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giovedì 6 giugno 2024

ELIO un ricordo nel Quaderno dell'Istituto Storico della Resistenza di Alessandria

 





Presentazione del 74° Quaderno di storia contemporanea

5 JUNE 2024

Martedì 11 giugno, alle ore 18, nei locali del nostro istituto, presenteremo il 74° Quaderno di storia contemporanea. Intitolato America Latina. Laboratorio politico questo numero della nostra rivista compie un viaggio nel mondo ibero-americano soffermandosi sui processi politici che lo hanno interessato nell’ultimo mezzo secolo, registrandone, a diversi livelli, anche gli echi nel nostro paese. All’incontro, coordinato da Cesare Panizza, parteciperanno Alessandro Guida (Università di Napoli L’Orientale) e Deborah Besseghini (Università di Torino) entrambi fra gli autori dei saggi che compongono il numero.


A seguire il piccolo testo che ISRAL mi ha permesso di pubblicare nel quaderno. Un ricordo di Elio. 


Luglio 1980

Carissima Caterina

Come mi risulta difficile scriverti ora. Dopo l’ultima telefonata lunga e troppo breve, non sono più riuscito a scrivere una sola parola. Non usciva nulla.

Quello che devo dirti, insomma, è un arrivederci, un saluto, però differente da altri saluti, perché differente è la partenza, differente il punto di arrivo di questo nuovo, breve viaggio. Differenti sono le prospettive e la qualità della vita che mi aspettano.È difficile scrivere, perché la possibilità della morte, anche se deve essere presente, non la considero un valore astratto, ma un incidente nel cammino della vita.

Con quali parole dunque salutarti? Con quali frasi prepararti ad essere serena, anche se nel corso della lotta questo arrivederci dovesse trasformarsi in un addio?

Odio la retorica, il fatalismo, Amo la vita reale.

Tu hai saputo sempre leggere il futuro attraverso il mio lavoro e la mia lotta di rivoluzionario, non c’è bisogno di spiegazioni, sono inutili le analisi. Tu sai che sono sempre stato coerente con i miei principi, attraverso una catena di errori grandi e piccoli. Però fedele, nella sostanza, alla dignità del rivoluzionario e del ribelle. Non poteva che andare così, se non altro perché così è andata, attraverso un susseguirsi di analisi, lotte, e di nuovo analisi. Con occhi, mente e cuore rivolti ed attenti ai destini dell’umanità oppressa, alla lotta contro i tiranni, sanguinari o in doppio petto che siano.Vado a prendere il mio posto di fianco ad un popolo che lotta, vado in prima linea,

perché non ci sono seconde linee in una dittatura sanguinaria. Non esistono spazi per mediazioni.

Carissima, non scrivo a Michele, Consiglia (i figli di Caterina n.d.r.), Gianni, Antonio. Quando passerai loro la notizia fallo con orgoglio. Rispetta e difendi le mie scelte di vita, i valori morali, spirituali, politici e sociali che esse contengono senza concedere nulla al romanticismo ed all’avventurismo […]

Elio

Questa lettera è l’ultima che Elio scrisse a Caterina, sua compagna, dal Nicaragua prima di trasferirsi in Salvador in appoggio al FLMN dove trovò la morte.

La sua è solo una storia, forse minore, di quei tempi “formidabili”, come li chiama Mario Capanna, che iniziò alla fine degli anni ’60 e durò un lungo decennio. Dalle proteste per la guerra infame in Vietnam, alle rivendicazioni di diritti che ora sembrano scontati, cito le assemblee a scuola, il bisogno di capire la condizione del lavoro nelle fabbriche, il divorzio, il diritto per le donne di abortire e via dicendo, ma che subito si scontrò, nel ’69, con la strage di piazza Fontana che, si dice, “ci fece perdere l’innocenza”, e ancora stragi su treni e in stazioni e via via fino al declino ad un altro terrorismo detto “rosso”.

