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sabato 26 marzo 2016

Vodafone, se la conosci la eviti

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Iniziamo dal riassunto delle puntate precedenti, il cartello TIM, Vodafone, Wind, Tre con un’abile manovra tipica di alcuni prestigiatori da mercato rionale e fiera del bestiame, nel luglio scorso hanno rincarato le loro offerte del 9%. Per i possessori di schede SIM con una tariffa mensile comprensiva di SMS, telefonate e navigazione il pagamento avveniva una volta al mese, improvvisamente e proditoriamente, confidando sul fatto che molti utenti non ci facessero caso, il pagamento è passato a ogni 4 settimane, essendo le settimane annuali 52, la tariffa viene ora esborsata 13 volte contro le 12 precedenti.
Nessuna truffa, nessun raggiro, per carità, solo che è un aumento passato quasi sotto silenzio.
Nel frattempo io, avendo due utenze diverse in due cellulari, mi sono ritrovato inopinatamente sulla SIM Vodafone, un esborso mensile di due euro per un’opzione mai richiesta. Ovviamente ho immediatamente cambiato gestore, non c’è truffa non c’è inganno, per carità.
Oggi parlo con un amico che ha una SIM vodafone collegata ad un allarme casalingo, la funzione della SIM è di inviare SMS ai numeri memorizzati solo in caso di attivazione dell’allarme. Negli ultimi mesi, per fortuna dell’amico, non è mai squillato e non sono mai state fatte chiamate o inviati SMS, eppure lui riceveva ogni mese, negli ultimi 4 mesi, richiesta di ricarica in quanto “il suo credito residuo è inferiore a 5 euro”.
Ci siamo recati a un punto vodafone e la signorina, gentilissima, dopo una verifica di 15 secondi dice “avete attivato la navigazione di un giga a 4 euro mensili”. Attivazione mai richiesta in quanto la SIM è solo per l’allarme, e non essendo installata su un cellulare non si è in grado neppure di leggere gli sms, figurarsi di navigare. A richiesta di come sia potuto succedere la risposta è stata papale papale “a volte Vodafone manda un messaggio di offerta e bisogna rispondere NO, altrimenti l’attivazione è automatica”. Capito l’antifona? Quanti anziani che hanno il cellulare solo per sicurezza loro e dei loro figli non leggono gli sms? Quante Nonne Maria o zie Antonia pagano servizi che non utilizzano e non si sono mai sognate di richiedere? Quanti allarmi hanno un giga di navigazione a loro insaputa?
La logica corretta e che non puzza di malafede sarebbe: ricevere un messaggio con l’offerta, se lo si accetta si risponde SI, se non si accetta non si deve rispondere.

Non c’è truffa, non c’è inganno, ma evidentemente c’è malafede che puzza da lontano. Vodafone, se la conosci la eviti!

giovedì 24 marzo 2016

Sacra Corona Unita - Seconda parte -

La seconda parte dell'articolo di Antonio Nicola Pezzuto sulla Sacra Corona Unita. (Fonte:  Antimafia 2000)


Affari, economia e politica, le infiltrazioni della Sacra Corona Unita

pistola sparo eff
L'analisi della Direzione Nazionale Antimafia

di Antonio Nicola Pezzuto

La presenza delle organizzazioni mafiose nel Salento è dimostrata da episodi di danneggiamento e da intimidazioni nei confronti della collettività.
I gruppi mafiosi cercano di assicurarsi la continuità attraverso il reclutamento di nuovi affiliati e sono alla ricerca di guadagni illeciti da destinare anche all’assistenza degli affiliati in carcere e delle loro famiglie.

