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sabato 10 marzo 2012

10 marzo 1975 la prima radio libera



10 marzo 1975



Amo la radio perché arriva dalla gente
entra nelle case e ci parla direttamente
se una radio è libera ma libera veramente
piace anche di più perché libera la mente  (Finardi)



Nasce la prima radio libera italiana: Radio Milano International. Da quel momento lì’informazione italiana esce dal ghetto, nascono come funghi migliaia di radio che diffondono voci, notizie, musica, anche oroscopi e le famigerate dediche: “zia lucia dedica io tu e le rose alla sua nipotina….” Ma nasce un nuovo modo di fare informazione. Ad Alessandria era Radio Veronica la vera radio libera non commerciale.
Il 9 settembre 1976 nasce Radio Alice a Bologna dai “creativi” dei movimenti. Alice è proprio lei, quella “nel paese delle meraviglie”. Era il tempo degli indiani metropolitani, della politica che provava a tornare a ridere, ed era il tempo degl iscontr ie dei terrorismi. Il 12 marzo 77 la radio viene letteralmente invasa dalla polizia, i presenti vengono arrestati, le apparecchiature distrutte dalla democrazia italiota, tutti i redattori accusati di aver fomentato gli scontri in piazza dopo l’omicidio  di Lorusso nel corso di una manifestazione, da parte dei carabinieri. I redattori della radio che non riescono a fuggire durante l'irruzione negli studi vengono arrestati e gli apparati di trasmissione vengono distrutti. Tutti vengono portati in questura, dove sono pestati violentemente, e poi vengono trasferiti nelle carceri di San Giovanni in Monte; verranno poi prosciolti dalle accuse mosse nei loro confronti: viene dimostrato come infatti non avessero diretto gli scontri bensì dato notizie in diretta sugli scontri stessi. L'inchiesta contro il carabiniere che aveva sparato a Lorusso e il capitano che lo comandava si conclude con l'archiviazione del caso.
Radio Alice, Bologna, 1976-1977.

venerdì 9 marzo 2012

il PD caccia i no TAV dal partito


Il segretario regionale piemontese del PD, On. Gianfranco Morgando ha dichiarato: «Il giudizio del PD sulla Tav è noto. Abbiamo sempre detto che le opinioni contrarie sono legittime, ma che occorre rispettare le decisioni prese. Anche oggi autorevoli esponenti del partito hanno ribadito la loro difficoltà a convivere con chi non riconosce la legittimità di quell’opera. È in corso la campagna di tesseramento 2012: io credo che spetti agli organi competenti una valutazione definitiva sull’opportunità che queste persone restino dentro il PD»… In sostanza nel partitone possono entrare e uscire liberamente: 

  • quelli che sono contro l’aborto, 
  • quelli che vogliono le alleanze con la destra, 
  • quelli che si chiamano Veltroni. 
Ma deve essere assolutamente vietato l’ingresso a chi contesta un’opera  utile alla malavita organizzata per fare quattrini, e dannosa per l’ambiente. E comunque, a prescindere dalle valutazioni sulla porcata TAV, la domanda agli esponenti del pedde è questa “il centralismo democratico è vivo, morto, agonizzante o che altro?” E poi dovete solo ringraziarli i no tav, non ci fosserro stati loro avreste dovuto mandare un emissario al cortelo delle FIOM. Invece il partito di governo (Monti) è salvo. E se l’alleanza prossima ventura si chiamasse “di centro?”, così, giusto per togliere quel fastidioso “sinistra” che fa venire l’orticaria a Letta e Veltroni. 

