paese. E poi leggevamo Edgar Lee Master  e pensavamo di comprendere il mondo intero e di averlo fra le mani, avevamo l’algoritmo per mutare l’esistente. I sociologi ci facevano un baffo. Eravamo “quelli che sanno tutto”.  Chissà, forse lo possedevamo il mondo e non ce ne siamo neppure accorti, anzi, l’abbiamo gettato con il futuro che incombeva. Con questi pensieri che frullano in testa sono riuscito a commuovermi sentendo della morte di Jannacci, perché non è stato un cantante e basta, è stato un pezzo di me e lui non lo sapeva neppure.  
Ho riascoltato “Vincenzina e la fabbrica”. E pensavo di fargli un dono, piccolo magari, ascoltando “quando un musicista ride”. E pensavo nella mia triste valanga di ricordi, che forse piacerebbe anche a me andare in fondo alla piazza a sentire “se c’è ancora quello che canta onliù”. Intanto Jannacci faceva cantare in milanese anche i salentini. “El purtava i scarp de tenis” lo cantavano tutti quanti, e lo comprendevano. Le barriere linguistiche sono roba da idioti, gli artisti le superano con disinvoltura e con il sorriso sulle labbra.  Ci sarà un grande funerale, e chissà se qualcuno si volterà a vedere “se la gente piange davvero”.

  
Portami in fondo alla piazza, là dove canta il jukebox,
senti se c'è ancora quello che canta Onliù, Onliuuu...
 E portami in fondo alla piazza, fammi cantare con lui.
Accertarsi bene che quello che canta sia proprio Onliù. Onliuuu... (Da: quello che canta onliù)

Vincenzina davanti alla fabbrica
Vincenzina il foulard non si mette più
Una faccia davanti al cancello che si apre già
Vincenzina hai guardato la fabbrica
Come se non c’è altro che fabbrica
E hai sentito anche odor di pulito
E la fatica è dentro là
Zero a zero anche ieri sto Milan qui
Sto Rivera che ormai non mi segna più
Che tristezza il padrone non c’ha neanche sti problemi qua
Vincenzina davanti alla fabbrica
Vincenzina vuol bene alla fabbrica
E non sa che la vita giù in fabbrica
Non c’è, se c’è com’è? (Vincenzina e la fabbrica)

…Quelli che “hanno 150 ergastoli, tutti giovani e forti e tutti assolti”.
Quelli che “la mafia? Non ci risulta”.
Quelli che fanno l’amore in piedi convinti di essere in un pied a terre.
Quelli che “l’ha detto il telegiornale”.
Quelli che “ il primo furto non si scorda mai”.
Quelli che si ricordano.
Quelli che hanno cominciato a lavorare da piccoli, ancora lavorano, ma non sanno che
cazzo stanno facendo… (Da: Quelli che)

…e sente che la sua angoscia e' buona
perche' e' la sua tristezza che suona
e' come in un concerto
che piove ma e' all'aperto
si guarda in giro
e gli vien voglia di cantar 
e qui canta
" Instrumental "
e sente che la sua tristezza e' buona
e allora prende lo strumento e suona
e' come in un concerto, che piove
ma e' all'aperto
i suoi occhi ti chiedon di scusar… (Da: quando un musicista ride)

…Ma mi, ma mi, ma mi, quaranta dì, quaranta noch
A San Vitur a ciapà i bot
Durmi de can
Pien de malan… (Da: Sei minuti all’alba)




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