Commenti

Non pubblicheremo commenti anonimi.

venerdì 14 ottobre 2011

abbiamo un debito?


Abbiamo un debito. Non parlo di quello pubblico, piuttosto di quello più pesante che abbiamo lasciato alla generazione dei giovani che stanno affollando le piazze, le scalinate, che stanno davanti ai centri del malessere mondiale: banche e signori della finanza. Mi fanno veramente pena e ribrezzo quelli più anziani che dicono “state eccedendo ragazzi, il problema è un altro….”. E’ parzialmente vero, il problema è la generazione di quelli che hanno vissuto gli anni 70. Quelli che, compreso chi scrive, hanno permesso alla filosofia tangentista di prendere il sopravvento, quelli che hanno consentito che un partito diventasse da sinceramente Socialista, a spudoratamente tangentista. Quelli che hanno permesso che un partito già Comunista si trasformasse in qualcosa di strambo e di lontano dalle persone in nome e per conto del nuovo corso.
Da Gramsci, Togliatti, Longo, Berlinguer siamo arrivati a Veltroni? Che fine tragicomica. Noi che ridevano mentre si arrestavano politici, che lanciavano monetine senza saper proporre o imporre cambiamenti, ma lasciando tutto nelle mani dei partiti. Che non abbiamo chiesto conto a chi governava con quelli finiti in galera nella varie città senza venire intaccati da indagini. E senza chiederci se in trent’anni di governo fianco a fianco era possibile non accorgersi di nulla ed abbiamo proseguito a votare le stesse persone come se nulla fosse.
Noi, quelli che hanno smesso di scendere in piazza perché  “ci deve pensare la politica”. Quasi la politica fosse cosa altra, diversa, lontana dalle persone. I più coerenti ed onesti, seduti davanti al loro computer, hanno continuato a scrivere la linea, a dire cosa si deve fare per cambiare le cose e a terminare ogni articolo, ogni analisi dicendo più o meno “loro non lo fanno, ahiloro ahiloro”. Noi abbiamo consentito che la rappresentanza diventasse delega tout court. “Io ti voto, ora sono cazzi tuoi, io devo andare al mare, al massimo sto qui a elaborare teoremi e teorie”. Siamo noi che abbiamo consentito alla lega di diventare il partito che è, perché, ricordo, ridevamo di quei quattro pezzenti semianalfabeti che dicevano di averlo duro. Abbiamo abbassato la guardia, semplicemente, banalmente. Noi abbiamo concesso a un guappo costruttore di case di diventare l’uomo più potente d’Italia ed ora molti ridacchiano quando si parla di puttane alla sua corte, o di minorenni sfruttate sessualmente.
Le piazze dovevamo riempirle molto tempo fa. Oggi è tardi, abbiamo dormito e i ragazzi ci chiedono conto. Giustamente. Li ho sentiti in TV, chiedono il default dell’Italia. Intanto parliamo in italiano e non nella lingua imposta dai raffinati dell’economia. Default si chiama fallimento. Perdio, almeno la lingua italiana salviamola, proviamoci, o vogliamo sacrificare anche quella sull’altare della grande finanza, vogliamo delegare un’altra volta ai vari Draghi, draghetti e alle mafie il nostro futuro? Perché non scordiamo che noi abbiamo concesso alle mafie di diventare la più grande azienda europea con il non vedere, non sentire e parlare poco e sottovoce, abbiamo consentito alla ndrangheta di prendersi il movimento terra in Emilia, Liguria, Piemonte, Lombardia.  Abbiamo detto “oh, ma hai visto?” quando il comune di Bardonecchia, primo al nord, venne commissariato per infiltrazioni, e dopo averlo detto siamo tornati a guardare di notte le tette delle ragazze nelle TV di Berlusconi. 
Si parla di pensioni, perché mai non abbiamo riempito le piazze quando i governi pentapartito, tripartito e simili consentivano ed agevolavano pensionamenti a quarantenni?  Ne paghiamo il conto, dobbiamo pagarlo. E magari lo facessimo solo noi, il problema è che lo lasciamo in eredità a quei ragazzi sulle scalinate di banchitalia. Ci siamo anestetizzati prima da soli, poi con il notevole contributo dei partiti sedicenti di sinistra che si sono avvoltolati nelle loro contraddizioni, fino ad aspettare l’uomo che decide e che risolve i problemi. Il nome sui simboli cos’altro significa? Aspettiamo il berluschino di sinistra per votarlo e poi dirgli “ora sono affaracci tuoi, noi pensiamo ad altro”?  Parliamo dei costi della politica e ci scandalizziamo per il costo troppo basso degli spaghetti all’astice al Senato? Ma per favore, non sapevamo da qualche decennio che i parlamentari sono pagati esageratamente e che hanno privilegi che neppure lo scià aveva? Noi siamo stati ben zitti e silenti, loro anche, soprattutto quelli di sinistra. Solo che un tempo, almeno,  restituivano il 50% delle loro prebende ai partiti, oggi neppure quello.  I ragazzi hanno ragione, chi dirà loro “ora basta ragazzi, tornate a casa, ghe pensi mi”?  E’ vero, il problema è un altro, la finanza è il frutto di una politica lasciata sciamare per le strade del potere senza alcun controllo democratico. Il problema siamo noi. Facciamoci da parte, come fa chi ha sbagliato, ai ragazzi portiamo solidarietà, non il verbo