9 marzo 1842


Il Nabucodonosor, più noto come IL NABUCCO, di Giuseppe Verdi   su libretto di Temistocle Solera debuttò il 9 marzo 1842 al Teatro Alla Scala di Milano. Gli artisti impegnati nella prima furono:

Nabucodonosor: Giorgio Ronconi, baritono;

Ismaele: Corrado Miraglia, tenore;

Zaccaria: Prospero Derivis, basso;
Abigaille:  Giuseppina Strepponi, soprano;
Fenena: Giovannina Bellinzaghi, soprano;
Il Gran Sacerdote: Gaetano Rossi, basso;
Anna: Teresa Ruggeri;
Abdallo: Napoleone Marconi;
Scene: Baldassare Cavallotti, con modifiche di Filippo Peroni;
Maestro del coro: Giulio Granatelli;
Maestro al cembalo: Giuseppe Verdi (per tre recite), poi Giacomo Panizza;
Primo violino e direttore d'orchestra:  Eugenio Cavallini.

Molte le assonanze fra la storia narrata e cantata e il Risorgimento italiano, soprattutto per quanto riguarda il  Và Pensiero sull'ali dorate. (Oggi scippato dal partito in verde, molti suoi esponenti, pur non conoscendone il significato, lo cantano spesso improvvisando rime baciate.
Il nome dell'opera per esteso, essendo esageratamente lungo, venne scritto su due righe: Nabucco e, a capo, Donosor, come spesso succede la gente memorizzava solo la prima parte e divenne appunto Nabucco.
Il Nabucco a San Pietroburgo

giovedì 8 marzo 2012

Alfonsa Rosa Maria Morini (Alfonsina Strada)



Alfonsa Rosa Maria Morini in Strada (nota come Alfonsina Strada) nacque a San Cesario Sul Panaro, in Emilia nel 1891. Figlia di due braccianti, Carlo Morini e Virginia Marchesini, salì giovanissima su una vecchia bicicletta portata a casa da suo padre,   divenne, per scelta, per tenacia, sicuramente per rivendicare il  suo diritto a poter competere,   la prima donna ciclista italiana che sfidava gli uomini sul terreno che era loro più  congeniale.
E non erano uomini dal nome sconosciuto, i suo avversari si chiamavano Gilardengo, Belloni, Bottecchia, Pelissier. I campioni e campionissimi del ciclismo epico.
Seconda di dieci figli, per la sua sfacciataggine nell’amare la bicicletta  era, ovviamente, considerata un tipo “strano”, fra il diabolico e l’innaturale. Tuttavia lei,  caparbia e tenace, si iscriveva alle gare dei paesi circostanti e alcune volte riusciva anche a vincere battendo maschi che la guardavano storto.

mercoledì 7 marzo 2012

Con Libera ad Aradeo


                                   Mercoledi 7 marzo dalle 19 ad Aradeo contro le mafie.

Le mafie stanno rialzando la testa, in tempi di crisi economica i pericoli di contaminazione sono ancora più grandi. L’associazione Libera e le cooperative si sporcano le mani per lavorare le terre confiscate. La lotta alla criminalità si può fare, a volte, anche mangiando, bevendo e facendo musica. Una risata forse non seppellirà i mafiosi, ma la partecipazione può farci sentire tutti quanti più forti e può fare loro un po’ di paura. Una serata che servirà per finanziare il lavoro dell’associazione Libera a prezzi popolari.




Il programma:

IL GUSTO DELL'ANTIMAFIA

Tarallucci e vino
Friselline con pomodorini secchi e zucca gialla

Paccheri in salsa di carciofi con ripieno di pesce e gocce di pomodoro fiaschetto
Anelletti con ceci su vellutata di "mugnuli"
Spaghetti con finocchetto selvatico e tocchetti di pesce spada

Pere candite al cioccolato fondente e miele del parco delle dune costiere

Vini rosati:
Hiso Telaray
Alberelli de la Santa
Vini rossi:
Hiso Telaray
Filari de sant'Antoni
Renata Fonte

Tarallini, friselline, carciofi, pomodori fiaschetto, miele, olio, vino sono il frutto delle mani sporche (di lavoro) dei giovani della Cooperativa "Terre di Puglia-Libera Terra" 
Anelletti e Spaghetti sono il frutto delle cooperative siciliane e i Paccheri della cooperativa campana.

