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sabato 8 ottobre 2016

Parole per un futuro possibile. Il nuovo libro di Diego Dantes


Sarà presentato Lunedi 10 ottobre, alle ore 18,30 alla libreria Palmieri (Lecce)  il nuovo libro di Diego Dantes: Parole per un futuro possibile. Con l'autore dialogheranno Ivan Stomeo che ha firmato l'introduzione e Gianni Ferraris. 






“Le parole sono importanti” (Nanni Moretti)

“…Alla fine degli anni ’50 Giovanni Sartori insisteva sulla necessità di una conoscenza critica e non casuale della parola Democrazia…. “viviamo nell’età della confusione democratica, nell’indefinito, manipolando e sentenziando su una democrazia che non sappiamo più bene cosa sia…” “… Libertà è una parola difficile da maneggiare… Maurizio Viroli ha messo in evidenza come la libertà dei cittadini, a differenza della libertà dei sudditi, non sia una libertà dalle leggi, ma una libertà grazie ed in virtù delle leggi…. Se in uno Stato c’è un cittadino più forte delle leggi non esiste la libertà dei cittadini, tutt’alpiù quella dei sudditi…” (Gianrico Carofiglio – La manomissione delle parole)

La lettura del “manuale” di Diego Dantes mi ha riportato alla memoria le due citazioni scritte sopra. La lingua italiana è un meccanismo complesso ma perfetto, occorre però utilizzarlo con cautela, cura, amore.
Deformare il linguaggio sembra un esercizio praticato in politica almeno quanto il calcio nei campetti di periferia, plasmarlo non già per l’ intrinseco dire delle parole, piuttosto al servizio di chi parla e cita in quel preciso momento, fino all’evidenza di volerne negare la comprensione, sembra prassi consolidata.
Così come si stupiranno i politici attuali, però esistono nella lingua italiana vocaboli anche per definire concetti astrusi quali “jobs act”, “stepchild adoption” financo, stupite stupite “fertility day”.
Scherzare dell’utilizzo “governativo” della lingua inglese per definire concetti altrimenti trasmissibili, viene spontaneo, tuttavia ragionandoci con più cautela, tutto diventa più complesso. Sembra quasi che questi termini vogliano escludere una parte della popolazione dalle cose del governo, l’ottusa supponenza di chi le conia e le divulga (complici molti giornalisti) ricorda, anzichè un governante serio che si rivolge al suo elettore (anche a quello che non conosce l’inglese), l’Alberto Sordi che dice ai poveracci che elemosinavano un pezzo di pane: “io so’ io e voi non siete un cazzo”.
Ma veniamo al libro di Dantes, cito dalla prefazione di Ivan Stomeo:
“…Il libro descrive uno spaccato reale della Politica italiana: una Politica chiusa in sè stessa, implosa per certi versi, in linea con una società "viziata", che non si riconosce più nel modello di Politica tradizionale. Democrazia partecipata, il tema chiave del libro, che permette alla Politica di uscire dalla chiusura, di smettere di essere autoreferenziale e di invertire la tendenza ponendo al centro, dello sviluppo di un paese la persona, il cittadino”...
Per fare questo bisogna ripensare al ruolo dei partiti ad oggi, al ruolo stesso della politica.
Per parlarne, l’autore parte dal voler riprendere in mano l‘utilizzo di alcune parole nel loro significato più concreto, solo quattro in realtà, che tuttavia racchiudono l’universo dei concetti stessi di Democrazia, pluralità, consapevolezza.
Beni Comuni, Democrazia partecipativa, Integrazione, Alternativa.
Sono questi i termini che aprono i quattro capitoli, concetti concreti, reali, che purtuttavia vengono spesso violentati, ammaestrati.
Il bene comune come oggetto non già di lucro, piuttosto di consapevole utilizzo. L’acqua su tutti, però potremmo parlare dell’intera vita sociale, del collettivo. Abbiamo visto nascere liste chiamate “bene comune” in moltissime parti, abbiamo creduto, caparbiamente, che questo significasse condivisione e decisioni collettive (Democrazia partecipativa, appunto) ed abbiamo visto la politica involversi troppo spesso e non dare seguito alla sfida. In nome e per conto di chi vuole governare dall’alto questi beni che dovrebbero, devono essere di tutti.
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Diego Dantes
Scrive Diego: “…Molti beni, definibili all’interno dei “beni comuni”, non possono essere catalogati facilmente all’interno della dualità pubblico/privato, sono e devono essere liberati dalle tradizionali logiche economiche perché caratterizzano l'organizzazione sociale, sono necessari per rendere tangibili i diritti fondamentali delle persone…”
Sul capitolo della Democrazia partecipativa, vorrei soffermarmi brevemente su una frase che probabilmente è il nucleo di tutto il ragionamento:
