“L’identità divisa -
l’Italia e il nostro debole spirito pubblico” (Manni Editore, €18,00), è
l’ultimo lavoro del Professor Egidio Zacheo, docente di Scienze Politiche
presso l’Università del Salento e uomo dentro le cose della politica da sempre.
Una copertina
affascinante, eterea e leggera, bella davvero che apre pagine che leggere e
“velate” proprio non sono. La storia d’Italia dall'unità in avanti
come percorso mai compiuto veramente in quanto, per dirla con lo stesso autore
nella refazione “Rimaniamo ancora un popolo senza sentimento
nazionale, dall'identità divisa in mille particolarismi e in mille
contrapposizioni: fra nord e sud, tra dirigenti e diretti, tra governanti e
governati, tra società civile e società politica, tra cultura e politica, tra
famiglia e interesse generale”.
Le cause di queste
contrapposizione fra le Italie, Zacheo le propone con capitoli che sono piccoli
“saggi”. Si parte dall'assunto che l’unità d’Italia come avvenuta 150
anni fa era l’unica possibile nel quadro politico ed economico del tempo, e che
l’egemonia del Piemonte non fu improvvisata, ma costruita nel tempo, pur con i
limiti di casa Savoia. Infatti a questo processo, di cui il meridione fu parte
essenziale, indispensabile e collaborativa, i Savoia non seppero dare un volto
nuovo, non fecero iniziare la storia dell’Italia unita, ma proseguirono la loro
piccola storia, quella sabauda. Vittorio Emanuele non fu il primo re d’Italia,
ma proseguì con la sua numerazione, la stessa legislatura del nuovo Stato non
fu la prima, ma l’ottava, in prosecuzione. Anche la Costituzione fu solo
un’estensione al territorio nazionale degli Statuti Albertini. Questa nascita
non dal basso, da movimenti di massa che avrebbero dovuto vedere parti
politiche diverse in campo, piuttosto da una élite è un vero vulnus
della partenza di un nuovo Stato che nei fatti non riuscì a coinvolgere il
popolo.
Il ruolo del meridione
in questi processi è stato pressantissimo Intellettuali come Pagano,
Giannone, Cuoco, Genovesi, Settembrini, De Sanctis ecc. furono “protagonisti
del dibattito culturale, ma il sud è stato altrettanto decisivo sul piano
dell’azione politica concreta”. Nei fatti, sostiene Zacheo, la questione
meridionale nasce molto prima dell’Unità d’Italia in quanto il divario era
preesistente. L’Unità, semplicemente non ha saputo risolverlo, anzi.
Il problema quindi non è la questione meridionale in sé, ma la questione
nazionale. “Occorre collegare la questione meridionale col vistoso
residuato storico di cui portiamo ancora il peso… della nostra mancata
tempestiva e moderna unificazione nazionale…”. Importantissimo in
tutto il processo anche il ruolo della chiesa che ha nei fatti portato a
congelare e garantire sistemi post e neo feudali.
Il saggio arriva fino
ai giorni nostri, citando il nefasto federalismo di stampo leghista che nei
fatti è simmetrico a certe spinte neo borboniche che sembrano rifiorire di
tanto in tanto. In particolare la proposta leghista è smaccatamente e
spudoratamente secessionista. Il federalismo proposto è un’opera senza alcuna
visione ampia ed aperta della società e della nazione. E probabilmente questa
pochezza istituzionale ha radici proprio nella debole visione unitaria
italiana.
Zacheo si sofferma
anche sull'europeismo italiano che ha radici antichissime, si parte
da Dante per arrivare al Manifesto di Ventotene nel quale si auspicava
un’Europa politica, unita e federata. Un’Europa, mi viene da
annotare, ancora da costruire in quanto, allo stato attuale, il peso delle
economie forti è eccessivo, non solidale, soprattutto non federale.
Un ampio
capitolo è dedicato alla “scienza sociale, la Democrazia, l’Italia
nella riflessione di Umberto Cerroni”, dove crudamente si snocciola e
conferma quanto scritto precedentemente e termina con la determinazione
che “non ci sono scorciatoie nel processo di crescita di una comunità e
che l’uscita dalla crisi attuale del Paese dipende dalla capacità di sciogliere
i nodi più intricati e lontani della nostra storia”.
In particolare un
passaggio sferzante e triste nella parte dedicata a Cerroni dice: “…Perché
il nostro è un paese sempre eccitato, sempre in bilico: un paese infelice…”
Un libro che lascia
l’amaro in bocca, che non offre ricette per uscire dall'imbuto nero
delle crisi stessa della Democrazia che siamo vivendo da vent'anni
ma che è un contributo alla riflessione ed alla comprensione per provare a
ripartire, o forse a rinascere.