giovedì 13 ottobre 2011

il guappo di arcore

Oggi il guappo di Arcore ha parlato alla Camera dei deputati. Discorso ricco di pochezza, farcito di luoghi comuni. Tante parole per dire "io sono il migliore, dopo di me il diluvio" e simili amenità. Ad applaudirlo una schiera di prezzolati, da quelli che governano in nome di Dio ed appoggiano un uomo in odore di utilizzatore finale della prostituzione minorile, ai post fascisti (che tanto posto non sono) come La Russa e compagnia cantando, ed i neonazisti in camicia verde. Prosit. 

lega e amenità varie


Non fosse perché è fuori dalla Costituzione e travalica le regole elementari della democrazia e dell’intelligenza sarebbe bello farlo fare il referendum agli ultimi della classe, quello sulla secessione, che loro chiamano “autodeterminazione dei popoli”, senza porsi il problema di comprenderne il significato. Non scordiamo che il massimo ideologo di quel partito fu Gianfranco Miglio che predicava tre stati indipendenti (altro che federalismo), il meridione, in particolare, governato dalle mafie con la bizzarra teoria che se esistono occorre riconoscerle. Secondo questo teorema si dovrebbe riconoscere alla ndrangheta una quota nella guida delle associazioni edilizie lombarde o emiliane o piemontesi.   Fu proprio Miglio ad inventare i nomi degli stati proprio come Disney fece con Paperopoli e Topolinia.
Il referendum sulla secessione dovrebbe essere nazionale ovviamente, visto che la situazione riguarda lo Stato, non già un’enclave ridotta (Paperopoli, nella fattispecie). Sarebbe bene farlo quel referendum così si renderebbero conto quanto realmente contano. Tuttavia così non può essere, lo ha ribadito Napolitano (meno male che Giorgio c’è), anche Schifani che gioca a fare il candidato al Colle lo ha detto. Per non parlare dei vari La Russa e compagnia cantando, quelli che in nome dell’Italia una, indivisibile (possibilmente fasssista) portavano in giro tricolori ovunque, tranne che nelle ricorrenze di stragi a stazioni e banche, ma questo è altro discorso.  Il governo in realtà è in una situazione bizzarra e strana, quelli della secessione proclamano il federalismo, poi votano compatti, uniti e fieri una manovra che nei fatti azzera quel poco di leggi ad hoc votate con fatica fino ad oggi. Rimane solo il federalismo cosiddetto demaniale, quello che consente di vendere la valle dei Templi o di far valutare le Dolomiti ai veneti perché non si sa mai. “Padroni a casa nostra, la valle dei Templi ai siciliani, le Dolomiti ai Veneti, i laghi ai Lombardi”. Attenzione che qualche idiota metterà in vendita il lago di Garda, piuttosto che la torre di Pisa. E si che prima di essere dei veneti e dei siciliani quegli splendori erano degli italiani, anzi, erano del mondo intero. Da patrimonio dell’umanità a casa privata di Zaia? E sarà il trota a decidere sulla vendita del lago di Garda?  Dall’altra parte del governo la compagine azzurra, quella che fa capo a Villa Certosa per intenderci,  vede la lega e i leghisti secessionisti come fumo negli occhi, ma li tratta da veri compagni di merende perché indispensabili a tenere la flebo al loro governo. Separati in casa? Non proprio, tutti uniti per restare a Roma ladrona costi quel che costa. Ancorati alle poltrone come cozze allo scoglio. Alla faccia di tutti e di tutto. A proposito di secessione, la rete è sempre stupenda, è nato un gruppo che vuole dividere l’Italia in due longitudinalmente: est ed ovest. Quest’ultimo ha come slogan: Ancona ladrona. Altri la vorrebbero a pois e così via.  
