Poesie ferroviarie, Poggiardo (LE), V Giornata Nazionale delle ferrovie
dimenticate - prenotazione obbligatoria. Uno degli ultimi tratti delle Ferrovie
del Sud Est con ancora le traversine di legno, ampi scorci di campagna,
masserie, edifici in pietra a secco e i muri - tipici da questa parti - fatti
con pietre squadrate cavate (qualcuno dice) nella preistoria ed infisse
verticalmente nel terreno. Un'aria che parla la lingua megalitica e infine
quella di un poeta di questa terra, Rausa, di cui leggeremo i versi. (dal sito:
http://www.avanguardie.net/)
Abbiamo calpestato sassi e traversine domenica mattina. Le
ferrovie dimenticate, le chiamano gli organizzatori di Avanguardie mentre ci
guidano a schiacciar sassi. Loro amano le camminate nella terra si Salento (e
non solo), e sono pure bravi a raccontare i loro luoghi. Rachele precede con la
sua felpa con su scritto “Guida”, è la figliola di Emanuela e Totò.
La domenica si può camminare sulle rotaie, perché tutti
sanno che i salentini quel giorno riposano e non si muovono, neppure i turisti
lo fanno. Perché? Per il semplice fatto
che nessuno può farlo, perché le FSE (Ferrivedelsudest) hanno deciso così: la
domenica nessun treno… Alla faccia del modello di decrescita felice, alla faccia
dell’inquinamento. Pensiamo al turista che si vuol muovere con mezzi pubblici,
arriva a Lecce dal nord (se Trenitalia lo consentirà, visto che Lecce è poco
remunerativa per il signor Moretti che opta per l’alta velocità e gli altissimi
prezzi), una volta arrivato nella città barocca il nostro turista vuole andare
a Leuca? Burlone! Le 10 ore da Milano sono inezie confronto alle tre/quattro
del percorso residuo. E non osi arrivare la domenica, altrimenti è fatto,
cotto, sedotto e abbandonato. In altre parole: trattato come una vacca da
mungere senza neppure uno straccio di contropartita. Mica male per chi dice di
avere “vocazione turistica”.
Il paesaggio però vale la pena percorrerlo con sapiente
calma, prestando attenzione a dove si mettono i piedi per non incespicare, ma
guardandosi attorno. Muretti a secco con grandi pietre in verticale, squadrate,
piccoli menhir di cui non si conosce la provenienza. “Pare si tratti di ruderi
di costruzioni messapiche utilizzati poi per altri scopi, ma nulla è certo, si
tratta di ipotesi” ci dice Emanuela. Un contadino poco oltre ha acceso rami
secchi e li controlla, noi camminiamo sotto un piacevole sole che scalda. Ogni
tanto ulivi, ogni tanto sassi. Poi le nuove colture salentine: Un campo con
pneumatici, uno con lastre di eternit, distese di pannelli solari, materiali di
risulta da edilizia, una water appoggiato con voluta nonchalance… Tutto aspetta di crescere rigoglioso con la
primavera.
Però il Salento si repira e si osserva con i suoi colori. La
natura vince comunque, anche nella masseria, forse ex deposito tabacchi,
abbandonata che sta cadendo a pezzi. E sembra di sentire il profumo del mare,
di vederne il movimento.
Si parla, camminando, di energia alternativa, dello sfregio
al paesaggio, della necessità di normare gli insediamenti. E ognuno pensa fra
sé, pare di sentire il rumore infernale di tutti quei pensieri. Calpestiamo
terre già percorse da messapi. Forse son passati da qui i cento cavalieri per
arrivare sotto la vallonea di Tricase, chissà. E come bestemmiavano i manovali
che squarciavano a mano la roccia per farci passare rotaie ora semi
abbandonate?
Le traversine che calpestiamo sono ancora in legno. Anche i
pali dei fili elettrici sono “quelli di una volta”, in legno nodoso e spesso
storto. Era sufficiente che reggessero ed avessero la giusta dimensione,
l’aspetto estetico era assolutamente relativo. Questo è indiscutibilmente il
fascino del cammino, è il legame fra passato remoto, presente e futuro. “Le traversine in legno sono cancerogene”
dice qualcuno, non so perché ma non trovo risposta, non sono il solo, un altro
dice “cosa non lo è?”. Terre di Messapi, poi arrivarono turchi invasori, poi
passarono in molti da lì. Oggi è terra di tutti, oggi è Italia. Il cantattore
(così si definisce) P40 (http://spigolaturesalentine.wordpress.com/2011/10/24/vane%E2%80%9D-il-discorario-musicale-del-cantattore-salentino-p40/#more-36303) ci
intrattiene nelle pause cantando poesie di un poeta Poggiardese, Rausa, che
scriveva di mieru bevuto la mattina, piuttosto che del sesso… tutto
rigorosamente in dialetto. Poi il ritorno chiudendo il cerchio del percorso, la
sosta in stazione, al binario uno, un’ultima canzone, P40 dice che lui lo
metterebbe un cartello là in fondo al capo: “Fine dell’Europa”. Poi ci
salutiamo. Eravamo tanti domenica a calpestar sassi, molti non salentini
arrivati qui chissà perché. Forse per amore, per lavoro, per missione, per
scusarsi del nord spesso inquietante. Forse solo per vedere le rotaie una
domenica mattino, al sole, e per pensare, chissà, di percorrerle tutte fino
alla fine della terra emersa, arrivare dove osavano i crociati prima di
partirsene per espugnare terre d’altri. Però pensare fa bene, in fondo siamo
nella Magna Grecia qui.
E
mentre tornavamo mi dicevo che qui è culla di cultura antica, la Toscana d’arte
e del Rinascimento, noi in Piemonte abbiamo… abbiamo… Ah, si, abbiamo lasciato
in eredità Emanuele Filiberto di Savoia, quello che balla in TV. Che botta di c... (leggi: fortuna) abbiamo avuto con l’Italia unita, possiamo pure dire che la terra salentina è
anche nostra.
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