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sabato 4 luglio 2015

E' morto Eusebio, ambientalista brasiliano

Lo scorso 4 maggio è stato assassinato Eusebio. Era uno dei leader dei Ka’apor, etnia brasiliana che da decenni si batte contro le mafie della deforestazione dell’Amazonia. Il Brasile, secondo Greenpeace, è il paese in assoluto più pericoloso per gli ambientalisti. Ogni due minuti un’area pari ad un campo di calcio viene privata dei suoi alberi. E l’Unione europea è al primo posto fra i consumatori di quei prodotti illegalmente, secondo un rapporto di organizzazioni ambientaliste. Brasile e Indonesia deforestano, i Paesi Bassi importano e smistano le materie di derivazione disboscamento importate: Olio di Palma per Germania e Paesi Bassi, la carne bovina in Inghilterra, il pellame in Italia, la soia in Francia. Oltre il 50% di queste merci arrivano dal Brasile dove la deforestazione sarebbe illegale al 90%. L’80% di disboscamento illegale se lo contendono invece Indonesia, Malesia e Paraguay.

Nel solo Brasile a settembre, secondo i dati satellitari forniti dall'organizzazione no profit Imazon, sono stati rasi al suolo ben 402 km quadrati di foresta, il 290% in più rispetto allo stesso mese del 2013, per destinare il terreno ad altro uso. Da agosto a settembre i chilometri quadrati persi sono stati 838, pari a un incremento del 191% su base annua. 