 “…D’altronde la politica esiste, a mio giudizio, se diventa un mezzo per diffondere consapevolezza, se fa crescere capacità diffuse di autogoverno, valorizzando le autonomie locali, le piccole comunità di cui questo Paese è soprattutto costituito. La politica esiste, per me, se fa emergere le tante potenzialità esistenti sul territorio, se fa emergere l’entusiasmo di chi crede in percorsi collettivi. Se, invece, la politica abdica banalmente al proprio compito, limitandosi a risolvere i problemi dell’oggi, allora si è costretti e recintati da un continuo stato di eccezioni….”
Quindi, ri/fondare la politica come cosa di tutti, nell’imbarbarimento che ha caretterizzato gli ultimi decenni in cui sempre più questa si è scollata dal cittadino. Mai elettori ed eletti sono stati distanti come oggi. Le cadute delle ideologie hanno portato, purtroppo, a liberarsi dell’acqua sporca e del bambino, i momenti pubblici e collettivi, esempio emblematico le “case del Popolo”, le sezioni dei partiti, il PCI sopra tutti, diffuse in ogni quartiere, in ogni paese, sono state chiuse e i “dirigenti” autoreferenziali si sono arroccati in castelli inespugnabili ed inavvicinabili. Gli esiti di questi comportamenti sono sotto gli occhi di tutti noi, si chiamano populismo, reazione, rinascita di movimenti che poco o nulla hanno a che vedere con il concetto di partecipazione e di democrazia. Addirittura gli eletti sono, ahinoi, nominati da una casta di pochi e l’elettore deve solo ratificare scelte altrui. E qui si dovrebbe parlare di riforme (deforme?) elettorali, ma lo spazio è breve. E forse rileggere i classici potrebbe aiutare a comprendere meglio. Scriveva Jean Jacques Rousseau ne Il contratto sociale: …Qualunque legge che non sia stata ratificata dal popolo in persona è nulla, non è una legge…”
Nel capitolo “Accoglienza” non poteva, Diego, fermarsi all’immigrazione attuale che ben conosciamo, ma è partito dal ricordo della nostra emigrazione oltre oceano e oltre frontiera. Allora come oggi la domanda sul perché migliaia di esseri umani oggi affrontano viaggi che spesso sono di morte per cercare vita altrove è essenziale per comprendere. Come necessario è capire come mai una politica xenofoba, razzista, che eleva muri nella sedicente democratica Europa accoglie gli slanci razzisti di parte della popolazione, quasi accettando supinamente l’assioma che “la crisi è colpa loro… il lavoro lo portano via loro” e via dicendo che si sostiuscono alla necessità politica, ma soprattutto etica, di accogliere, ma sosprattutto di comprendere come questo capitalismo globalizzato sia il vero dramma sociale. Chi ha molto soffia sulle braci per creare guerre fra poveri che sono il brodo di cottura dei movimentio xenofobi. Non a caso Lega Nord e Casa Pound arrivano a fondersi e confondersi. E le sinistre, al di là di qualche recriminazione, paiono scollate, inadeguate ad accettare la sfida.  
E ragionando si arriva alla parola “liberatrice”: Alternativa. Esistono alternative, la politica dovrebbe elevarle a meta finale.
L’ottimismo di Diego è invidiabile per chi è rassegnato ad una deriva senza apparenti vie d’uscita. Scrive infatti: “…Dalla crisi politica se ne esce in maniera collettiva, con iniziative rispettose della libertà personale ma insieme altrimenti non ne esce nessuno. Spingere in avanti l’orizzonte ed avere il coraggio di avviare un corso politico di rinnovamento, alternativo all’esistente. L’obbiettivo, da tenere fortemente saldo, è quello di creare una forza che non sia residuale ma che miri al governo dei processi, un soggetto che sappia gestire il potere perché esso produca cambiamento. D’altronde che senso ha la sinistra se non generare cambiamento? Le sfide reali sono molteplici ed alcune, probabilmente, ci costringeranno a far i conti con l’idea primaria delle radici,
di quali ideali intendiamo preservare declinandoli nella contemporaneità. Ed è per questo che si devono costruire processi culturali con scadenze necessariamente lunghe, senza farsi affogare dalle tornate elettorali che sono comunque importanti. E bisogna essere realmente alternativi a certe dinamiche, non solo nelle intenzioni ma nelle pratiche politiche. Su questo bisogna avere pazienza. Molta, a quanto pare.”
Per essere un ragazzo che non ha conosciuto i movimenti del ’68, che dei muri ricorda solo la caduta, che della politica ha praticato il “post”, che è cresciuto nel buio ventennio berlusconiano, Diego rappresenta, tutto sommato, una speranza. E la citazione che fa di Don Tonino Bello cade a pennello:  «La speranza è impegno robusto
che non ha nulla da spartire con la fuga. Chi spera, cammina, non fugge. Si incarna nella storia, non si aliena.Costruisce il futuro, non lo attende con pigrizia.»