Gli affari dei gruppi mafiosi
Le indagini hanno appurato la persistenza di una diffusa attività estorsiva sul territorio. Nel distretto di Lecce, riguardo a questo tipo di attività, vengono segnalate le peculiarità riguardanti il territorio jonico e la provincia di Brindisi.
Nel contesto tarantino il pizzo viene imposto in maniera mirata ai commercianti più solvibili. Molte estorsioni sono commesse con la richiesta di “regali” per aiutare i boss ancora detenuti. Durante le intercettazioni telefoniche, tali richieste di denaro vengono definite “estorsioni vecchio stampo” dagli stessi sodali.
In provincia di Brindisi, invece, l’attività estorsiva, da anni, viene esercitata con le “classiche” modalità mafiose, evitando quasi sempre di ricorrere ad atti intimidatori eclatanti o minacce esplicite, ma avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo. In alcuni casi, basta un atto di violenza “simbolico” come può essere il danneggiamento della serratura della porta d’ingresso dell’azienda o l’esplosione di un singolo colpo di arma da fuoco. Il destinatario di queste “attenzioni” capisce perfettamente che deve rivolgersi subito all’esponente dell’associazione mafiosa responsabile della zona per versare il proprio contributo. In altri casi, soprattutto nei confronti delle realtà imprenditoriali più importanti, in genere quelle del settore edile, le estorsioni avvengono mediante la stipulazione di contratti di “guardiania” ai cantieri. Così vengono assunti sodali del clan, il cui salario costituisce il prezzo dell’estorsione mentre l’imprenditore si garantisce l’immunità da danneggiamenti o furti documentando il versamento del denaro come una “normale” retribuzione a un dipendente. In altri casi ancora, l’estorsione consiste nel costringere la vittima ad accettare, in cambio di merce estorta, titoli di credito che non andranno a buon fine. 
La “politica criminale” dei clan consiste nel rivolgersi agli imprenditori, soprattutto quelli commerciali, e di estorcere a molti piccole somme, invece di richiedere a pochi importi più elevati, come accade a Taranto. Questa strategia produce buoni risultati perché le vittime preferiscono pagare considerando il pagamento del “pizzo” come un costo di impresa facilmente sopportabile. Spesso accade che è lo stesso operatore commerciale a invocare preventivamente protezione, tranquillità e sicurezza per la propria attività, a fronte di un periodico tributo. Questo comportamento rende più difficile il lavoro degli inquirenti perché risulta complicato configurare giuridicamente il delitto di estorsione visto che l’iniziativa è della vittima. 
Nel distretto di Lecce, come negli altri della Puglia, la fonte primaria di guadagno per i clan è rappresentata dal traffico delle sostanze stupefacenti.
Considerato l’elevato numero di persone coinvolte (si pensi ai tanti spacciatori al minuto, molto spesso a loro volta tossicodipendenti) l’organizzazione si preoccupa solo di controllare direttamente le forniture di grossi quantitativi di stupefacente. La distribuzione al minuto è ormai talmente diffusa da sfuggire ad ogni sorta di controllo o di imposizione, per cui l’attività di spaccio è spesso svolta da soggetti che non fanno parte dell’associazione criminale che, eventualmente, interviene solo per garantire il puntuale e corretto pagamento dei debiti.
Nel distretto di Lecce, la sostanza più commercializzata è la cocaina, il cui consumo è in continuo aumento e consente il massimo profitto con un mercato di consumatori in forte espansione.
In linea di massima, sono due i canali di rifornimento dei clan mafiosi: uno porta alle ‘ndrine calabresi, facendo leva anche sui buoni rapporti tradizionalmente esistenti tra ‘ndrangheta e Sacra Corona Unita; l’altro, invece, è collegato con il Nord-Europa, soprattutto con l’Olanda.
Sempre caldo il Canale d’Otranto per i collegamenti con l’Albania da cui arrivano marijuana e hashish. Lo testimoniano i vari sequestri di marijuana trovata a bordo di gommoni “spiaggiati” e abbandonati sulle coste salentine. 
Invece, cocaina ed eroina, se provenienti dall’Albania, vengono trasportate solitamente a bordo di autoveicoli, imbarcati su traghetti di linea che approdano nel porto di Brindisi ed anche in quelli più a Nord. In alcuni casi, le stesse modalità sono state utilizzate per l’importazione della marijuana.
Da sottolineare il tentativo dei fratelli Pellegrino, alias Zu Peppu, a capo dell’omonimo clan storico di Squinzano, di aprire un canale diretto di rifornimento della cocaina rivolgendosi direttamente ai trafficanti sudamericani. L’intervento della Guardia di Finanza, coordinata dalla Procura di Lecce e da un magistrato della Procura di Brindisi, ha impedito la realizzazione di questo progetto criminale. Sono stati sequestrati, in diversi porti nazionali, ingenti carichi di cocaina trasportati da grosse navi mercantili (Operazione “White Butcher”).
Nell’analisi del fenomeno delinquenziale pugliese va rilevata la costanza dei rapporti tra le cosche calabresi e i gruppi locali attraverso la compravendita di sostanze stupefacenti ed armi.
Per quanto riguarda il contrabbando di sigarette, sembra ormai chiusa la vecchia rotta attraverso la quale, dalle coste adriatiche dei Paesi dell’Est, il tabacco arrivava sulle coste salentine.
È nel distretto di Bari che viene invece registrata una ripresa del contrabbando intraispettivo di tabacchi lavorati esteri provenienti dalla Grecia, motivo per cui è stata inoltrata rogatoria all’Autorità Giudiziaria ellenica.
Nel distretto di Lecce si registra, anche a causa della crisi economica, un incremento dell’usura mafiosa, ossia quella praticata facendo leva sulla forza di intimidazione dell’associazione, cui si affianca l’attività di recupero crediti dai debitori riottosi, utilizzando la stessa capacità intimidatoria di tipo mafioso. Le conseguenti condizioni di assoggettamento e di omertà in cui versa la società civile sono dimostrate dai dati statistici sostanzialmente inattendibili. Basta pensare che, nell’intero anno giudiziario e nell’intero distretto delle tre province di Lecce, Brindisi e Taranto, vi è un solo procedimento iscritto per usura mafiosa nel registro della DDA di Lecce. Siamo al minimo storico, ancor più basso dei già irrisori 3 e 4 dei due precedenti periodi.
Per quanto riguarda gli interventi di recupero crediti, bisogna sottolineare che il creditore reputa sempre più inefficace la via giudiziaria per ottenere il pagamento dei crediti insoluti. Questo fatto gravissimo incentiva il ricorso alle organizzazioni mafiose, la cui capacità intimidatoria è molto efficace.
Per riscuotere i crediti la Sacra Corona Unita chiede una commissione il cui ammontare è pari alla metà della somma riscossa.
A tal proposito, sono interessanti ed esaustive le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia: “Sono molte le persone che, dovendo esigere dei crediti e non riuscendo ad incassarli per le vie legali, si rivolgono alla nostra associazione per chiederci di “intervenire” sui debitori al fine di ottenere quanto loro dovuto. Ovviamente chi si rivolge a noi è perfettamente consapevole del nostro ruolo e noi in cambio, come associazione, esigiamo la metà della somma che viene riscossa… Noi interveniamo avvicinando dapprima il debitore per renderci conto della situazione e fargli sapere del nostro interessamento e quindi, se necessario, compiendo degli atti intimidatori, che possono consistere nell’incendio di un’autovettura o nell’esplosione di colpi di arma da fuoco contro la sua abitazione”.