In questo percorso i ragazzi di allora vedevano e vivevano la politica in maniera “romantica”, volevano banalmente un mondo giusto, equo. E questo romanticismo era in qualche modo un limite, la vita reale era altra. Commettemmo errori di valutazione, guardavamo alla rivoluzione culturale cinese come un giusto passaggio verso il socialismo, salvo poi sapere che fu carneficina. Si guardava Cuba con slancio emotivo, mentre anche lì si reprimevano gli omosessuali. Guevara Ernesto detto il Che si salvò da tutto questo andando a combattere in Bolivia e morendo troppo giovane, forse anche per questo divenne mito. Il guevarismo che teorizzava la lotta armata per la liberazione del terzo mondo fu una delle molle che portarono Elio in Salvador.

Non a caso quella lettera di Elio riecheggia quella che Che Guevara scrisse a Fidel prima di trasferirsi in Bolivia:

[…] Altre sierras nel mondo reclamano il contributo delle mie modeste forze. io posso fare quello che a te è negato per le responsabilità che hai alla testa di Cuba, ed è arrivata l’ora di separarci. Lo faccio con un misto di allegria e di dolore; lascio qui gli esseri che amo, e lascio un popolo che mi ha accettato come figlio; tutto ciò rinascerà nel mio spirito; sui nuovi campi di battaglia porterò la fede che mi hai inculcato, lo spirito rivoluzionario del mio popolo, la sensazione di compiere il più sacro dei doveri: lottare contro l’imperialismo dovunque esso sia; questo riconforta e guarisce in abbondanza di qualunque lacerazione. Aurelio Ferraris, detto Elio, da Solero, era nato il 10 aprile 1945. Pochi giorni dopo l’ultimo feroce bombardamento di Alessandria.

Si mostrò da subito un neonato molto vivace, per questo nostra madre amava dire che la colpa era dei bombardamenti e della guerra. Lui era proprio così, vivace e ostile alle costrizioni, passò con la stessa vivacità la sua esperienza scolastica fino al diploma, anche con il cambio di collegi da cui si faceva regolarmente cacciare. Neppure il servizio militare lo domò, rischiò infatti più volte il carcere per insubordinazione. «Perché devo attraversare il cortile di corsa se non sono in esercitazione? Fatelo voi». Finì prima la ferma per vari motivi, chi lo congedò lo fece per evitargli problemi seri. 

I militanti dei movimenti del ’68, da quello studentesco in avanti, ad Alessandria in particolare, provenivano da famiglie di sinistra, oppure dagli scout, o ancora dal cristianesimo sociale, e si formarono soprattutto nelle università. Non scordiamo che ci fu il Concilio Vaticano Secondo che contribuì alla formazione di una critica anche in  ambito cattolico. In centro America nacque la teologia della Liberazione che vedeva molti sacerdoti schierarsi contro le dittature. Insomma, fu un periodo denso e intenso di discussioni.

Nella nostra famiglia non c’era nulla di tutto ciò. Onesto artigiano il padre con il sogno di creare una grande industria, commerciante la madre. Mai fascisti convinti durante il ventennio, neppure di sinistra dopo, neppure partigiani. Dal dopoguerra votavano PSDI «perché Saragat è persona seria».

Così Elio di sei anni più grande di me, si formò sue convinzioni che lo portarono, alle elezioni del 1968, le prime alle quali venne ammesso (la maggiore età era a 21 anniall’epoca), a votare PLI perché «per guidare una nazione sono necessarie persone che sappiano guidare aziende» il PLI, era il partito giusto, quello di una borghesia sedicente illuminata. Potremmo definirlo un pensiero pre berlusconiano?

Fra il 68 e il 69 a Solero il centro delle discussioni non era la Casa Del Popolo, all’epoca roccaforte del PCI locale, fedeli alla linea e con la foto di Stalin non più appesa in sezione, ma neppure distrutta, stava riposta in una libreria, era il circolo ACLI, dove il sabato sera tornavano universitari da Torino e si infiammavano discussioni infinite. Angela, Gastone, Franco passavano ore, nottate a discutere con quel borghesuccio che votava Liberale, si diceva dei movimenti degli studenti, della necessità di cambiare l’esistente.