Diego Dantes – Parole per un futuro possibile – QdB editore (Quaderni del Bardo) – 2016 € 7.00

venerdì 7 ottobre 2016

Ancora VERSOTERRA - ancora immigrati

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La motonave Vlora

Ancora con il pensiero a Versoterra, il progetto di Mario Perrotta. Ancora con la mente alla storia di Lireta. 
Mentre nel mare nostrum vengono soccorsi 6.000 immigrati su barconi di fortuna, portati da scafisti che nel tragitto stuprano le donne, nulla concedono alla pietas. Ancora una volta di fronte ad un'Europa inquietantemente racchiusa su sè stessa, dove un esponente di quel parlamento dice "aiuteremo l'Italia concedendo prestiti perchè lì c'è pericolo di populismo... (sic)" quasi non ci fosse necessità di accogliere, quasi quelle Persone che rischiano la vita per venire nel mondo detto "primo" fossero solo incidenti di percorso. Quanta dignità in più avrebbe avuto una frase come "prepariamo subito l'accoglienza di quelle Persone, salviamo la lor odignità, accogliamoli nel modo migliore, offriamo loro un futuro..." 

Non rassegnamoci, proseguiamo ad indignarci e ad urlare questa indignazione a tutti i mondi detti "primi". 
Il mare, quel mare, è uno dei più belli del mondo, e ancora non sappiamo di quei 6.000 quanto ne sono affogati, quante donne stuprate, quante vite spezzate, quante dignità calpestate.... 

Rivediamo la storia di chi sa accogliere,  quella della motonave Vlora per esempio. E rileggiamo la storia di chi vuole cacciare in mare chi arriva da fuori, siano essi governi di destra o di sinistra, ricordiamo la Kater i Rades e i suoi "passeggeri" speronati dalle motovedette di un paese del mondo detto "primo". 
Senza memoria non c'è futuro!

giovedì 6 ottobre 2016

6 ottobre 1956 - Sabin scopre il vaccino contro la poliomielite


« Tanti insistevano che brevettassi il vaccino, ma non ho voluto. È il mio regalo a tutti i bambini del mondo »
Così disse Albert Bruce Sabin dopo aver trovato il vaccino contro la poliomielite che mieteva vittime nel mondo. Neppure vinse il nobel.