L’infiltrazione economica e politico-amministrativa
Le organizzazioni mafiose attive nel Salento, salvo il verificarsi di gravi evenienze che impongano diverse programmazioni criminali o strategie, hanno scelto un basso profilo. Una politica di pax mafiosa tendente a forme di alleanza e collaborazione, escogitata al fine di dedicarsi con maggiore serenità alle attività, criminali e non, da cui trarre profitto. Questa strategia mira al raggiungimento del salto di qualità da concretizzarsi con l’infiltrazione nell’economia e l’acquisizione e consolidamento dei rapporti con le realtà politico-amministrative.
Nell’ambito del distretto di Lecce, le organizzazioni mafiose attive nella città di Taranto continuano a controllare il mercato ittico, alterando le regole di mercato e della libera concorrenza, arrecando gravi danni allo sviluppo di una delle principali risorse dell’economia tarantina, quella della pesca e della vendita del pescato.
In questo distretto, gli ambienti mafiosi sono fortemente interessati al settore dei giochi e dei videogiochi, collegati alla rete telematica gestita dai concessionari autorizzati dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli. La criminalità organizzata trae grossi profitti sia dall’alterazione delle schede elettroniche (con la modifica delle caratteristiche tecniche e delle modalità di funzionamento) causando un danno ai giocatori, sia dall’interruzione del collegamento telematico con l’Agenzia dei Monopoli causando danno all’Erario, sia dalla distribuzione ed installazione nei bar e nei locali pubblici dei “propri” apparecchi. Si vengono a creare così, attraverso l’utilizzo di metodi mafiosi, delle vere e proprie situazioni di monopolio nei confronti dei titolari di pubblici esercizi. In alcuni casi i clan più forti riescono a imporre i propri apparecchi a scapito dei sodalizi più deboli innescando così conflitti all’interno dell’associazione criminale.
La Procura di Lecce ha individuato un gruppo di imprenditori interessato a questo settore nelle zone del Salento meridionale nell’ambito del procedimento denominato “Clean Game” del febbraio 2015. Gli indagati sono stati accusati di appartenere ad un’associazione di tipo mafioso, promossa, diretta e organizzata dai De Lorenzis, gravitante nell’orbita della Sacra Corona Unita e collegata ad alcuni esponenti e clan “storici” di quest’ultima, come i clan Troisi di Casarano e Padovano di Gallipoli. 
Questo sodalizio usava la sua forza di intimidazione per acquisire e mantenere la gestione e il controllo delle attività economiche allo scopo di ottenere profitti e vantaggi ingiusti. Imponeva ai titolari di esercizi commerciali l’installazione di apparecchi da gioco illeciti prodotti da imprese riconducibili ai De Lorenzis ed alla stessa associazione, pretendendo il versamento di una percentuale sui proventi illeciti. 
Una situazione di monopolio in cui le altre imprese venivano estromesse.
Il Tribunale del Riesame, però, ha respinto l’accusa di mafiosità mossa all’associazione dalla Procura e quindi sono state annullate le misure applicate con riferimento all’art. 416 bis.   
Le organizzazioni criminali operanti nel distretto di Lecce dimostrano grande attenzione ai rapporti con le amministrazioni pubbliche e con i rappresentanti del mondo politico al fine di accreditarsi quali interlocutori degli amministratori, accrescere il proprio prestigio e consenso sociale per infiltrarsi nelle attività imprenditoriali legate a quelle della Pubblica Amministrazione.
Nel procedimento denominato “Baia Verde”, riguardante il territorio di Gallipoli, sono emersi collegamenti tra esponenti dell’Amministrazione Comunale e della criminalità organizzata mafiosa. Nello specifico, veniva intercettata una conversazione tra un membro del clan mafioso dei Padovano ed un commercialista vicino allo stesso clan. Il primo, parlando degli amministratori comunali, esprime all’altro la convinzione che questi ultimi, essendo stati eletti grazie all’interessamento del clan, avrebbero dovuto assecondare la volontà degli esponenti dell’organizzazione mafiosa.
A Squinzano, dalle indagini, è emerso che il sodalizio mafioso capeggiato dai fratelli Pellegrino era alla continua ricerca di un consenso sociale. A tal fine aveva “assunto il ruolo di erogatore di servizi in favore della popolazione, anche di servizi propri dell’Amministrazione Comunale, avvalendosi a tal fine sia dell’inerzia di quest’ultima, sia della presenza in Consiglio Comunale quale presidente di Fernanda Metrangolo (già direttrice dell’Agenzia delle Dogane di Brindisi), persona vicina all’ambiente della criminalità mafiosa, sia della possibilità da parte del gruppo mafioso di Zu Peppu (Pellegrino Francesco), anche attraverso di lei, di incidere sulle scelte della stessa Amministrazione Comunale tramite suo figlio Carlo Marulli, inserito nel clan mafioso dei Pellegrino”.
Le indagini sul clan Coluccia, da sempre impegnato nel traffico delle sostanze stupefacenti a Galatina, Noha e zone limitrofe, hanno evidenziato come lo “storico” sodalizio mafioso, affermata la forza d’intimidazione sul territorio, sia alla ricerca del consenso della popolazione. Per raggiungere questo obiettivo svolge attività di recupero di beni rubati punendo chi compie azioni violente sul territorio e gestendo di fatto la squadra di calcio di Galatina. 
Anche a Gallipoli è stato appurato l’interesse della criminalità organizzata alla gestione della locale squadra di calcio. Infatti, sono stati nominati direttore generale e direttore sportivo due pregiudicati: Antonio Cardellini e Silvio Allegro.
Importantissimi gli elementi emersi dalle indagini successive alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Gioele Greco sui rapporti tra gli ambienti criminali mafiosi e diversi candidati alle elezioni comunali del 2012 a Lecce. Esponenti dell’associazione mafiosa, d’accordo con i candidati e su loro incarico, si occupavano dell’affissione dei manifesti e della distribuzione di materiale propagandistico. Coordinavano questa attività esercitando violenze e minacce nei confronti di coloro che non volevano sottomettersi alla volontà dell’associazione mafiosa, curavano i contatti con i comitati elettorali, assicuravano i rapporti con i candidati, incassavano il denaro ricavato dall’affissione dei manifesti e dalla distribuzione del materiale propagandistico e lo suddividevano tra i membri dell’organizzazione mafiosa. 
Alcuni candidati chiedevano il voto agli esponenti del clan capeggiato da Pasquale Briganti che garantivano il loro impegno.
A Taranto, il clan D’Oronzo-De Vitis-Ricciardi aveva messo le mani, tramite estorsioni, sulle attività commerciali di maggior prestigio e visibilità, quali ristoranti e negozi. Questo assume anche un forte valore simbolico e testimonia il potere acquisito.
L’esempio più eclatante di ciò è il controllo da parte del sodalizio di un circolo sportivo cittadino denominato “Magna Grecia”, di proprietà del Comune di Taranto e ottenuto attraverso un politico tarantino, Fabrizio Pomes, arrestato per concorso in associazione di tipo mafioso. Il Pomes, a tal fine, aveva costituito delle cooperative sociali a cui era stata affidata la gestione del circolo sportivo. I soci di queste cooperative erano di fatto riconducibili all’associazione mafiosa.
Le indagini hanno appurato “una sorta di indifferenza” da parte di esponenti del Comune riguardo a questo affidamento.