Mettersi a tavola per gustare il sapore della corresponsabilità.
Raccontarsi le storie per condividere gioie e speranze, rabbia e paura, percorsi e progetti.
Farsi un bicchere di vino per sigillare il patto dell'impegno condiviso.
Cantare per far sapere a tutti da che parte sta la libertà da tutte le mafie.

Per chi vorrà partecipare la festa proseguirà  SABATO 10 MARZO 2012 alle 9 in CONTRADA RONCELLA –Noha di Galatina (LE) con la potatura di un uliveto confiscato.

martedì 6 marzo 2012

Poggiardo, camminando sui binari

Poesie ferroviarie, Poggiardo (LE), V Giornata Nazionale delle ferrovie dimenticate - prenotazione obbligatoria. Uno degli ultimi tratti delle Ferrovie del Sud Est con ancora le traversine di legno, ampi scorci di campagna, masserie, edifici in pietra a secco e i muri - tipici da questa parti - fatti con pietre squadrate cavate (qualcuno dice) nella preistoria ed infisse verticalmente nel terreno. Un'aria che parla la lingua megalitica e infine quella di un poeta di questa terra, Rausa, di cui leggeremo i versi. (dal sito: http://www.avanguardie.net/)

Abbiamo calpestato sassi e traversine domenica mattina. Le ferrovie dimenticate, le chiamano gli organizzatori di Avanguardie mentre ci guidano a schiacciar sassi. Loro amano le camminate nella terra si Salento (e non solo), e sono pure bravi a raccontare i loro luoghi. Rachele precede con la sua felpa con su scritto “Guida”, è la figliola di Emanuela e Totò.
La domenica si può camminare sulle rotaie, perché tutti sanno che i salentini quel giorno riposano e non si muovono, neppure i turisti lo fanno. Perché?  Per il semplice fatto che nessuno può farlo, perché le FSE (Ferrivedelsudest) hanno deciso così: la domenica nessun treno… Alla faccia del modello di decrescita felice, alla faccia dell’inquinamento. Pensiamo al turista che si vuol muovere con mezzi pubblici, arriva a Lecce dal nord (se Trenitalia lo consentirà, visto che Lecce è poco remunerativa per il signor Moretti che opta per l’alta velocità e gli altissimi prezzi), una volta arrivato nella città barocca il nostro turista vuole andare a Leuca? Burlone! Le 10 ore da Milano sono inezie confronto alle tre/quattro del percorso residuo. E non osi arrivare la domenica, altrimenti è fatto, cotto, sedotto e abbandonato. In altre parole: trattato come una vacca da mungere senza neppure uno straccio di contropartita. Mica male per chi dice di avere “vocazione turistica”.
Il paesaggio però vale la pena percorrerlo con sapiente calma, prestando attenzione a dove si mettono i piedi per non incespicare, ma guardandosi attorno. Muretti a secco con grandi pietre in verticale, squadrate, piccoli menhir di cui non si conosce la provenienza. “Pare si tratti di ruderi di costruzioni messapiche utilizzati poi per altri scopi, ma nulla è certo, si tratta di ipotesi” ci dice Emanuela. Un contadino poco oltre ha acceso rami secchi e li controlla, noi camminiamo sotto un piacevole sole che scalda. Ogni tanto ulivi, ogni tanto sassi. Poi le nuove colture salentine: Un campo con pneumatici, uno con lastre di eternit, distese di pannelli solari, materiali di risulta da edilizia, una water appoggiato con voluta nonchalance…  Tutto aspetta di crescere rigoglioso con la primavera.