Eppure da quel 6 ottobre 1956. Seguì una polemica con Salk, altro ricercatore che operava contro la poliomielite, e che accusò Sabin addirittura di antipatriottismo. In realtà il vaccino di Sabin si dimostrò molto più efficace e facile da somministrare, poche gocce su una zolletta di zucchero e senza richiami, invece del Salk che non garantiva al 100% la copertura.

martedì 4 ottobre 2016

VERSOTERRA - Lettera a Mario Perrotta


Non sono un critico teatrale, ma un comune spettatore, quindi non sono in grado di scrivere cose dotte e colte.  Mi limito a descrivere sensazioni, emozioni, ricordi. E così l'articolo è nato come lettera (aperta) al regista e protagonista di un evento che è stato unico ed irripetibile.   

Ciao Mario
Accidenti a te! Hai fatto piangere un’intera platea.
Ho saputo del progetto Versoterra e mi sono detto che, si, forse valeva la pena, "in fondo Perrotta è bravo, andiamoci". Così mi sono calato in un "full immersion Perrottiana",  come dicevo agli amici che non amano svegliarsi all'alba, “passerò tre giorni a vedere cosa combina il narratore Perrotta” poi ne parleremo, dicevo. 
Mario Perrotta
Così è arrivato il venerdì mattina, ad ascoltare, a vedere la prima parte di Emigrati Express al Carlo V°. Uscendo da quella prima parlavo con un amico, era stato bellissimo, però c'era in me la sensazione che qualcosa dovesse ancora essere detto.
Poi la sera alle 20,45 ad Acquaviva a imparare la storia vera di Lireta Katiaj – A chi viene dal mare.
Il palco dentro al mare, un luogo meraviglioso del Salento, il sottofondo delle onde lievi, molta gente, un freddo che penetrava con la sua umidità, e sul palco lei, Paola Roscioli, immensa.
Paola Rostatoricioli (ph: Luigi Burroni)
In un’intervista che ti feci nel 2014 mi dicesti “si, è attrice molto più brava di me”. Non faccio paragoni, però, accidenti, è brava veramente, la storia di Lireta raccontata nel silenzio irreale, con il rumore delle onde, con musica, e quella sensazione di disagio inquietante. La sensazione di essere noi spettatori i "fuori luogo", non quella Lireta che parlava sul mare, quella "straniera". 
Storie come coltellate, Lireta è venuta dal mare, come migliaia di immigrati ha un passato pesante, denso, scuro. 
Ed è “solo” una storia fra le mille e altre mille di questa immigrazione, e le emozioni assalivano me e chi stava con me. Tutti eravamo bloccati al freddo. Non era il freddo però a tenerci immobili, a farci ascoltare, oltre la narrazione e la musica, solo il rumore dei nostri respiri. Erano le  coscienze che scalpitavano, e le domande, una due, tre, cento, non dette, solo pensate  in una specie di coro collettivo che aveva per sottofondo Lireta, il mare, l’Albania immaginata oltre il nero della notte, a pensare a come  reagire all'assurdo ed incredibile vero che ci avvolge di fronte a queste persone che arrivano dal mare,   diventato suo malgrado cimitero di speranze, amori, voglia di vivere. Pieno di corpi veri.  Quell'urlo di Paola Roscioli/Lireta   guardando al di là del mare “vieni qui Albània”, anche se sa che lei sa che non potrà mai arrivarci qui, quell'urlo è identico a quello
Approdi
delle migliaia di immigrati. L’odio verso le terre lasciate, l’amore per le stesse terre.  No, non era solo il mare, neppure la cruda bellezza di Acquaviva, non erano solo quelli ad emozionarci, a farci stare in un silenzio che lasciava spazio solo alle onde e alla musica in sottofondo. Era quella domanda sul perché siamo diventati così. Perché siamo tanto bravi ad abituarci a tutto, a scordare anche di indignarci di fronte alle nefandezze. Macchè Mario, l’immensa Paola e la storia di Lireta ci hanno emozionati. Ora però ci tocca ripartire, rifare i ragionamenti, ci tocca imparare a capire che non abbiamo diritto di abituarci, che l’indignazione è un sentimento nobile, alto, fiero.
Lireta - A chi viene dal mare 
Il mattino dopo, erano le 4,30 quando suonava la sveglia, e poco dopo eravamo  a San Foca, di fronte ad un altro mare da dove l’alba avrebbe illuminato i monti di Albania poco dopo. Alle nostre spalle uno dei crimini contro l’umanità più grandi di questo Salento. Cos'altro è stato il centro di accoglienza Regina Pacis se non un vero e proprio crimine? Ce l’hanno raccontato gli attori con la regia di Ippolito Chiarello. Con parole degli attori che ci hanno messo di fronte ai pregiudizi di questo primo mondo: “Io sono venuta qui per fare la puttana” “io sono venuto per rubare” “io sono venuta per costringere le donne a mettersi il velo” e così via, in un rosario fatto di luoghi comuni nel mondo detto “primo”.
E io pensavo che nel comune parlare esistono il primo e il terzo mondo, manca il secondo. Forse per marcare le differenze in modo inequivocabile: noi i primi voi non sarete mai secondi, siete merce di scambio.
Regina Pacis (ph: Claudia De Blasi)
Poi la musica, poi le testimonianze di due ragazzi che in quel centro maledetto erano stati rinchiusi, con quel prete che ha l'emblematico cognome Lodeserto, che sfruttava l’accoglienza per arricchirsi sotto l’ala protettrice di un vescovo che aveva comportamenti definire “discutibili” è solo un sottile eufemismo.
Macchè Mario, questo non dovevi farcelo, dovevi lasciarci credere che il teatro, in ogni sua forma, fosse un luogo di svago, dove si va per divertirsi, mica per piangere o per fare esami di coscienza.
Così dopo le “Partenze” di San Foca sono tornato a Lecce, giusto il tempo per rilassarmi un attimo e di nuovo al Carlo V°, andava in scena la seconda parte di Emigranti Express e volevo capire perché quella sensazione di disagio, di non detto.    
Mentre camminavo verso il castello mi veniva in mente l’intervista del 2014. E quel tuo rammarico nell'essere dovuto andar via, in particolare quelle parole dove, ancora, il mare sembra essere il fulcro della salentinità e il confine senza linee:

Un mare non solo per andarsene quindi.

Per andare, forse è meglio. andare per lavorare, per scoprire, a volte anche per cercare un figlio in Africa. invece la voglia di tornare ed essere nuovamente leccese per me è stata una conquista. Me ne andai perchè sentivo la mancanza di opportunità per quello che volevo fare. Partii nel 1988 per Bologna all'Università. Mi iscrissi a ingegneria, passai brillantemente un esame e migrai a Filosofia. a Bologna nacque la compagnia di teatro, dopo anni di gavetta, di buone cose fatte, era un teatro in gestione e dopo anni di recitazione anche con artisti come Anna Falk, Graziosi, Glauco Mauri, ad un certo punto mi trasferii a roma dove ho incontrato mia moglie (l’attrice Paola Roscioli n.d.r.). Però mi accorsi che non stavo bene da nessuna parte.  L’intuizione arrivò: il problema ero io, non i luoghi altri, le altre persone. io non ero metropolitano, ero leccese fino al midollo. Ho sentito il bisogno di riconquistare i miei luoghi, quelli in cui sono nato e dove è nata tutta la mia famiglia. sono tornato a casa con l’anima, italiani Cincali è nato da questa esigenza di ritorno. Ho ripreso in mano il mio dialetto, quello parlato dalla mia gente. e la storia non poteva non essere che racconto di emigrazione. La mia fisionomia è diventata chiara e leggibile proprio da quel passaggio.