La vicenda emblematica del referendum sulla legge elettorale la dice lunga sulla distanza della politica dalle persone, la politica tutta intendo. Tutti i partiti, tranne qualche utilizzatore finale di escort, dicono che questa legge è infame, in dieci anni nessuno ha fatto un passo per cambiarla, al punto che un milione e duecentomila cittadini hanno detto “ghe pensi mi” non per parafrasare quello decrepito e alto un metro e trentatre che governa, perchè sono stanchi di lui.     Ci pensino le persone anche per la finanziaria per favore, si tolga ai drogati di PIL e di spread il primato che detengono nel ricacciare gli italiani nella miseria e nella povertà.
Anche perché, per tornare alla legge elettorale, il centro sinistra non ha uno straccio di riforma condivisa da proporre. Qual è il compito dei partiti e degli eletti al parlamento? La maggioranza faccia il suo lavoro, le minoranze trovino alternative. Ai cittadini non può fregare di meno il sentir parlar male della legge elettorale di vari D’Alema, Bersani e compagnia bella senza sapere assolutamente quale alternativa hanno in mente. Loro non sono persone qualsiasi e non lavorano dietro il bancone del bar Sport, sono, almeno dovrebbero essere, l’opposizione che propone,  quindi debbono dire chiaro agli elettori cosa vogliono e con chi vogliono farlo, siamo invece all’improvvisazione e agli assolo dei vari papaveri che hanno veramente “scassato i cabasisi” come direbbe Montalbano.  
Si parli anche con le persone e si ascoltino punti di vista, però si facciano proposte. Questo vale per la legge elettorale, ma vale per tutto il resto, la latitanza e la mancanza di coesione, addirittura il non sapere chi sarà il leader della coalizione e soprattutto quale coalizione si farà sono il vulnus di questa  situazione. Ministri secessionisti al governo,  sarebbe come se Obama desse il ministero degli interni statunitense a Al Qaeda, a chi vuole distruggere gli USA. Una minoranza e opposizione inerme, incapace, lontana quanto non mai dalle persone. Guardiamoli, vediamo quel che fanno. In alcune città, alla vigilia delle elezioni amministrative, ancora non indicono primarie nonostante la presenza di una candidatura, evidentemente non condivisa,  “perché cerchiamo un candidato che piaccia all’UDC, ma dovremo evitare le primarie”. Il gioco va bene per il primo giro di giostra, dopo di che l’UDC dovrà adeguarsi, non certo proseguire a passeggiare sul marciapiedi  aspettando l’offerta migliore.
E questi sono i comportamenti che arrivano alla periferia partendo direttamente dal centro, gli stessi giochini che si fanno a Roma. Personalmente ho qualche dubbio, in caso di primarie nazionali, sul votare Vendola, tuttavia il PD non ha nessun diritto di non tener conto di una candidatura, sia pur lanciata intempestivamente ed inopinatamente in un momento in cui la Puglia aveva (ed ha) bisogno di una guida sicura, che nei fatti è sul tavolo. Il problema, in caso auspicato e probabile, di elezioni anticipate, è che il centro sinistra non ha un candidato credibile in cui riconoscersi. Bersani, dice il PD. Vendola, dice la minoranza dello schieramento. Però occorre fare i conti con Casini (e Fini) o no? E se quelli diranno, come fanno a Lecce ed altrove, no alle primarie e candidato condiviso? Siamo poi così sicuri che gli elettori non sceglieranno di andare a farsi un viaggetto a vedere le Dolomiti ancora italiane, piuttosto che andare a votare candidati calati dall’alto? E chi vincerà, chiunque sia, sarà l’eletto di una maggioranza che esclude il maggior partito italiano, quello dell’astensione, valutato, ad oggi, al 30%. 