Però il Salento si repira e si osserva con i suoi colori. La natura vince comunque, anche nella masseria, forse ex deposito tabacchi, abbandonata che sta cadendo a pezzi. E sembra di sentire il profumo del mare, di vederne il movimento.
Si parla, camminando, di energia alternativa, dello sfregio al paesaggio, della necessità di normare gli insediamenti. E ognuno pensa fra sé, pare di sentire il rumore infernale di tutti quei pensieri. Calpestiamo terre già percorse da messapi. Forse son passati da qui i cento cavalieri per arrivare sotto la vallonea di Tricase, chissà. E come bestemmiavano i manovali che squarciavano a mano la roccia per farci passare rotaie ora semi abbandonate?
Le traversine che calpestiamo sono ancora in legno. Anche i pali dei fili elettrici sono “quelli di una volta”, in legno nodoso e spesso storto. Era sufficiente che reggessero ed avessero la giusta dimensione, l’aspetto estetico era assolutamente relativo. Questo è indiscutibilmente il fascino del cammino, è il legame fra passato remoto, presente e futuro.  “Le traversine in legno sono cancerogene” dice qualcuno, non so perché ma non trovo risposta, non sono il solo, un altro dice “cosa non lo è?”. Terre di Messapi, poi arrivarono turchi invasori, poi passarono in molti da lì. Oggi è terra di tutti, oggi è Italia. Il cantattore (così si definisce) P40 (http://spigolaturesalentine.wordpress.com/2011/10/24/vane%E2%80%9D-il-discorario-musicale-del-cantattore-salentino-p40/#more-36303) ci intrattiene nelle pause cantando poesie di un poeta Poggiardese, Rausa, che scriveva di mieru bevuto la mattina, piuttosto che del sesso… tutto rigorosamente in dialetto. Poi il ritorno chiudendo il cerchio del percorso, la sosta in stazione, al binario uno, un’ultima canzone, P40 dice che lui lo metterebbe un cartello là in fondo al capo: “Fine dell’Europa”. Poi ci salutiamo. Eravamo tanti domenica a calpestar sassi, molti non salentini arrivati qui chissà perché. Forse per amore, per lavoro, per missione, per scusarsi del nord spesso inquietante. Forse solo per vedere le rotaie una domenica mattino, al sole, e per pensare, chissà, di percorrerle tutte fino alla fine della terra emersa, arrivare dove osavano i crociati prima di partirsene per espugnare terre d’altri. Però pensare fa bene, in fondo siamo nella Magna Grecia qui.
E mentre tornavamo mi dicevo che qui è culla di cultura antica, la Toscana d’arte e del Rinascimento, noi in Piemonte abbiamo… abbiamo… Ah, si, abbiamo lasciato in eredità Emanuele Filiberto di Savoia, quello che balla in TV. Che botta di c... (leggi: fortuna) abbiamo avuto con l’Italia unita, possiamo pure dire che la terra salentina è anche nostra.