Tito Schipa, Carmelo Bene, Antonio Verri, Vittorio Bodini, Mario Perrotta. L’unico che è rimasto in Salento è Verri che ancora deve essere riconosciuto in tutto il suo valore, gli altri te compreso, hanno dovuto andarsene per farsi riconoscere.

Siamo ai confini del regno. Oggi forse internet ha sdoganato anche il Salento, moltissimi vogliono venirci grazie alla rete. in uno dei monologhi che scrissi per la RAI, dicevo che il Salento è una zattera separata dal resto d’italia. Pensiamo a queste terre com’erano solo negli anni ’70, per arrivare a Bari impiegavi due ore e mezzo, immagina una persona che parte solo da Galliano del Capo, era un viaggio anche solo arrivare all’oppidum, a Lecce. Gli artisti che hai citato hanno fatto una scelta, spesso dolorosa e sofferta, di andare a cercare fuori la possibilità di esprimersi, di fare ciò per cui erano nati. Vedi, io so fare bene una sola cosa nella vita: il teatro. ne vado fiero. Per riuscirci, però, sono dovuto andare via, capivo che qui non avevo opportunità. Tuttavia questa è terra di formazione, io penso di non avere nessun merito, sono semplicemente nato nel posto giusto. Permettimi però, fra quelli citati manca il nome di un altro grande, Franco Causio. nel suo ruolo è stato un genio, ha inventato l’ala destra moderna.