luna piena a san cataldo


Luna piena sul mare di San Cataldo. Onde neppure troppo rabbiose e sabbia nera, forse catrame, chissà. Il cagnolino bianco cammina sul lungomare seguito da uno color champagne, già lo champagne, festa festa festa… Che diavolo ci sarà mai da festeggiare? Mistero, forse l’economia che non gira, forse i ragazzi italiani in giro per il mondo. 70.000 se ne sono andati in un anno, contro i 20.000 immigrati che arrivano su barche, camion, pullman per cercare di sopravvivere. Qualcuno si lamenta per questi ultimi e dice che sono loro il vero problema. “Che mondo di merda” mi dice una signora tralasciando il bon ton e parlando, alla buon’ora, come si parla fra amici.
La luna ammicca, guarda, osserva, illumina il mare e il vento che soffia quasi benefico. “Tramontana?” “Libeccio” rispondo io senza sapere assolutamente nulla di venti, però mi piace il nome. Tramontana e scirocco sono abusati. Le previsioni dicono di poche nuvolette che nascondono solo un po’ il sole giallo, perché il sole è giallo per antonomasia, anche se io lo vedo sempre bianco, a volte arancio, una palla che si tuffa in mare, forse l’ha persa un bimbo, chissà.  Intanto i pescatori con la lampada sulla testa come minatori e canne con la lucina in cima pescano, almeno, ci provano. Poi vado a casa e guardo il TG così mi informo delle cose del mondo, poi, solo poi. Sono mesi che le cose del mondo vanno come dice la signora che ha perso il bon ton. Un peana tristanzuolo di dolori, miserie, escort ed eserciti che combattono e perdono una guerra che dura da 10 anni, voluta dai peggiori della terra. Qualcuno dopo pochi mesi si spinse a dire “missione compiuta, abbiamo sconfitto i talebani” l’ha detto 10 anni fa e ancora stanno li a crepare i ragazzi di belle speranze e di grandi armamenti. Ah il Vietnam e la storia che non insegna nulla ai signori della guerra. A volte i politici si somigliano in modo impressionante, qualcuno qui da noi dice “noi l’abbiamo duro”, qualcuno negli USA disse “abbiamo vinto”, stessa filosofia, stessa potenza verbale, stesse parole gettate lì come al bar sport si fa fra ubriaconi. E prima di mandare ragazzi a crepare in Afghanistan disse “Vinceremo”, o parbleu, qualcuno già lo disse e sappiamo com’è finita.  Solo che a pagare sono i ragazzi in divisa.
Ah la luna di San Cataldo, così uguale a quella di Alessandria dove “fa freddo, è arrivato l’inverno” mi dicono per telefono. Lei se ne strafrega se fa freddo o caldo, lei sta lassù e guarda qui sotto. Camminavo per il centro storico di Lecce, si avvicina la zingara col bicchierino di plastica per le elemosine, sempre lei, sempre la stessa, ormai è come andare al bar alla stessa ora. Poi l’altra si avvicina “ho già visto tua cugina” le dico. Mi guarda e sa che non avrà nulla, anche perché il mio percorso prevede almeno 5 incontri ravvicinati con : rom, quello che dice “una monetina”, l’altro che dice “ho due figli”, quello quasi elegante che chiede “hai mica una monetina”, un ragazzo mi si avvicinò una volta con la richiesta più bizzarra che abbia mai avuto “Scusi, mi farebbe fare una telefonata?”   Sono rimasto senza parole, quasi quasi la facevo fare. Ho desistito. Intanto la luna stava lassù a chiedersi some mai il mondo gira alla rovescia qua sotto. E il mare se ne fregava proprio. Una coppia camminava sul lungomare senza parlare, chissà a cosa pensavano. I due cagnolini proseguivano il loro girovagare, un po’ ci hanno seguiti, neppure un pezzo di pane raffermo. Uno non va a vedere la luna accompagnato da una persona stupenda con del pane duro in tasca, perbacco.
Il cartellone mostra quello che il Comune di Lecce chiama pomposamente “water front di San Cataldo”   lungomare è meno raffinato,  e come doveva essere dopo la ristrutturazione. A prescindere dalla rotonda sbagliata e rifatta in tutta fretta, i cartelloni che sono costati una cifra considerevole mentono spudoratamente, non è come disegnato là sopra, è un’altra cosa. Comunque si va avanti, forse erano i sogni del progettista mai realizzati. E chi non ha un sogno nel cassetto?  La luna lo sa che non tutto è possibile qua sotto. A volte neppure spazzare le strade lo è.
Leggo nel blog degli spigolatori* (ma che diamine spigoleranno mai?)  dell’importanza dei ridere e di cocomeri che sputano. E mi chiedo se dopo aver sputato muoiono dal ridere, i cocomeri. E il ridere, come recita Pierpaolo Tarsi, è importante. E’ vero che Benigni sarebbe meglio del professor tal dei tali ad insegnare Dante? Penso di si, anche se, per antonomasia, i filosofi ridono poco. Pensano molto però.   E qui interviene il computer, detesto la correzione automatica che si innesca senza un mio ordine, il mio computer si fa gli affaracci suoi, malefica macchina. Lui ha tradotto un mio errore di battuta, invece di mettere “pensano” ha scritto “pesano”. Tutt’altra cosa in realtà, non conosco il peso di Pierpaolo. E parlo di quello banalmente fisico, quello intellettuale è importante. Lo nutre di viaggi in Piemonte per imparare il regno sabaudo e, se mai accadrà, per insegnare quello borbonico, però sa anche ridere e guardare la bellezza che passa accanto, in ogni sua forma, e qui mi fermo. In realtà una correzione automatica ti può cambiare il senso delle cose e dei pensieri.
Filosofi e professori, mi hanno telefonato dal profondissimo nord, dove si ride poco, “Alberto se ne è andato”. Un pensiero per Alberto che per una vita intera ha insegnato filosofia allo scientifico. Aveva i baffi e da sempre il papillon. Era elegante, lo conobbi qualche decennio fa, era il tempo del referendum sul divorzio, si impegnò anche per quello, con il papillon e con i baffi. Lo incontrai ultimamente in uno dei miei spostamenti ad Alessandria, un caffè, qualche sigaretta perché “non ho figli, chi se ne frega se mi accorcia la vita” diceva. Lui con il suo papillon e la sua eleganza compita e i baffi sempre ben curati, in pensione da qualche anno, si volta e mi dice “gran donna quella che sta passando…” Filosofia e senso estetico. La sera della notizia della sua partenza ho bevuto vino rosso, un amico si saluta con un brindisi, perbacco… Per Bacco, appunto.
Ora potrei scivolare nei pensieri sulla vita e sulla non vita (chiamarla morte è così triste), ma non ci casco, preferisco pensare alla luna sul mare e a Benigni, magari agli occhi allegri del bimbo che non si fermava e correva mentre il padre lo chiamava. Lui stava giocando, il padre correndo e stancandosi. Beh, finisco qui, a nessuno venga in mente di chiedermi cosa ho scritto, e nessuno si chieda il senso delle parole scritte per favore, sono pensieri in libertà, quelli che frullano nella testa mentre cammini sotto la luna. Mica sono un filosofo io con pensieri che filano legandosi uno con l’altro….