Il condizionamento della collettività civile e sue conseguenze
La percezione del controllo del territorio da parte dei gruppi mafiosi determina, malgrado i risultati ottenuti nel contrasto a tali organizzazioni, un atteggiamento di complessiva omertà nella collettività e di scarsa collaborazione da parte di molte vittime di atti intimidatori e violenti.
Nel distretto di Lecce si colgono i segnali di un allarmante mutamento dei rapporti tra la società civile e la criminalità mafiosa, cui fa seguito una crescente sottovalutazione della pericolosità di tali organizzazioni che provoca una brusca caduta della riprovazione sociale nei confronti del fenomeno. Accade quindi che, non solo si abbassa o viene meno quella soglia di attenzione che fa sviluppare gli anticorpi necessari a tenere lontana da possibili rischi di contaminazione la società ma, purtroppo, si riscontra una richiesta dei “servizi” offerti dalle organizzazioni criminali o dai singoli associati.
Le indagini, rafforzate dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia,  hanno appurato che il ruolo della criminalità organizzata risulta enfatizzato dalla crisi economica che ha aperto per le organizzazioni nuovi spazi di intervento. Ne deriva un pericolosissimo consenso sociale, un’accettazione e condivisione di logiche criminali e mafiose che legittimano i clan, abbassano la soglia di legalità e, soprattutto, consentono “il riconoscimento di un loro ruolo nel regolare i rapporti nella società civile in una prospettiva  della loro definitiva sostituzione agli organi istituzionali dello Stato”. Le indagini hanno riscontrato la disponibilità di alcuni creditori di ricorrere ad esponenti della criminalità organizzata per il recupero del proprio credito dovuto da debitori morosi facendo uso del metodo mafioso, intimidatorio e violento.
Questi sono segnali assai gravi e preoccupanti e devono essere intercettati e contrastati con un sinergico impegno tra la società civile e politica, la Magistratura e le Forze dell’Ordine. Occorre invertire subito una tendenza che appare veramente preoccupante, soprattutto alla luce dell’espansione turistica dell’intera Puglia, con conseguenze disastrose per l’intera collettività.