E va bene, mi dicevo, aspettiamo questa seconda parte di spettacolo. Quell'ora è passata leggera, pesante, l’abilità del regista/attore riuscivano ad alternare risate a momenti in cui l’inquietudine si faceva risentire. Io ed il mio amico reincontrato eravamo commossi e felici di averti sentito. Però ancora c’era un non detto nell'aria, e chissà cosa diavolo era.
Ventiquattro ore sarebbero passate perché tu uscissi allo scoperto, nella terza parte di Emigranti Express, in cui il viaggio arriva in Belgio per poi tornare “nel sole”. La luce del Salento in cui sei tornato con quel treno. E tutto l’amore per questa terra, e tutto l’odio per le sue contraddizioni sono esplose improvvisamente, un crescendo di parole a chiusura della spettacolo che hanno lasciato la platea immobilizzata fra commozione e lacrime, quelle degli spettatori e le tue mischiate. Non era senso di impotenza, forse solo consapevolezza e terrore e voglia di sentire quelle parole che non uscivano da un copione qualunque ma dal cuore, proprio come quando si scrive con gesti che vanno dal cuore alla tastiera senza passare per il cervello. Parole di condanna per il malaffare, per quei “salotti invisibili” che governano la città dal chiuso delle loro stanze di potere, contro l’assuefazione alla compravendita di voti e avanti con tutto un rosario di problemi che ingessano questa terra, vorrebbero immobilizzarla.
Il tuo Salento che, almeno questa volta, e almeno in parte, è riuscito a riabbracciarti. Hai sentito l’affetto? Ho capito, penso di aver capito, il dolore di chi arriva dal mare e quello di chi il mare ha dovuto lasciarselo alle spalle, grazie alle tue parole che cercavano storie di minatori, viaggiatori loro malgrado, espulsi, cacciati da terre che non sapevano offrire dignità. E ricordo i racconti di lassù, in Piemonte, ricordo che mi dicevano di emigranti nelle Americhe, in Francia e altrove. 
E tutti abbiamo capito che questo Salento che ti ha cacciato via non ti perderà mai. Per fortuna sua.
Accidenti a te, aspettavamo un guitto ed abbiamo trovato chi ci ha messo di fronte alle nostre contraddizioni, quelle dei salentini e di chi vive in Salento anche se salentino non è. Quelle delle persone tutte che non si indignano più. Accidenti a te Mario. E’ vero quello che dicevi nell'intervista “sono tornato a casa con l’anima…”
E non è stato un colpo di teatro neppure quel ripresentarti sul palco a ricevere applausi con tuo figlio Gabriele in braccio, macchè, era un gesto di leggerezza e di dolcezza, mentre vedevo donne e uomini ancora con le lacrime agli occhi.
Mancava ancora un appuntamento, ancora una volta in riva al mare, ancora con la regia di Ippolito Chiarello siamo andati a Porto Selvaggio. Si, proprio il parco naturale per il quale Renata Fonte venne ammazzata perché i cementificatori volevano costruire proprio lì e lei si opponeva. Una camminata fra le nostre contraddizioni ancora una volta, nel bosco giù fino al mare passando fra attrici e attori che erano prostitute, raccoglitori di pomodori gestiti da caporali nei campi di salentini, operai in nero sfruttati, badanti… un esercito di irregolari. Poi quegli altri attori “appesi” ad una richiesta di asilo che non consente loro alcun movimento, non possono andare perché sono “richiedenti asilo”, non possono fare nulla in attesa. Sono Appesi in senso figurato come gli attori erano appesi in senso reale agli alberi, crocifissi.
E poi i racconti di come “loro” ci vedono, ancora una volta di fronte alle nostre contraddizioni, ancora una volta lacrime di molti spettatori. E poi di nuovo il mare, quello di Porto Selvaggio con i corpi di immigrati che galleggiavano, pesci fra i pesci… Immobili, cullati dall'acqua.    
La sera poi a casa, con una sensazione di vuoto perché ci mancherà tutto questo, nonostante l’angoscia, nonostante le coscienze smosse. E con il pensiero che ancora volava verso quei ragazzi in ogni parte d’Italia che vengono spinti via perché le loro lauree, il loro essere ricercatori abili, è apprezzato all’estero, qui è sottopagato, maltrattato. E agli altri, quelle donne, bimbi, uomini che arrivano su barconi in un’Europa che danzava quando cadde il muro di Berlino ed ora eleva muri e altri muri. Perché “noi non li vogliamo” perché forse qualcuno andrà a spolverare quei cartelli, a cambiarne una parola sola. Quelli che dicevano “non si affitta a meridionali”, e "meridionali" forse diventerà “negri” “mussulmani” o chissà che altro. O gli altri cartelli, quelli su cui era scritto “ni animaux ni etrangeres”. Qui non debbono entrare animali e stranieri. E gli unici stranieri erano italiani là, dove si scendeva in miniera.   
Il mare nella mente, i luoghi del Salento dove ancora sbarcano migranti nella speranza di arricchirsi, come diceva Lireta, “contando fagioli”. Dove immigrati crepano fra le onde. Tre giorni fra emigrazioni ed immigrazioni. Così simili fra loro, L’Albània non si avvicina, neppure il Salento si avvicina a Bologna.   E penso che il tuo odio/amore verso questa terra sia così uguale a quello degli immigrati verso le loro da poterli sovrapporre. Penso che, forse, con queste tre giornate voi: tu, Chiarello, Paola Roscioli e tutti i collaboratori dell’evento, abbiate provato a fare un lavoro intenso per cancellare quella terra di mezzo, quel secondo mondo che manca nel dire quotidiano, abbiate voluto, almeno per un momento, far coincidere il primo al terzo mondo, farli convivere, farci capire che non abbiamo diritto di parlare di confini, di immaginare l’altro come il diverso, ma solo come Persona. Abbiate provato a smuovere coscienze!
Accidenti a te, Mario. Comunque Grazie!

Il programma completo:
30 settembre – 2 ottobre ( ore 20.45)
Marittima di Diso / Cala dell’Acquaviva
LIRETA – A CHI VIENE DAL MARE
con Paola Roscioli, Laura Francaviglia (chitarra) e Samuele Riva (violoncello)
Prima nazionale. Nella cala Acquaviva, un palcoscenico sull’acqua ospiterà la prima nazionale del nuovo spettacolo di Mario Perrotta, interpretato da Paola Roscioli e tratto dal diario di Lireta Katiaj. Insieme alla protagonista sul palco, Laura Francaviglia alla chitarra e Samuele Riva al violoncello, diventeranno la voce in controcanto della storia di Lireta, dando corpo a quello che le parole non possono dire. Al termine dello spettacolo, un breve incontro con la vera protagonista della storia; Lireta Katiaj.