giovedì 2 luglio 2015

Il coraggio della democrazia

Ricevo e pubblico questo intervento di Leonardo Gatto. Lo faccio per amore di dibattito, non condividendone alcuni aspetti. In particolare ritengo che Podemos e Syriza nulla abbiano da spartire con un movimento nato utilizzando un populismo un pò datato e speculare a quello di altri movimenti, tipo lega nord per intenderci, che sparano nel mucchio offrendo il fianco anche a teorie complottiste e simili. Tuttavia ritengo che nel movimento 5 stelle, a differenza della lega, ci siano persone di valore che diventeranno credibili solo nel momento in cui accetteranno un dialogo con altre forze e accetteranno il fatto di assumersi responsabilità di governo avendone i numeri. Possibilmente evitando a chi li vota l'imbarazzo di promesse non mantenibili (Pizzarotti a Parma impostò la sua campagna elettorale contro l'inceneritore che inaugurò alcuni mesi dopo la sua elezione). Inoltre io sono dell'idea, al momento, che l'uscita dall'euro sarebbe una scelta inutile e dannosa, non a caso a volerla con forza sono formazioni che fanno del populismo la loro arma strategica. Gianni.
Il coraggio della democrazia
Per un italiano leggere le parole che il premier Alexis Tsipras ha rivolto al popolo greco annunciando il referendum del 5 luglio non deve essere stato facile, soprattutto dopo aver subito (senza fare nemmeno troppa resistenza) i tre governi non eletti (Monti, Letta, Renzi) e le prescrizioni che per loro tramite la Troika ha imposto.
Per un cittadino dell’Europa del sul sentir parlare di dignità e democrazia il primo ministro di una nazione che economicamente è messa peggio di tutte, potrebbe rappresentare un trauma addirittura peggiore dell’aver subito una sequenza interminabile di riforme incostituzionali ma utili, almeno così hanno raccontato, a rendere i popoli delle nazioni periferiche degni di far parte della grande famiglia europea. Quelle che gli sono state vendute come una cura dolorosa ma necessaria al  rilancio economico altro non sono che il quesito del referendum che Tsipras sottoporrà ai cittadini greci  in quanto lesive della sovranità e la dignità nazionali.
Il fatto che il premier ellenico abbia fatto più volte ricorso alla dignità nazionale e alla portata storica della decisione da prendere non è un semplice esercizio di stile, ma la dimostrazione che  politica e democrazia vanno a braccetto, indipendentemente dal peso dell’economia dello Stato che si rappresenta. Nell’epoca della mercificazione dei diritti e della politica al servizio del potere finanziario Tsipras si comporta da statista come non se ne vedono da più di un ventennio. La decisione di indire un referendum sulle misure proposte dai creditori  ha palesato  l’inconsistenza dei governi dell’Europa meridionale (Italia in testa) che negli ultimi anni si sono  piegati a politiche di austerità senza battere ciglio, relegando di fatto le proprie nazioni al ruolo di eterna periferia da saccheggiare.
In un sol colpo Tsipras ha affossato le balle europee sull’irreversibilità della moneta unica, sull’assoluta necessità delle politiche di austerità attuate in nome di un principio di emergenza e figlie di una crisi finanziaria che poco ha a che fare con il popolo sprecone abituato ad andare in pensione troppo presto, ma che tanto devono all’inefficienza del sistema bancario, braccio armato della finanza speculativa. Con la freddezza tipica del politico navigato il giovane Alexis  ha riportando finalmente al centro del dibattito europeo il principio democratico, gli è bastato pronunciare la parola referendum perché i creditori andassero in tilt, vedendosi di colpo costretti a dichiarazioni che fanno riferimento “alla grande famiglia europea” dalla semplice minaccia di praticare il più elementare esercizio democratico. Non male come risultato politico.
Il fatto che l’Europa sia stata pensata su principi di solidarietà tra popoli mentre in realtà viene tenuta insieme da regole che somigliano più ad un contratto per il finanziamento dell’acquisto dell’auto che non ci possiamo permettere è verità ormai sotto gli occhi di tutti. La contrattualizzazione della fiducia tra Stati è il piano culturale sul quale poggia l’attuale costruzione europea e la moneta unica. La Troika gioca da sempre una partita doppia con la politica dei vari Stati europei, soldi in cambio di riforme che riducano il divario socio economico tra le  nazioni del Sud a quelle del Nord. Va da se che l’unica Europa possibile sia un abito cucito su misura sulle esigenze economiche, sociali e culturali dei virtuosi esportatori del nord, mai disposti a prendere in seria considerazione le diversità culturali, sociali ed economiche della totalità dei paesi che compongono il vecchio continente.  
L’Italia, al pari di Grecia, Spagna, Portogallo e Irlanda fa parte della periferia sud dell’Eurozona e come tale  ha poco da guadagnare dal protrarsi di politiche mercantilistiche che sviliscono lo stato sociale e il mondo del lavoro. In questi giorni si è arrivati a minare l’istruzione delle generazioni future con una riforma della scuola talmente cinica da  rendere la libertà di insegnamento del singolo docente una merce la cui adeguatezza deve essere sottoposta al vaglio del preside padrone di turno. I greci, molto probabilmente, non arriveranno mai a subire simili umiliazioni sociali.