Intanto il clima si faceva vivace anche a Solero, oltre agli universitari si avvicinavano studenti medi e rarissimi operai a dire del Vietnam, di guerre ingiuste, e di concetti nuovi: Imperialismo, internazionalismo. Nel resto d’Italia e in Europa i movimenti pervadevano le cronache e le discussioni. 

Elio iniziò a leggere, informarsi. Si organizzavano volantinaggi ogni domenica in paese, ed ogni sabato riunione in una ex stalla eletta a sede di Lotta Continua che scegliemmo come movimento. Dal fortino del PCI molti silenzi e velate critiche. Poi per lui arrivò quella trasferta ad Altamura, il lavoro da geometra e l’organizzazione anche lì di una sede di Lotta Continua. Dopo pochi mesi l’abbandono del lavoro e l’inizio della militanza “a tempo pieno” per un’organizzazione che non aveva quattrini e pagava poco e male i suoi funzionari. Poi il trasferimento a Molfetta dove conobbe la sua compagna Caterina, e anche lì il lavoro politico con i pescatori, davanti a scuole, fabbriche, in appoggio ad occupazioni di case per senza tetto. Furono anni intensi e densi, fino al congresso di Rimini e allo scioglimento di Lotta Continua. Quella militanza fu però dirimente nella sua vita, totalizzante. Dopo quel congresso Elio si trovò improvvisamente in un’apnea politica, sociale, personale. Ebbe chiamate da partiti e sindacati, ma gli sembrava una svendita del suo passato. Anni cupi in cui avrebbero potuto suonare sirene devastanti della lotta armata in Italia, tempi in cui l’eroina mieteva vittime a grappoli fra i “reduci” dei movimenti. Tempi in cui venne fondato Reporter, un quotidiano con firme già di Lotta Continua, sponsorizzato dal PSI di Craxi e Martelli, ebbe però vita breve e spalancò le porte dei rampanti giornalisti verso la neonata Mediaset. Berlusconi, su imput di Craxi, assorbì la situazione debitoria del giornale, ad alcuni sembrava un capitalista illuminato, vicino alla Milano da bere e contiguo al craxismo.

Nessuna di queste poteva essere un’opportunità per Elio. Non certo la devastazione di vite con persone gambizzate su un marciapiedi, o, peggio, ammazzate per assurde visioni dell’essere comunisti. O il tunnel che vide precipitare molti amici e compagni nella polvere bianca.

Decise così, raccogliendo un po' di soldi per pagarsi il viaggio, di andare in Brasile. Ricordo il suo ultimo soggiorno a Solero, le lunghe chiacchierate fino a notte, ricordo una frase «vado, tento di capire come funzionano le cose lì, magari di scrivere un libro, massimo sei mesi e torno.»

Così lo accompagnammo, Giancarlo ed io, alla stazione di Alessandria. Treno locale per Voghera, poi Milano Linate, poi la partenza. Ci salutammo nelle nebbie della stazione un giorno di novembre. Un treno locale destinazione Salvador.

Da San Paulo scriveva molto e si leggeva, neppure molto fra le righe, una inquietudine mai finita “[…] Uno dei motivi fondamentali per cui lascio l’Italia è quello di bruciare ogni possibilità di svendermi a un sindacato o a un partito che vogliono comprarmi in terra di Puglia. La qualità della mia vita è legata alle mie idee e alla possibilità di farle vivere in azioni concrete che si sviluppino nel tempo, all’interno di un processo di trasformazione mia, dei miei rapporti, della realtà con la quale mi confronto […]”.

Là lavorò per qualche tempo per una rivista, Istoè. Intanto girovagava per capire e vedere. Molte sue lettere che raccolsi a fatica raccontavano esperienze, dicevano di interviste a Basaglia nel corso di un suo giro in Brasile, ad un sindacalista, Lula, poi diventato presidente, delle lotte dei proletari sud americani.

