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giovedì 13 ottobre 2011

lega e amenità varie


Non fosse perché è fuori dalla Costituzione e travalica le regole elementari della democrazia e dell’intelligenza sarebbe bello farlo fare il referendum agli ultimi della classe, quello sulla secessione, che loro chiamano “autodeterminazione dei popoli”, senza porsi il problema di comprenderne il significato. Non scordiamo che il massimo ideologo di quel partito fu Gianfranco Miglio che predicava tre stati indipendenti (altro che federalismo), il meridione, in particolare, governato dalle mafie con la bizzarra teoria che se esistono occorre riconoscerle. Secondo questo teorema si dovrebbe riconoscere alla ndrangheta una quota nella guida delle associazioni edilizie lombarde o emiliane o piemontesi.   Fu proprio Miglio ad inventare i nomi degli stati proprio come Disney fece con Paperopoli e Topolinia.
Il referendum sulla secessione dovrebbe essere nazionale ovviamente, visto che la situazione riguarda lo Stato, non già un’enclave ridotta (Paperopoli, nella fattispecie). Sarebbe bene farlo quel referendum così si renderebbero conto quanto realmente contano. Tuttavia così non può essere, lo ha ribadito Napolitano (meno male che Giorgio c’è), anche Schifani che gioca a fare il candidato al Colle lo ha detto. Per non parlare dei vari La Russa e compagnia cantando, quelli che in nome dell’Italia una, indivisibile (possibilmente fasssista) portavano in giro tricolori ovunque, tranne che nelle ricorrenze di stragi a stazioni e banche, ma questo è altro discorso.  Il governo in realtà è in una situazione bizzarra e strana, quelli della secessione proclamano il federalismo, poi votano compatti, uniti e fieri una manovra che nei fatti azzera quel poco di leggi ad hoc votate con fatica fino ad oggi. Rimane solo il federalismo cosiddetto demaniale, quello che consente di vendere la valle dei Templi o di far valutare le Dolomiti ai veneti perché non si sa mai. “Padroni a casa nostra, la valle dei Templi ai siciliani, le Dolomiti ai Veneti, i laghi ai Lombardi”. Attenzione che qualche idiota metterà in vendita il lago di Garda, piuttosto che la torre di Pisa. E si che prima di essere dei veneti e dei siciliani quegli splendori erano degli italiani, anzi, erano del mondo intero. Da patrimonio dell’umanità a casa privata di Zaia? E sarà il trota a decidere sulla vendita del lago di Garda?  Dall’altra parte del governo la compagine azzurra, quella che fa capo a Villa Certosa per intenderci,  vede la lega e i leghisti secessionisti come fumo negli occhi, ma li tratta da veri compagni di merende perché indispensabili a tenere la flebo al loro governo. Separati in casa? Non proprio, tutti uniti per restare a Roma ladrona costi quel che costa. Ancorati alle poltrone come cozze allo scoglio. Alla faccia di tutti e di tutto. A proposito di secessione, la rete è sempre stupenda, è nato un gruppo che vuole dividere l’Italia in due longitudinalmente: est ed ovest. Quest’ultimo ha come slogan: Ancona ladrona. Altri la vorrebbero a pois e così via.  
La vicenda emblematica del referendum sulla legge elettorale la dice lunga sulla distanza della politica dalle persone, la politica tutta intendo. Tutti i partiti, tranne qualche utilizzatore finale di escort, dicono che questa legge è infame, in dieci anni nessuno ha fatto un passo per cambiarla, al punto che un milione e duecentomila cittadini hanno detto “ghe pensi mi” non per parafrasare quello decrepito e alto un metro e trentatre che governa, perchè sono stanchi di lui.     Ci pensino le persone anche per la finanziaria per favore, si tolga ai drogati di PIL e di spread il primato che detengono nel ricacciare gli italiani nella miseria e nella povertà.
Anche perché, per tornare alla legge elettorale, il centro sinistra non ha uno straccio di riforma condivisa da proporre. Qual è il compito dei partiti e degli eletti al parlamento? La maggioranza faccia il suo lavoro, le minoranze trovino alternative. Ai cittadini non può fregare di meno il sentir parlar male della legge elettorale di vari D’Alema, Bersani e compagnia bella senza sapere assolutamente quale alternativa hanno in mente. Loro non sono persone qualsiasi e non lavorano dietro il bancone del bar Sport, sono, almeno dovrebbero essere, l’opposizione che propone,  quindi debbono dire chiaro agli elettori cosa vogliono e con chi vogliono farlo, siamo invece all’improvvisazione e agli assolo dei vari papaveri che hanno veramente “scassato i cabasisi” come direbbe Montalbano.  
Si parli anche con le persone e si ascoltino punti di vista, però si facciano proposte. Questo vale per la legge elettorale, ma vale per tutto il resto, la latitanza e la mancanza di coesione, addirittura il non sapere chi sarà il leader della coalizione e soprattutto quale coalizione si farà sono il vulnus di questa  situazione. Ministri secessionisti al governo,  sarebbe come se Obama desse il ministero degli interni statunitense a Al Qaeda, a chi vuole distruggere gli USA. Una minoranza e opposizione inerme, incapace, lontana quanto non mai dalle persone. Guardiamoli, vediamo quel che fanno. In alcune città, alla vigilia delle elezioni amministrative, ancora non indicono primarie nonostante la presenza di una candidatura, evidentemente non condivisa,  “perché cerchiamo un candidato che piaccia all’UDC, ma dovremo evitare le primarie”. Il gioco va bene per il primo giro di giostra, dopo di che l’UDC dovrà adeguarsi, non certo proseguire a passeggiare sul marciapiedi  aspettando l’offerta migliore.
E questi sono i comportamenti che arrivano alla periferia partendo direttamente dal centro, gli stessi giochini che si fanno a Roma. Personalmente ho qualche dubbio, in caso di primarie nazionali, sul votare Vendola, tuttavia il PD non ha nessun diritto di non tener conto di una candidatura, sia pur lanciata intempestivamente ed inopinatamente in un momento in cui la Puglia aveva (ed ha) bisogno di una guida sicura, che nei fatti è sul tavolo. Il problema, in caso auspicato e probabile, di elezioni anticipate, è che il centro sinistra non ha un candidato credibile in cui riconoscersi. Bersani, dice il PD. Vendola, dice la minoranza dello schieramento. Però occorre fare i conti con Casini (e Fini) o no? E se quelli diranno, come fanno a Lecce ed altrove, no alle primarie e candidato condiviso? Siamo poi così sicuri che gli elettori non sceglieranno di andare a farsi un viaggetto a vedere le Dolomiti ancora italiane, piuttosto che andare a votare candidati calati dall’alto? E chi vincerà, chiunque sia, sarà l’eletto di una maggioranza che esclude il maggior partito italiano, quello dell’astensione, valutato, ad oggi, al 30%. 

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