mercoledì 23 marzo 2016

Sacra corona Unita nelle parole di Antonio Nicola Pezzuto

pubblichiamo l'articolo di Antonio nicola Pezzuto sulla sacra corona unita che qualcuno vorrebbe morta e sepolta contro ogni ragionevole analisi. Fonte: antimafia2000

Sacra Corona Unita: organizzazione interna, evoluzione e attività criminali

pezzuto antonio nicolaL’analisi della Direzione Nazionale Antimafia
di Antonio Nicola Pezzuto
Il primo dato di rilievo che emerge dalla lettura della relazione della Direzione Nazionale Antimafia 2015, per quanto concerne la Sacra Corona Unita, riguarda la sua progressiva trasformazione “da organizzazione tendenzialmente verticistica – come era almeno nelle aspirazioni originarie dei suoi fondatori e come per qualche tempo si è mantenuta – ad organizzazione “reticolare”, nella quale sono frequenti, soprattutto per effetto dell’azione di contrasto efficacemente posta in essere dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce e dalle Forze di Polizia operanti sul territorio, i passaggi da un gruppo ad un altro e le riorganizzazioni dei gruppi, essenzialmente finalizzate a conservare il controllo delle attività criminose sul territorio”.

Organizzazione interna
La Scu è un’organizzazione criminale che ha cambiato, nel tempo, pelle, struttura e strategia. Infatti, i contrasti tra i diversi gruppi della galassia “Sacra Corona Unita” vengono risolti, in linea di massima, in modo incruento. Questo per il timore e la consapevolezza che “le manifestazioni eclatanti di contrasti sul territorio possono produrre l’effetto di far risvegliare la collettività sociale da quella sorta di “oblio” o sottovalutazione della pericolosità delle organizzazioni criminali che caratterizza l’attuale momento storico nel territorio del distretto”.
Al momento, non sono presenti gruppi talmente forti e organizzati che possano esercitare una leadership sugli altri. I vari clan, allora, mirano a consolidare e a rendere più incisivo il controllo delle attività criminali sulla fetta di territorio nel quale hanno maggior prestigio, rinunciando a improbabili mire espansionistiche.
“Tuttavia, la nuova configurazione dei gruppi mafiosi attivi nel distretto della Procura Antimafia di Lecce, con riguardo ai loro assetti interni mantiene le caratteristiche storiche della “Sacra Corona Unita” sia per la necessità della divisione di compiti e ruoli e la rigorosa gerarchia di questi ultimi, sia per la finalità di intimidazione interna, attuata proprio attraverso la ripartizione dei ruoli, il rispetto delle regole e la previsione di sanzioni per la violazione di esse. In questa prospettiva, si colloca anche la ripresa della ritualità delle affiliazioni, già segnalata nella relazione dello scorso anno, con la vecchia liturgia e il rispetto delle vecchie regole (anche di quella della giornata di sabato destinata al rito del “movimento”), verosimilmente conseguente all’esigenza di rafforzare un vincolo che diversamente sarebbe assai tenue per la mancanza di una storia”.