1 e 2 ottobre (ore 05.45)
Melendugno / San Foca Ex-Cpt Regina Pacis
PARTENZE
Regista di percorso: Ippolito Chiarello
Progetto musicale: Claudio Prima ed Emanuele Coluccia
Coreografie: Maristella Martella
L’alba. Il sole sorge sul mare Adriatico salendo dietro i monti di Albania. Rischiara il paesaggio di rocce e sabbia, le mille insenature tra San Foca e Roca e un edificio fatiscente che guarda il mare: l’ex centro di permanenza temporanea Regina Pacis. Nella sospensione della prima luce arrivano migranti con le loro storie di partenze. Le ragioni che, in ogni sud del mondo, inducono a partire suoneranno nelle parole e nelle note degli attori e musicisti coinvolti e degli immigrati ospiti nei centri di accoglienza salentini. Poi, così come sono arrivati spariranno verso l’entroterra. Resterà solo, ingombrante, l’edificio del Regina Pacis con la sua cancellata, trasformata per l’occasione in una esposizione di foto, articoli di giornale, video e suoni di ciò che accadde per anni in quel centro, simbolo del lato oscuro dell’accoglienza. Con la luce del sole ormai alta, gli spettatori lasceranno la costa per ritrovarsi, durante la giornata, negli altri luoghi del progetto.


30 settembre – 1 e 2 ottobre (ore 11.30)
Lecce / Cortile del Castello Carlo V
EMIGRANTI ESPRÈSS LIVE
di e con Mario Perrotta
in collaborazione con Lecce Festival della Letteratura
Evento in esclusiva assoluta. T re giornate per raccontare un’unica storia, quella del treno Lecce-Stoccarda che partiva tutti i giorni verso le “Americhe” del nord Europa carico di emigranti salentini. I tre spettacoli sono la realizzazione live della nota trasmissione Emigranti Esprèss realizzata per Radio Rai 2 sull’emigrazione italiana del dopoguerra.


1 e 2 ottobre (ore 17.15)
Nardò / Porto Selvaggio
APPRODI
Regista di percorso: Ippolito Chiarello
Progetto musicale: Claudio Prima
Coreografie: Maristella Martella
Tramonto. Il sole si dissolve sulle acque del mare Ionio e, nella scia di luce che resta, ombre umane riemergono tra la pineta e il mare con le loro storie di approdi. Il pubblico sarà avvolto dalle speranze, le attese e le delusioni di tanti possibili approdi e ascolterà il racconto del nostro mondo così come non lo abbiamo mai pensato, perché diversi sono gli occhi di chi lo guarda e lo racconta. Scopriremo così quale esito hanno avuto le vite incontrate all’alba sull’Adriatico. Con la sera che incalza, non resta che lasciare lo Ionio, attraversare ancora il Salento verso est, affacciarsi sulla scogliera e avventurarsi nella boscaglia che conduce a un palco sull’acqua, in attesa che la storia di Lireta si svolga davanti ai monti di Albania.


1 ottobre (ore 18.00)
Fondazione Palmieri / Lecce
LIRETA NON CEDE – il diario di Lireta Katiaj
Presentazione in prima nazionale in collaborazione con Lecce Festival della Letteratura
con Lireta Katiaj e Natalia Cangi (direttrice dell’Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano)
in collaborazione con Lecce Festival della Letteratura e l’Archivio Diaristico Nazionale


Lireta Katiaj, la donna albanese la cui storia sarà oggetto dello spettacolo che andrà in scena a Marittima di Diso, sarà presente in Salento nei tre giorni di progetto e farà incursione nella città di Lecce per la presentazione in prima nazionale del suo diario intitolato “Lireta non cede” pubblicato da Terre di Mezzo editore.

I protagonisti