In quel periodo scrisse molto, una lettera a Caterina da Porto Suares in Bolivia, datata 2 febbraio 1979 diceva:

Sono stato in Araguaia, forse non sai cos’è, nel 73 ci su un massacro di compagni, 70 guerriglieri. Due anni di guerra, la gente ne porta ancora le cicatrici, bambine  violentate si portano appresso una vergogna incolpevole. Di quel massacro il mondo non ha saputo, nemmeno i brasiliani. Erano 25000 militari contro un manipolo di guerriglieri. Ora alcuni sopravvissuti sono qui con i servizi di sicurezza alle costole e la voglia di tornare. …

Poi venne inviato, sempre con pochissimi soldi, a vedere cosa accadeva in Nicaragua dove pareva che i sandinisti stessero avanzando. “Non credo molto a questi sandinisti” diceva in una lettera. Riuscì in qualche modo a entrare in Nicaragua senza visto sul passaporto, evidente ingresso non ufficiale, proprio nei giorni in cui il dittatore Somoza fuggiva con la cassa. In pochissimo tempo prese i contatti che lo proiettarono nel cuore del nuovo governo sandinista, prima come vigilanza contro i cecchini controrivoluzionari, in quel periodo mi scriveva:

[…] Mi rendo conto di essere condizionato moltissimo dalla vita che sto facendo […]L’ambiente che mi circonda è pieno di violenza ed io ci devo sopravvivere, anzi, ci devo vivere ed andare avanti, cambiare e capire, farmi largo con astuzia e onestà tentare strade che quasi mai so dove portano. Questa situazione rende duro il modo di comunicare. Sto lottando anche per impedire che questa guerra di guerriglia rovesciata (perché noi abbiamo il potere e i guerriglieri terroristi sono gli ex padroni) non militarizzi la parte più bella ed importante di me. Mi chiedo se ciò che sto facendo lascerà un segno. E quale segno lascerà. Mi chiedo se le espressioni del mio carattere che ora sento profondamente modificate, sono la reazione a questa guerra infame e vigliacca che sto facendo, oppure sto andando in una direzione senza ritorno. E’ guerra infame perché si combatte di notte. La controrivoluzione esce allo scoperto quando il buio si alza. Sono cecchini che colpiscono a sangue freddo. In stile terrorista. Capisco ora cosa provano i poliziotti contro le BR in Italia. Ora io sono il poliziotto. Odio questa situazione perché mi costringe a pensare che ogni notte potrebbe essere l’ultima. E perché è contro la volontà di autodeterminazione di un popolo… Ci obbligano a guardare nel buio ore intere. Possiamo rispondere al fuoco solo se vediamo la fiammata del loro sparo. Nessun compagno al mondo ammazza in questo modo. Le BR però lo fanno. Ma ora non voglio parlare delle BR…

Poi lavorò come geometra per la riforma agraria, in quel periodo scrisse in una lettera ai nostri genitori :

[…]Carissimi mamma e papà, mi ha fatto un gran piacere ricevere vostre notizie, da molto tempo non ci leggevamo. Ora lavoro per la riforma agraria, dopo la rivoluzione di luglio questo è il ministero più importante […] Lavoro sempre nelle campagne, sulle colline e montagne di questo paese tropicale. Misuro grandi aziende agricole, piantagioni di caffè e allevamenti che erano della borghesia locale ed ora sono del governo e vengono condotte dai contadini in cooperativa. E’ un lavoro importante perché segna il passaggio da un’epoca di miserie e di condizioni sub umane di vita per la gente che lavora, a un’altra nella quale il popolo potrà avere un futuro di tranquillità e benessere. Hanno pagato con 40.000 morti, la cui età media era di sedici anni, tutto questo la conquista della libertà. Se lo meritano. Io vengo considerato cittadino nicaraguense a tutti gli effetti e mi trattano molto bene. Vivo in una grande casa che era di un deputato del vecchio regime, sono assieme ad altri ragazzi che non vedo mai perché sono sempre fuori per lavoro. Torno la domenica. Ho un salario fisso di 300.000 re italiane circa […

Parole che volevano essere rassicuranti per gli anziani genitori, ma di altro tenore erano le lettere che scriveva a me e soprattutto alla sua compagna. Lettere in cui parlava della necessità di internazionalismo e di lotta armata contro le dittature. Il centro America era il brodo di coltura di regimi finanziati e istruiti dagli USA, il mito di Ernesto Guevara De La Cerna detto il CHE e della necessità di liberazione dei popoli oppressi era sempre più vivo, presente.