mercoledì 12 ottobre 2011

sud sud sud


…Quando arrivo ai laghi di Monticchio, in Basilicata, e mi ricordano il lago di Tovel, sopra la Val di Non e insieme la laguna di Apoyo in Nicaragua, e mi chiedo cosa voglia dire tutto ciò…” Sono parole di una cara amica, Francesca Caminoli in “Viaggio in Requiem”. Frase che ha ripreso per parlare di Sud su Paese Nuovo del 28 settembre scorso, che a sua volta riprende un articolo uscito su un numero dedicato al Sud dalla rivista toscana Il Grandevetro nell’agosto-settembre 2010.
Così i pensieri volano fra nord di ogni nord e sud che più sud non si può. Salvo poi accorgersi che anche il nord è sud di altre terre. Che i migranti vengono chiamati da qualcuno “terroni”, a prescindere dalla provenienza. Quelli che negli anni ‘60 arrivavano nelle ricche terre del nord, fossero essi calabresi, pugliesi o veneti poco importava, erano “terroni”, in quanto altro da sè. Pochi anni dopo il Veneto mostrerà le pulsioni anti immigrati più vivaci, e si scoprirà che le rimozioni sono ovvie e scontate. Senza generalizzare mai per carità, non i veneti, solo i  trogloditi.
Arrivavano da tanti nord i Crociati, fino in terra di Leuca, il finis terrae. Da lì c’era solo mare e dopo, molto dopo, altre terre. Troppo sud laggiù a sud. Era l’ultimo baluardo di incivile civiltà, si parlavano lingue strane, quasi come quelli che vivevano oltre mare,     barbari da condurre sulla retta via a costo di stuprare qua e là, di rubare un pochettino.
Arrivano disperati i nuovi crociati della sopravvivenza, a Lampedusa e in Salento. Per loro  è il nord, per qualcuno ne è solo l’inizio, nulla da spartire comunque con il loro sud. I crociati antichi andavano a fare guerre di religione, quelli di oggi sono crociati nel senso più letterale del termine: messi in croce. I primi avevano la croce sul petto e la benedizione del Papa, che era anche re, e che a volte si lasciava andare ai piaceri della carne, ma si sa “l’uomo non è di legno”, pazienza, sempre re e papa era.
Quelli odierni hanno la croce sulla schiena. Proprio come Lui. E proprio come a Lui qualcuno pensa sia giusto sputare addosso e insultare. Roba per chi crede, in fondo, solo quello.  Labile il confine fra i sud. Inizio, fine, da sud per andare più a sud, oggi dall’inizio del nord per andare ancora più a nord, salvo poi accorgersi che Milano o Venezia sono esse stesse sud di qualcos’altro. Una catena. Partivano i piemontesi per andare in Argentina a fare quel che sapevano: coltivare terre e allevare vacche.   Argentina (sud sud sud come dice bene Francesca). A volte tornavano, raramente però, i quattrini non erano poi così tanti e l’Italia… ahi l’Italia così lontana, meglio ricordare i momenti felici, piuttosto che la fame e la miseria. Perché il tempo e i tempi stemperano i ricordi, li selezionano, gettano via il brutto per lasciare le emozioni. Così la polenta era stupenda, anche la fame lo era. Ma vuoi mettere i mulini come erano bianchi? E gli ulivi salentini come erano grandi, belli e verdi visti da Torino o dalle miniere del Belgio. Sud sud sud. Terra rossa spaccata dal sole, sassi. Salento negli occhi, mare… sole… vento… Salento… Arrivano improvvise le masserie andando per strade di ulivi, era tabacco un tempo, ora non più. E noi che girovaghiamo guardando qua e là abbiamo incollati addosso esperienze e profumi diversi, stratificati, abbiamo colline e monti e mare dentro gli occhi. Così lontano quel sud meno sud di questo. E nel tempo di scrivere queste parole libere in libertà, senza un filo forse, che so?  Dieci minuti, penso che in qualche sud sono morti 50 bambini per fame e morbillo e malaria, sacrificati sull’altare del benessere. Uno ogni 12 secondi ne crepa.  Per molti di loro sarebbe sufficiente una zanzariera. 