Distribuzione territoriale
Grazie alle indagini e alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia è possibile disegnare una mappa della distribuzione territoriale dei gruppi appartenenti alla Sacra Corona Unita.
Nella città di Lecce si registra il declino del clan di Roberto Nisi che è stato progressivamente assorbito in quello di Pasquale Briganti, detto Maurizio, attualmente egemone sul territorio leccese e nel gruppo facente capo alla famiglia De Matteis.
Dopo l’operazione di polizia denominata “Eclissi”, nella zona 167 di Lecce, è cominciata l’ascesa del gruppo dei fratelli Elia che assicura il controllo sul territorio a Pasquale Briganti.
Le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Gioele Greco, riscontrate dalle intercettazioni, hanno consentito di appurare contatti tra il gruppo dei leccesi e quello di Vincenzo Cianci, gravitante nell’orbita del clan Coluccia, attivo nel settore del traffico di sostanze stupefacenti a Galatina e Sogliano Cavour. La droga veniva fornita dallo stesso Greco, prima, e da Daniele De Matteis, poi.
Le indagini hanno consentito di ricostruire l’evoluzione della criminalità organizzata di stampo mafioso nel periodo 2008-2015 nei territori a Nord-Ovest di Lecce. Qui, come in tutta la provincia, è avvenuta la metamorfosi dell’originaria struttura unitaria della Sacra Corona Unita, sostituita da una rete orizzontale di clan mafiosi riconducibili a Sergio Notaro (Campi Salentina), Gianni De Tommasi (Campi Salentina), i fratelli Antonio e Patrizio Pellegrino (Squinzano), Marino Manca (Squinzano), “tutti esponenti “storici” dell’associazione che, con le loro azioni criminali, ne hanno caratterizzato la storia e le vicende fin dal suo nascere”.
Dall’indagine “Baia Verde”, che ha interessato il territorio di Gallipoli, è emersa la ricostruzione, sotto la guida di Angelo Padovano, figlio del defunto Salvatore, del clan mafioso già capeggiato da quest’ultimo.
A Matino, Parabita e nelle vicine Casarano, Taurisano, Ugento e Acquarica del Capo è operativo un gruppo criminale guidato da Tommaso Montedoro e Augustino Potenza. Al clan di Marco Giannelli, figlio di Luigi, da sempre attivo nella zona di Parabita e Matino, è riconosciuta una sorta di autonomia operativa dagli stessi Montedoro e Potenza, proprio per il “rispetto” dovuto ad un esponente “storico” della Sacra Corona Unita come Luigi Giannelli.
Molto interessante l’evoluzione criminale in atto a Monteroni e nelle zone limitrofe dove è ancora attivo il clan capeggiato da uno degli esponenti storici della Scu, Mario Tornese e da suo fratello Angelo. In questo contesto, l’assetto unitario del clan sembra essere messo in discussione dal cambiamento dei rapporti con il gruppo dei fratelli Politi, anch’essi ritenuti vicini al clan Tornese. A corroborare questa tesi due episodi verificatisi nell’estate 2015. Nei primi giorni di agosto, a Leverano, territorio “tornesiano”, venivano affissi dei manifesti funebri che annunciavano “la prematura scomparsa del finanziere Davide Caracciolo” e si specificava che “la comunità intera rende grazie a Dio per il lieto evento”. Davide Caracciolo, cognato di Mario Tornese, è ritenuto confidente della Guardia di Finanza. Dopo pochi giorni viene incendiata l’autovettura di Antonella Caracciolo, moglie del finanziere.
I due eventi sono chiaramente correlati e sembrano un avvertimento proveniente dal clan Tornese, sintomatici della progressiva modifica della struttura del gruppo che assume un assetto a rete al posto dell’originaria struttura verticistica.
Nella provincia di Brindisi, la Sacra Corona Unita è saldamente strutturata intorno a due gruppi sin dal 1998: la fazione mesagnese con a capo Antonio Vitale, Massimo Pasimeni e Daniele Vicientino e quella tuturanese che si rifà allo storico fondatore Giuseppe Rogoli, a Salvatore Buccarella e a Francesco Campana, attualmente leader indiscusso. In questi due clan sono ormai confluiti anche quei gruppi che finora avevano goduto di una certa autonomia all’interno della Scu come il gruppo facente capo alla famiglia Bruno di Torre Santa Susanna e il gruppo dei fratelli Brandi di Brindisi. Questi due sodalizi, anche in seguito alle dure condanne irrevocabili che hanno colpito i loro maggiori esponenti, sembrano sempre meno in grado di agire autonomamente.