domenica 4 marzo 2012

Questa terra è la mia terra


Ogni volta che mi chiedono cosa diamine faccio in Salento mi viene in mente n libro: “Questa terra è la mia terra”, è di Woody Goothrie,  Hal Ashby lo traspose in film. Ancora non siamo nelle stesse condizioni della grande depressione degli USA, dei viaggi scroccati in treni merci, non ancora, anche se sembra incombere il tempo in cui saremo “depressi”. E’ il titolo ad essere evocativo. Per chi come me vede i confini come inutili orpelli, sogna il momento in cui un senegalese o un marocchino possano arrivare in Italia con naturalezza, senza il passaggio umiliante da questure e prefetture, e il momento in cui si possa avere un solo passaporto ed un ordine mondiale che metta avanti a tutto il diritto delle persone a vivere, è facile sentirsi a casa propria anche a mille chilometri di distanza. Arrivi in Salento e ti trovi a guardarti attorno, a respirare barocco, scirocco e  tramontana. Però poi abbassi lo sguardo e, ahimè, ahinoi, vedi rifiuti ai bordi delle strade…. Ma questa è altra storia, è storia dannata, è storia salentina e non solo. Passeggiavo con amici al primo sole di primavera, eravamo nei pressi di San Foca e pochi pescatori stavano lì. C’era aria di uscita dal tunnel dell’inverno. Che poi non è mica così male la stagione fredda, ci sono rape e cicorie. Però l’estate è l’estate, ti fa volare. Stavo a Castro l’altro giorno, con amici che avevano da fare là. Ho passato un inverno nella pacata calma di Castro marina. Scendere in piazzetta quando ancora era piazzetta, prima del crollo che l’ha ferita a morte, quasi come Cyrano colpito a tradimento per la sua piuma sul cappello che significava “non ci sto”, scendere nelle mattinate di gennaio e passare alla Chianca a prendersi un caffè, poi leggere il giornale là fuori, sulle seggiole del bar quando non pioveva e il vento lo permetteva. E commentare con chi arrivava e si fermava. Perché dopo pochi giorni diventi parte del luogo. “Lei non è di qui….” “diamoci del tu, mi fa sentire meno vecchio” così diventi amico di tutti. Così questa diventa la mia terra.  E leggo quelli che scrivono di ieri o del secolo scorso usando a volte parole coeve al tempo che descrivono. “Le vecchie cose di pessimo gusto” diceva Fogazzaro. Non tutti, non tutti, alcuni hanno parole che vanno diritte al cuore senza passare per il cervello che le attualizzi. “Che ci fai in Salento?” “guardo il mare e sento i profumi…” poi ascolti i politici che parlano di politica, poi ascolti una sirena… Nulla sono i vigili del fuoco che spengono un’auto, “la polizia indaga” diranno i giornali. Poi leggo la mail degli amici che fanno politica e che vogliono la campagna elettorale impegnata per la città, e mi chiedo perché. Mi sta annoiando la politica da quando la polis è uscita dalla finestra come quel marito che disse “vado a comprare le sigarette”. Che c’entra la polis con Castro marina? Molto, tanto, qualcosina. Ed ora che scrivo se la politica mi annoia? Parlo del mare che scava le rocce? Parlo delle torri costiere? Parlo delle contaminazioni culinarie? E facciamo poesia allora. Io che ho sempre guardato con sospetto i poeti, perché loro sono capaci di mettere assieme quattro parole e parlarti del mondo intero, emozioni, sensazioni, sentimenti.     
Che c’entra la polis con Porto Miggiano? La strada è emozione allo stato puro, colline di pietre, il mare là sotto, blu e verde. Terra quasi verde in inverno, arida e desertica in estate. Laggiù si staglia Santa Cesarea, brutta quanto basta a vederla tutta costruita quasi senza senso. Il bar porta una scritta fuori in ebraico. Sono passati gli ebrei anche da qui ai tempi della guerra e delle dittature, ed hanno lasciato il segno quasi come a Santa Maria al Bagno. Questa terra è stata la loro terra in quel tempo.   Porto Miggiano però ora è una distesa di piscine là sopra, piscine che guardano il mare. Che trovata, che ingegno, che schifezza! E’ come avere pasta trafilata la bronzo pronta da cuocere e andare al MC Donalds.