I laghi di Francesca che si confondono nella memoria e nella mente, chissà se talvolta ne mischia le acque, ne fa un grande, unico mare che non è fine terra per nessuno, piuttosto è il varo di una nave che parte per andare… forse a sud.    
“Dobbiamo tutti avere un sud se vogliamo essere uomini e donne completi, capaci di metterci nelle scarpe di ognuno. E se non l’avessimo, dobbiamo cercarlo e darcelo…” Ha ragione Francesca, dalla quale prendo a piene mani parole, frasi, concetti. Qualcuno lo chiama plagio? Boh. Il fatto è che leggi le parole di un’altra persona e pensi a quelle ti arrivano da sole dentro la testa, che frullano da sud a sud. Splash, la Grecia cade e ricade “troppo sud, troppo sud” urla qualcuno. Splash, cade la Spagna. Splash, cade l’Italia, quella con due sud, uno confina con la Svizzera, l’altro è il finis terrae. “Siamo in Europa, siamo in Europa” dicono quelli dell’Europa delle banche e dei quattrini, e dettano le regole per uscire dalla crisi. “Tagliare spese, pensioni, posti di lavoro… Tagliate e sarete virtuosi…” e noi, sì noi del sud, che non comprendiamo come innalzare l’età per le pensioni possa servire ai giovani che non hanno lavoro. Ah, noi del sud le cose dell’economia non le sappiamo. Tagliare e togliere, levare e risparmiare, anche sulle scuole se serve. Qualcuno in Sicilia ha messo all’asta la valle dei Templi e lo ha chiamato Federalismo Demaniale. Qualcun altro, un terrone di lassù, ha fatto valutare le Dolomiti: 870 mila euro. Il Federalismo che dice “Finalmente ora i templi ai siciliani, le Dolomiti ai Veneti”. Prima erano di tutti gli italiani… Prima. Piazza Sant’Oronzo probabilmente vale otto filobus e un mese di stipendio per l’autista.
Lasciamo andare che è meglio, poi  ti siedi, bevi un bicchiere di Barbera del Monferrato o di Negramaro, ne senti il profumo, lasci correre i pensieri e ti accorgi che dietro le regole del gioco che arrivano dal sud meno a sud ci sono solo i conti, i quattrini. E le persone dove diavolo stanno?  I ragazzi malati di precariato (anche i meno ragazzi in realtà, come il mio amico che non cito).  E mentre sono crepati altri 50 bimbi solo perché non sanno nulla dello spread o del PIL, beh, accendo una sigaretta e provo a pensare a cosa scrivere domattina su un foglio bianco. Anche se so che in fondo “in sostanza e verità, tutto questo non è altro che un gioco…” grazie Elsa Morante per i tuoi versi. Ma noi in Europa i turchi li vogliamo o sono troppo a sud? “Prendiamoli pure”  dice un signore al tavolino del bar “basta che stiano lontani da Otranto”.  E sappiamo che lassù, ai confini con la Svizzera, quelli che hanno fatto le scuole dell’obbligo parlano una lingua che è nata, si in Toscana, ma che ha avuto la culla anche a Casole. Lo diceva un convegno qualche giorno fa. Alla faccia dei cretini che pensano di essere meno a sud del Salento e che scrivono numeri arabi, utilizzano alfabeti arabi, e se avessero conoscenza di filosofia, beh dovrebbero fare i conti con la Magna Grecia.
“In sostanza e in verità”….  San Mauro in rosa sta là a guardare il mare e a far rinascere musica  e canti. L’altare in pietra leccese fa disquisire dotti conoscitori delle cose dell’arte. Io, umilmente e per nascondere la mia profondissima ignoranza in materia, mi limito a scrivere parole che, chissà, forse non hanno un senso quando escono da sotto le dita.  