La crisi greca e le parole di Tsipras suonano per il nostro paese e per i P.I.I.G.S. come un vero e proprio campanello d’allarme, una sveglia che abbiamo silenziato più volte in passato e che dopo le condivisibili richieste di democrazia greche si fa sentire più forte di prima. In Italia la democrazia è stata sospesa. Gli ultimi tre governi non hanno avuto alcun mandato popolare, non vi è traccia di un programma condiviso e si continua ad operare in palese contraddizione con i principi costituzionali. La maggioranza in parlamento non rispecchia per nulla la coalizione che ha vinto le elezioni nel 2013, la nostra sinistra radicale dopo aver regalato il premio di maggioranza al governo fa acqua da tutte le parti, al massimo è stata in grado di organizzare una gita fuoriporta con striscioni e bandiere inneggianti una ridicola “brigata kalimera” dopo aver scopiazzato male, per anni, la sinistra spagnola. Di un dibattito nel merito su euro ed Europa nemmeno l’ombra.
L’euro, come da tempo scrivono gli economisti di mezzo mondo, è una costruzione umana che ha il compito di semplificare la vita e i rapporti economici dei popoli che lo adottano, ma non è un obbligo servirsene a tutti i costi. L’adozione di una moneta unica rappresenta la diretta conseguenza del percorso comune nel quale le nazioni concorrenti si devono riconoscere. In sostanza è l’ultimo passo da compiere dopo aver lavorato insieme per una leale convergenza dei diversi sistemi culturali, sociali, economici e politici in modo da muoversi e pensare da struttura unitaria in grado di compensare eventuali squilibri macroeconomici. Le dinamiche di questi anni hanno dimostrato come il percorso sia stato completamente rovesciato, l’euro è stato utilizzato come mezzo col quale costruire l’Europa lasciando ai margini del dibattito pubblico la necessità di costruire una visione ed un percorso comune.  I cittadini degli stati membri sono stati messi davanti al fatto compiuto con la convinzione che alla fine, stretti dalle morse del debito pubblico e di una crisi nient’affatto che casuale, avrebbero accettato l’austerità dei bilanci pubblici pur di non smettere di sognare un’Europa in realtà mai nata.
La cornice nella quale inserire il rovesciamento delle più elementari regole economiche è stata curata nei minimi particolari, raccontando la menzogna del debito pubblico causato dagli sprechi delle passate generazioni, troppo permissive in ordine a stato sociale e diritti dei lavoratori. In realtà la causa principale dell’aumento del debito pubblico ha origini ben più profonde, basta rileggere la storia economica d’Italia e dell’Eurozona alla luce della scelta compiuta, a partire dalla seconda metà degli anni ’70, di convergere verso la moneta unica per capire quanto la realtà sia stata ancora una volta capovolta. Il primo passo è stato senza dubbio il divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia, seguito dall’ingresso nello Sme e dalla crisi del 1992,  per arrivare all’adozione dell’Euro come moneta unica continentale.
Il debito pubblico ha iniziato la sua corsa verso l’alto il giorno dopo il divorzio(1), subendo un’ulteriore impennata in seguito al salvataggio del sistema bancario dopo la crisi del 2007. Salvataggi o, per meglio dire, socializzazione del debito. Debito pubblico trasformato in debito privato e spalmato sui bilanci dei paesi dell’arco atlantico, seguito da un’operazione mediatica finalizzata a colpevolizzare i cittadini di nazioni che sopravvivono grazie al fatto che buona parte della loro economia è viziata da corruzione e mercato nero. Una condizione strutturale dell’economia reale che tardiamo a risanare e che viene sfruttata cinicamente da sistema finanziario e organismi internazionali, utile alla causa europea dell’austerità che si sposa perfettamente con la necessità di imporre un regime emergenziale in aree come il sud Europa. Tutto questo Renzi, Merkel, Junker e compagnia al seguito  lo sanno bene. Non si tratta di teorie del complotto(2), ma di uno stato dei fatti ampiamente conosciuto e dibattuto nel mondo fuori dai salotti da talk show.
Lo sa bene anche Tsipras, che dicendo semplicemente la verità al popolo greco traccia una linea politica innovativa e dal forte carattere rivoluzionario, in grado di avvicinare idealmente giovani formazioni politiche come Podemos in Spagna e Movimento 5 Stelle in Italia. Movimenti che hanno bisogno di crescere accompagnati da una consapevole spinta popolare. Naturalmente non è detto che il referendum farà prevalere i no alle richieste di FMI, BCE, Commissione Europea e creditori vari, ma di certo quelle parole rappresentano una presa di posizione ed una consapevolezza dei fatti con la quale tanti appassionati sostenitori del “bisogno di un cambio di rotta responsabile” dovranno, gioco forza, fare i conti.
Link Tsipras:   http://www.eunews.it/2015/06/27/per-la-sovranita-e-la-dignita-della-grecia-il-discorso-di-tsipras-per-il-referendum/38109                                                                             
Link 1: http://keynesblog.com/2012/08/31/le-vere-cause-del-debito-pubblico-italiano/
Link 2: http://temi.repubblica.it/micromega-online/il-colpo-di-stato-di-banche-e-governi/

martedì 30 giugno 2015

Noi stiamo con i greci

Con i greci o con le banche europee? 



[...]Non è nem­meno, anche se così ci avvi­ci­niamo al nucleo del con­ten­dere, un con­fronto tra una poli­tica che mette al cen­tro le per­sone e una poli­tica incen­trata sul denaro. In gioco c’è l’accettazione o il rifiuto del domi­nio incon­tra­stato di chi ha il denaro su chi denaro non ne ha: quel domi­nio che Marx chiama Capi­tale, ben sapendo che esso è un rap­porto sociale, le cui poste sono la ripar­ti­zione del red­dito tra salari e pro­fitti (nelle loro varie forme), modi e tempi del lavoro, accesso ai ser­vizi sociali, appro­pria­zione di tutto l’esistente: risorse natu­rali, vita asso­ciata, ser­vizi pub­blici, sapere, genoma, salute[...]

Parte di un articolo di Guido Viale  su Il Manifesto del 10 febbraio 2015. Qui il testo completo