Ci andavo nella cava vicino al mare, ora incombe un ristornate che è immenso, che quando ci entri dentro vedi quattro bicchieri di fronte ad ogni piatto e tante posate che quando mi siedo a tavola non so mai da dove diavolo iniziare. Che è arredato come le signore arricchite si addobbano al punto di sembrare alberi di Natale. A volte le guardi e aspetti la lucina che si accende… si spegne…si accende…si spegne… Manca il cappellino a forma di puntale e i pacchi accanto.
“Le cose costose di pessimo gusto” probabilmente le chiamerebbe Fogazzaro.
Ma Salento è Salento, fichi e rusciuli. E poi abbiamo raccolto le niete (bietoline selvatiche) per buttarle in una pentola d’acqua bollente e mangiarle. “Che ci fai in Salento? Lecce non mi piace” mi dice la signora leccese che scalpita mentre affoga dentro la sua pensione e i suoi dubbi esistenziali, magari con un rapporto inquieto con il marito, sicuramente con sé stessa. “Preferisco il nord” continua. “E vacci al nord, è la tua terra anche là”. Solo che non ci sta il barocco, neppure il mare ci sta. Vacci e lasciami qui a guardare Sant’Oronzo sulla sua colonna. Lui, il santo che tale non era, non fosse stato per il vescovo che pose fine allo scempio di santi patroni (diciotto) che Lecce annoverava per far concorrenza a Napoli. L’ultimo doveva essere Gennaro, fu Oronzo.
Ho imparato anche questo ieri sera ascoltando Giovanna che parlava (timida timida timida) dello stemma di Lecce e di Sant’Irene. La santa che era patrona, prima, poi venne quasi declassata. I Teatini e i Gesuiti vantavano il possesso delle sue reliquie e spaccarono la città in due. Da Santa contro le pestilenze venne declassata a Protettrice dai fulmini. Si erano persino inventati la sua nascita a Lecce prima. Poi Oronzo, leccese lui si, venne adottato e mai rimesso in discussione. Lui con Giusto e Fortunato. Irene, boh, chissà che fine ha fatto.  M non era mica leccese, arrivava dai paesi “incivili”.
“Macchiato il caffè?” mi chiede Antonio che ogni giorno mi fa un caffè macchiato. Però si informa prima, vuoi mai che cambi idea questo settentrionale?
Chissà se anch’io ho un santo protettore. Una volta avevo un angelo custode, cosa avesse da custodire mai l’ho capito, forse per questo l’ho licenziato (nel senso di dare licenza) e lasciato libero di custodire tesori altri, diversi. Di sicuro non è andato a proteggere Porto Miggiano, neppure Santa Cesarea terme. Forse aveva urgenze più impellenti. Forse voleva aiutare Santa Barbara a mettere missili armati sugli aerei come vuole il ministro della guerra. Ahi ahi ahi torna, incombe, si infratta per un attimo e rinasce dalle sue ceneri la politica senza polis.
Questa terra è la mia terra…. Bodini il poeta, e Verri hanno scritto versi. Vito Antonio Conte scrive poesia disincantata squarciando pagine con parole dirette, che arrivano dove anche io le capisco.  La giovane salentina ha vinto un premio letterario con un libro che forse mai leggerò, ho visto una presentazione ed ho capito che non è il genere che amo. Però l’ho votata per il concorso…. In fondo questa è anche la sua terra (soprattutto la sua, io sono ospite) e l’hanno votata in tanti. Perché Salento non sono solo auto che si infiammano d’amore o di benzina, è anche caparbia appartenenza. “Non toccare il Salento a un salentino, si offende” mi si dice. Annuisco, ci credo. Anche se poi si lamenta, il salentino, perché altri salentini non amano la sua terra come dovrebbero. E la città racconta dei fili che incombono su Lecce come una ragnatela, di strade con buchi. Mi dice di quelli che contano, che sono qualcuno ma che non sanno parlare un italiano decente. E poi quel botto nella notte, un’esplosione nel palazzo come neppure i  fuochi la notte di sant’Oronzo o di capodanno. E il giornalaio che mi allunga il giornale e un sorriso. E la signora che ogni mattina come andare a messa va dal mio tabaccaio di fiducia a spendere 2 euro per vincere grattando un foglietto di carta. Questa è la mia terra, la rivendico, questa è terra del mondo intero. Ci possiamo sedere tutti quanti nelle poltrone di questo teatro del mondo. Dovremmo poterlo fare. Però se scade il passaporto non ti fanno entrare in mondi altri, diversi. Quasi come fossero solo loro. Però se arrivavano barconi carichi di sguardi li cacciava via, il governo del fare, quasi come se queste terre fossero solo loro. Come i feudatari. Come i latifondisti dell’Arneo. Come gli incivili.