P.s.: Francesca Caminoli, giornalista e scrittrice,  vive a Lucca, ha pubblicato: “Il giorno di Bajrarm” (1999),  “La neve di Ahmed” (2003) e  “Viaggio in requiem” (2010) per Il Grandevetro/Jaca Book. Per lo stesso editore uscirà a ottobre “La guerra di Boubacar”. Con il ricavato della vendita delle incisioni del figlio Guido, scomparso nel 2004 a Otranto, ha aperto in Nicaragua una scuola di pittura per i ragazzi di strada del progetto Los Quinchos, fondato ventanni fa da Zelinda Roccia, sarda (sud?) e tuttora da lei diretto .

martedì 11 ottobre 2011

Rosario Argentina

“Egregio Sig. Sindaco,Voglio esporre la mia profonda indignazione per l’esistenza nella città di Rosario di un luogo di dubbia moralità, che porta il nome del Primo Ministro del mio paese, Silvio Berlusconi, chiamato “ Palazzo Berlusconi”, un bordello destinato a un pubblico di alto livello economico. É molto offensivo che si sia permesso in questo comune l’utilizzo del nome di una delle massime cariche dello stato italiano. Non é la mia intenzione giudicare la moralitá di Berlusconi, tanto meno farne la difesa, perchè il tema trascende la persona e ridicolizza il paese che rappresenta, al di lá della sua gestione di governo. Mi auguro da sua parte la comprensione di un tema cosi delicato e una rapida risoluzione, in difesa dell’italianitá e le relazioni tra i nostri paesi”.
Questo il testo della lettera inviata da Antonio Bruzzese, italiano di origine, presidente della confederazione degli artigiani e dell’associazione Insieme Argentina al sindaco della città di Rosario (Argentina) a seguito dell’apertura di un bordello chiamato appunto “palacio Berlusconi”. Questo il clima che si respira in giro per il mondo parlando del nostro primo ministro. Lo stesso premier che, in concomitanza dei funerali di cinque donne massacrate a Barletta a causa dello sfascio del territorio, proclamava di voler chiamare il suo partito “Forza gnocca”. Lo stesso che, mentre la crisi sconvolge famiglie, se ne va a festeggiare l’unico capo di stato straniero che ancora lo invita, il suo amico di lettone  Putin, non a caso uno dei dittatori peggiori del nostro emisfero.  Inutile ogni ulteriore commento. Una riflessione occorre invece farla per capire come mai l’opinione pubblica sia sedata,  non si scandalizzi, ma troppo spesso prenda tutto quanto in sberleffo e con ironiche battutine. Ero alla presentazione di un libro, la giovane che conduceva il dibattito parlava degli anni 70 come “anni di piombo”, un signore accanto a me mi disse “sono questi ultimi venti i veri anni di piombo”. Ha ragione, stiamo passando il periodo più cupo per la democrazia. Dove fallì il craxismo è riuscito il berlusconismo: annientare la protesta civile e civica, annullare le opposizione e il dibattito, occupare ogni organo di informazione, espellere le voci dissonanti, si chiamino Biagi, o Santoro o Dandini, imporre un pensiero unico devastante, approfittando della tanto decantata “caduta delle ideologie”. Oggi proclamarsi comunisti piuttosto che socialisti o altro è giudicato vecchio, stanco, stantio. Chi osa dire che gli ideali e le idealità sono indispensabili per crescere è guardato con sospetto.
Gli eredi del latitante Craxi,  avevano dei competitori che la politica e la società civile la conoscevano bene, si chiamavano Berlinguer, Pertini, Moro. Oggi i vari Cicchitto, Demichelis e compagnia cantando sono al servizio del nuovo padrone e pretendono di prendersi il banco con il cucuzzaro intero.   E l’opposizione è il vuoto, le persone che ancora si indignano devono decidere da sole come comportarsi, come muoversi. La vittoria dei referendum è stata opera di chi ancora si incazza e supera addirittura l’indignazione, perché non è più sufficiente, la raccolta firme per eliminare la legge elettorale è stata vinta con le stesse motivazioni e dalle stesse persone. Non è tuttavia sufficiente, nonostante gli sforzi di Napolitano la strada è ancora lunga e il ritorno ad una buona politica pare un miraggio. Stanno spuntando come funghi imprenditori pronti a scendere in campo. Montezemolo, il signor Tods, la Marcegaglia stessa che nonostante neghi, pare pronta a tutto,  sono pronti a “sacrificarsi per l’Italia”. Destra, sinistra, centro, tutto via, tutto annientato. Che un buon imprenditore sia anche un buon governante è tutto da dimostrare, anzi, al momento stiamo pagando cara questa illusione. Un guappo dell’edilizia  può non essere necessariamente un buon padre famiglia.  Una nazione non è l’azienda, vale per la fabbrica di veline ed escort che è Fininvest quanto per la più blasonata Ferrari, lo Stato è un insieme di equilibri che vanno dal mantenimento dello stato sociale, alla sanità che deve  funzionare per tutti, a investimenti sul futuro dei ragazzi che, almeno loro, scendono in piazza, alla comprensione che l’Italia non è quella scempiaggine ideata da quattro ubriaconi in camicia verde, ma una nazione al confine con il sud del mondo, che gli immigrati sono ricchezza e che, a prescindere dalla ricchezza, sono prima di tutto persone con diritti.  Ma ci rendiamo conto che contro i 20.000 immigrati che entrano ogni anno,   70.000 ragazzi italiani, formati, intelligenti e bravi fuggono all’estero per l’assoluta mancanza di ogni  sponda da parte di chi dovrebbe trattenere le intelligenze, i ricercatori e gli scienziati?  Questo governo, guidato da un individuo che non conosce il concetto di democrazia, sostenuto da postfascisti e neo nazisti con camiciotti di vari colori, guidato da padri nobili che hanno come bibbia i dettami di Licio Gelli, ha prodotto guasti difficilmente riparabili. Un’opposizione che si trastulla fra primarie si o no, lontana dalle persone come non è mai   accaduto a partiti che si dichiarano di sinistra, non è in grado che di aprire le porte all’antipolitica più smaccata, quella del nuovo che incombe, degli industriali che si presenteranno come salvatori dell’umanità intera. Ci provò Veltroni con Calearo, e si spinse addirittura alla Binetti, con uno schiaffone non solo alle ideologie, ma anche ai diritti elementari e ai fondamenti della democrazia laica. Oggi assistiamo a balletti inquietanti. A Lecce, a fronte di un candidato alle primarie dignitoso, il PD ha traccheggiato per mesi senza indire consultazioni, è stato costretto a farlo dalla raccolta di oltre mille firme che hanno inchiodato al muro i dirigenti. La loro iniziativa era bloccata dalle correnti interne.  In queste condizioni non si uscirà da nessuna crisi. Forse riuscirà, l’Italia, a colmare i deficit, difficilissimo sarà invece rivitalizzare un tessuto sociale smembrato. Un governo non è un consiglio di amministrazione di un’azienda o di una banca. Senza partiti che tornino alla politica non tanto post ideologica, quanto ai fondamentali della democrazia, non si andrà da nessuna parte, proseguiranno le derive avventuriste e criminali di chi vuole dividere l’Italia o di ministri indagati per mafia (roba da fare rabbrividire) salvati dalla galera proprio dai Cicchitto, dai La Russa e dai loro sodali.   