Anche sul territorio brindisino i due clan più importanti hanno accantonato i conflitti per non attirare l’attenzione delle Forze dell’Ordine e dell’opinione pubblica al fine di poter svolgere proficuamente le varie attività criminali.
Da evidenziare che la capacità operativa della componente mesagnese risulta gravemente compromessa dalla collaborazione con la giustizia di due suoi esponenti di vertice quali Ercole Penna, che collabora dal 2010, e Francesco Gravina, che ha preso la stessa decisione nel 2014. Al momento non si intravedono, nel panorama criminale, personaggi dello stesso spessore che possano prendere il loro posto. Quindi, i mesagnesi sono indeboliti perché i capi storici Vitale, Pasimeni e Vicientino sono detenuti in esecuzione di pesanti condanne e non ci sono referenti in libertà in grado di contrapporsi ai tuturanesi con i quali è in atto una tregua per la spartizione degli affari criminali e delle zone di influenza.
Il territorio è stato diviso tra le due fazioni criminali: i mesagnesi controllano la zona settentrionale ed occidentale della provincia (Carovigno, Ostuni, Francavilla Fontana, oltre a Mesagne) e i tuturanesi la parte meridionale (Cellino San Marco, San Pietro Vernotico e Torchiarolo), sconfinando sempre più frequentemente nei vicini comuni della provincia di Lecce. Nella città di Brindisi le attività criminali sono equamente ripartite tra i due gruppi. Il clan dei fratelli Campana ha dimostrato una particolare efficienza “militare” e, agevolato dal rapporto con Pino Rogoli e dal conseguente richiamo alla più antica tradizione, è riuscito a imporre i propri affiliati in numerosi comuni della parte meridionale della provincia a scapito dei referenti dei mesagnesi.
La forza dei Campana e del clan dei tuturanesi derivava anche dall’impermeabilità dimostrata nei confronti di possibili collaborazioni con la Magistratura. Almeno fino alla scorsa estate, quando ha deciso di collaborare con la giustizia Sandro Campana, uno dei fratelli.
Nella provincia di Taranto solo la parte al confine con la provincia di Brindisi è interessata dalla presenza di gruppi storicamente legati alla Scu.
Gli assetti criminali del territorio tarantino sono stati duramente intaccati dall’operazione “Alias” dell’ottobre 2014 con oltre cinquanta indagati per associazione di tipo mafioso. L’associazione aveva a capo due esponenti “storici” della criminalità organizzata tarantina, Orlando D’Oronzo e Nicola De Vitis, entrambi al vertice dell’omonimo clan D’Oronzo-De Vitis-Ricciardi.
L’arresto dei componenti di quello che costituiva il gruppo egemone nella cittadina jonica ha provocato un vuoto di potere all’interno dei sodalizi criminali tarantini. Si sono verificati così diversi episodi di sparatorie per le vie del centro cittadino, riconducibili ai conflitti scatenatisi tra i vari gruppi criminali, non strutturati come sodalizi mafiosi, per il controllo del traffico degli stupefacenti.
Desta preoccupazione la scarcerazione di alcuni esponenti storici della mala tarantina, fra i quali Cataldo Ricciardi, già condannato due volte per associazione di tipo mafioso e per omicidio, e Cosimo Cesario, detto “Giappone”, tornato in libertà per fine pena, nonché di Gregorio Cicala.
Attualmente, a Taranto, è attivo un clan di “spessore”, capeggiato dai fratelli Ciaccia, epigoni del clan Modeo, di cui storicamente hanno fatto parte. Questo gruppo controlla il traffico di sostanze stupefacenti nel quartiere Paolo VI.
È sempre operativo il sodalizio guidato da Vincenzo Stranieri ed affiliato alla Sacra Corona Unita nel territorio di Manduria e si riscontra la presenza di affiliati ai gruppi brindisini, in particolare dei mesagnesi, nei comuni ad esso limitrofi.    
FINE PRIMA PARTE