Giovanardi

Ah il ministro Giovanardi. Sostiene che la crisi globale è dovuta agli impiegati di banca che sniffano coca. La speculazione e i narcotrafficanti non c'entrano proprio nulla. Per conseguenza, propone il ministro, test antidroga obbligatori per tutti gli operatori di banche e finanziarie. Stiano attenti gli spazzini di Napoli, fra un pò dirà che l'emergenza rifiuti è colpa loro che si drogano. Certo che quando in politica c'è acume si vede, si sente, si odora.

l'isola mai trovata


OCT
10


E' il luogo, è il sogno, è la speranza, forse la sconfitta. Isola... mare  attorno,  noi, tanti, troppi, con sogni di rabbia e incapaci di comprendere l'incredibile vero. Fuori dall'isola ci sono immigrati ed  ex migranti che non li vogliono.  Fuori il governo che sgoverna, la polizia vestita di nero, i morti sul lavoro. Fuori, ragazzi precari da sempre e per sempre. Fuori dall'isola c'è desolazione e i sorrisi di chi crede che sia possibile farcela. "Il mondo salvato dai ragazzini" scriveva la stupenda Elsa Morante. Una ventata di sana aria che spazzi via il PIL e gli spread dell'economia e li sostituisca con i nomi delle persone, con gli sguardi degli anziani e dei ragazzi, delle donne e degli uomini. Fuori dall'isola si può fare.