martedì 22 marzo 2016

Le gite scolastiche secondo la ministressa Giannini

Forse qualcuno ricorda la ministressa Gelmini quando parlò del "tunnel fra il CERN e il Gran Sasso", bene il governo di Silvio è caduto, lui è finito in galera, la Gelmini ci ha liberato della sua ingombrante presenza. Tutto bene? Macchè! Ora ci cucchiamo la ministressa Giannini (che fa rima con Gelmini).

La sagacia del ministro dell'istruzione prevede con una nota del suo Ministero, che prima dei "viaggi di istruzione" (noti come gite scolastiche) i docenti si accertino delle condizioni dei pullman e delle condizioni di salute dell'autista.



In sostanza con questa brillantissima trovata il docente che si propone di accompagnare i ragazzi in gita, oltre a badare all'incolumità degli accompagnati, oltre a seguirli passo passo sfidandone anche l'esuberanza naturale, da oggi dovrà occuparsi di: Meccanica, Revisione degli pneumatici prima della partenza, fare aprire il vano motore, smontarlo nelle sue parti essenziali per verificare cuscinetti, cinghie di trasmissione, livello dei liquidi quali: olio, liquido raffreddante ecc.,  Finito il lavoro dovrà togliersi la tuta da meccanico, indossare il camice medico e sottoporre l'autista ad accurata visita oltre che ad un interrogatorio dal quale dovrà capire se e quando il malcapitato ha utilizzato droghe o bevuto alcool, possibilmente fargli un test attitudinale su riflessi, vista, udito, e non dovrà assolutamente mancare un rapido esame del sangue. 
Solo dopo potrà occuparsi dei ragazzi e iniziare l'agognata gita. 
In caso di pernottamento fuori l'accompagnatore dovrà, con apposito kit fornito non già dal ministero, ma acquistato di tasca propria, verificare le condizioni igienico sanitarie di ogni posto letto, verificare che nel raggio di 655 metri dall'ingresso non ci siano luoghi in cui si vendono alcoolici, nè spacciatori. La pena per chi non farà tutto ciò potrebbe essere la pubblica gogna (tornata in auge all'epoca del governo Renzi uno), o in alternativa il declassamento al ruolo di bidello per il docente inadempiente. 

lunedì 21 marzo 2016

Buona primavera

Primavera non bussa lei entra sicura 
come il fumo lei penetra in ogni fessura 
ha le labbra di carne i capelli di grano 
che paura, che voglia che ti prenda per mano. 
Che paura, che voglia che ti porti lontano. 


Un chimico De Andrè )



Ed arriva la primavera... sole... cielo finalmente azzurro dopo giorni di cupezza. Le notizie sono sempre uguali, però vien voglia di uscire fuori, di urlare. Anche oggi, come ogni 21 marzo è giorno di ricordo. Libera dedica questa giornata alle vittime di mafia, come si conviene e come si deve, anche se, diciamolo, ogni giornata dovrebbe essere di memoria e ricordo delle sciagure dell'umanità. In molte città si troveranno persone, ragazzi e non, che diranno "noi ricordiamo" mentre il rosario dei nomi dei caduti per mano mafiosa verranno letti uno ad uno... Oltre 900. 
A Lecce per la prima volta non ci sarà corteo, I responsabili di Libera hanno deciso di andare a Foggia al raduno regionale, un vero peccato ed un'occasione persa, fino all'anno scorso si coinvolgevano scuole e privati cittadini, era bello, era coinvolgente. Peccato perchè anche qui è necessario fare il punto della situazione, in particolare dopo che Rosi Bindi della commissione antimafia è stata proprio a Lecce e ha ribadito come il pericolo di infiltrazioni ai piani alti dell'amministrazione sia concreto e reale. Probabilmente Libera Lecce vola alto e vola altrove, chissà. 
Comunque sia, buona primavera a tutti. 

domenica 20 marzo 2016

Per l'Europa gli immigrati valgono un tanto al chilo, come le mele.

Purtroppo è condivisibile l'articolo su Il Manifesto  del 19 marzo. Berlusconi con le sue gaffes ci fece vergognare di essergli connazionali, I governi europei tutti, accettando lo scempio di contrattare esseri umani un tanto al chilo dovrebbero farci rabbrividire di essere europei. 




"Davotoglu ha avuto la faccia tosta di definire questo accordo non un mercanteggiamento ma una questione di «valori». Certo, basta dividere i 3 miliardi ottenuti dalla Turchia per 72.000 e otteniamo poco più di 40.000 euro a persona..." Dice l'articolo, ecco, so'altro è se non bieco mercanteggiamento di tipo schiavista questo accordo? E il nostro primo ministro va in giro dicendo che i problemi sei migranti si risolvono in Africa. Se però  l'opulenta Europa iniziasse a togliere fili spinati?




Se si costringessero i paesi aderenti all'unità europea non solo a massacrare di tasse i pensionati al minimo, ma anche a dire di umanità e solidarietà? Invece ci si accorda con la Turchia senza chiedere conto del massacro dei Curdi che fa sistematicamente. No, questa Europa non va per niente bene, prima di lasciare ai Salvini e alle Le Pen l'unica possibilità di critica da un punto di vista nazifascista, proviamo a ragionarci da democratici (mai come in questo caso democratici non significa "appartenente al PD" ma proprio Democratici).