Scriveva in una lettera a Caterina:

[…] L’internazionalismo è una necessità assoluta. Non solo un fatto politico, una questione che riguarda i movimenti operai e i rivoluzionari. Coinvolge tutti gli esseri umani della terra. Questo vale anche per coloro che non se ne rendono conto, borghesi o operai che siano. Se un minatore cileno estrae rame dalla miniera, tu puoi, di conseguenza, usare l’energia elettrica e gli elettrodomestici costruiti con il rame. La relazione fra te e il minatore cileno esiste, anche se la si tiene sommersa. La modificazione di questa relazione dipende dalla modificazione delle relazioni fra il minatore e l’imperialismo americano che lo sfrutta; dalle modificazioni fra te e il sistema che tu stesso alimenti e che permette all’imperialismo di far crepare di fatica il minatore […] Fare una rivoluzione in Nicaragua o in Salvador significa semplicemente cambiare un pezzo di mondo che a sua volta cambia tutte le relazioni esistenti al mondo: fra gli stati, fra i proletari, fra i borghesi. Di poco, ma li cambia.Furono giorni intensi, mentre in Italia si viveva il reflusso, lui rimaneva ancorato a quel periodo che, riassume Marilena Salvarezza nel sito wwwdallapartedeltorto.it :

Nostra patria è il mondo intero

Tutto ciò che accadeva nel mondo, in Sud America, nel Vietnam, in Polonia, negli USA, dovunque ci fosse una dittatura, una repressione, una guerra voluta dal capitalismo, un’ingiustizia sociale ci riguardava. Quando accadeva qualcosa lo sentivamo risuonare in noi. L’identità si costruiva nell’incontro con gli eventi, in un andirivieni continuo tra esterno e interno, noi tra noi e gli altri “oppressi“. L’autobiografia sociale prevaleva su quella individuale mettendo la sordina anche a disagi che poi torneranno a presentare il conto e determineranno le diverse evoluzioni dei singoli. Il bisogno fusionale portava a una negazione delle differenze di classe e di genere in primo luogo, come se il movimento stesso fosse la garanzia dell’essere eguali di fronte all’impegno[…]Insomma, il mondo stava camminando, in Italia guardavamo le macerie di un ’68 durato un decennio, in Europa e nel mondo iniziava una devastazione non solo economica, ma culturale chiamata globalizzazione, poi c’era l’altro imperialismo, quello URSS che da sempre avevamo guardato con sospetto, soprattutto, per la nostra generazione, dopo i fatti di Praga, insomma, la restaurazione del capitalismo, anche se arrivò un raggio di speranza nel 1974 con la rivoluzione dei garofani portoghese e l’incruenta rivoluzione e creazione di una Democrazia.

Ma Elio era ormai lontano e proiettato in un modo dove la repressione, la tortura dei dissidenti, eserciti feroci che massacravano il Vescovo di San Salvador Oscar Romero mentre diceva un’omelia ai suoi fedeli, lo facevano volare verso scelte più importanti e che purtroppo si rivelarono definitive.

Fra le molte lettere ce n’è una inviata ai figli di Caterina, allora preadolescenti, in cui scriveva:

[…]Posso dirvi che se si toglie a un bimbo la possibilità di avere le cose che sogna, non sarà una persona contenta, ma triste che non può vivere la cosa più bella: sognare e vivere la fantasia delle idee. E l’unica cosa che ho imparato è il mestiere di rivoluzionario. Se non lo faccio, la mia vita diventa triste e, poco a poco, muore anche l’amore… Vi dico ora queste perché prima non avevo le idee chiare. Negli ultimi mesi, quando ero in Italia, tutto ciò che ero riuscito a capire di fronte alla confusione delle idee, della difficile situazione, tutta piena di ricatti, di trap- pole, di rapporti un tempo belli e sinceri, poi trasformati in ambigui e brutti […] mi erano rimaste solo due possibilità di scelta: rinunciare a fare il rivoluzionario, oppure scap- pare lontano, senza sapere dove e perché. Se non avessi avuto alle spalle voi e tutto quel che ho fatto, mi sarei ven- duto a chi offriva lavoro e in cambio mi chiedeva di smettere di sognare, di lottare, di cambiare il mondo. Mi chiedeva la parte migliore della mia vita. Così sono partito, perché sono convinto che non si può amare quando ci si sente sconfitti, non si può essere sinceri, onesti. Non si possono trattare i bambini con onestà e tolleranza quando non si sogna più […] Non mi sento di accettare il mondo così assurdamente diviso e organizzato. Non è giusto che milioni di bambini muoiano di fame. Non è accettabile una vita che ignora tutto ciò. Ci sono tanti modi di cambiare il mondo e tutti quelli onesti e sinceri sono validi. Io ne conosco uno solo: trasformare in pratica le cose che ho. Se non riesco, se incontro ricatti, ostacoli, se la necessità di procurarmi la sussistenza dovessero diventare troppo grandi, al punto di impedirmi di fare ciò che penso, allora non sceglierò il compromesso, non accetterò il ricatto. Credo, miei cari, che fuggirò un’altra volta.Dove e come non so, ma non sarà un ritorno[...]

Accanto a riflessioni che denotavano stanchezza e tensione, come quando scriveva:

[…] Avremmo dovuto pensare di meno, essere più rozzi nella lotta politica e venderci poi al prezzo accettabile che ci lasciasse almeno lo spazio per gli anni che vengono. Mi chiedo quanto sia possibile accettare di vivere nella normalità quando tutto attorno è anormale. Mi chiedo quali sono i meccanismi mentali, la formazione del pensiero che permette di veder nascere e morire il sole tutti i giorni, dalla stessa inclinazione, nello stesso luogo, e le cose, le situazioni che si girano attorno in un vortice assurdo di inutilità e di anormalità, e non chiedersi e rispondersi, non so, il perché di tutto ciò. Il senso finale. La logica che dovrebbe dare un senso, almeno uno, che non sia la mera sopravvivenza, al giorno che è passato, alle cose che abbiamo fatto. Non so cosa darei per diventare l’ultimo idiota che dà un senso all’amore, al lavoro, al sabato sera. Comunque è solo questione di tempo. Anche i pazzi, i disadattati, i superbi hanno il limite della stanchezza, delle sconfitte, della presunzione. Abbiamo tentato di cambiare le cose per cambiare noi stessi. I più fortunati hanno cambiato sé stessi. Le cose sono rimaste come erano. Non c’è errore più fatale. Il problema è trovare quella maledetta posizione del cambio per ingranare la retromarcia. Non dovrebbe essere difficile […] Camminare con il tempo e sbandare con esso. E accelerare e fermarsi. Come i cavalli del circo. Non avere l’angoscia per i prossimi decenni e la voglia di andare e della febbre del sabato sera garantito a tutti e da tutto perché tutto è a posto, in ordine […]

Nello stesso periodo proseguiva lo studio del marxismo, della filosofia sociale, e ci stava l’addestramento militare per un “impegno superiore”, c’era necessità, diceva, di combattenti con una formazione politica, etica, filosofica che seguissero e guidassero altri combattenti generosi, ma senza un retroterra culturale adeguato.

Il percorso non è stato breve, in una lettera inviata a me scriveva :

[…]Mi sono licenziato dalla riforma agraria e qualche tempo fa mi hanno offerto lavoro come giornalista nel periodico del fronte sandinista. Praticamente si è aperta la possibilità di entrare nel cuore del processo rivoluzionario […] Non mi sono licenziato per fare il giornalista. Volevo andarmene dal Nicaragua, volevo continuare a un livello superiore il mio impegno internazionalista rivoluzionario. In altri luoghi dove la lotta necessita di compagni. Questa proposta di lavoro, che farebbe felice qualsiasi compagno, cade nel mezzo di un periodo in cui la mia testa si è già spostata su nuovi livelli di impegno. Sono indeciso, stanco, confuso e abbastanza depresso. Tutto si risolverà, ne sono sicuro […]

Questo percorso lo portò alla decisione finale: un nuovo viaggio che lo condusse in Salvador a combattere contro una dittatura sanguinaria, poi lunghi silenzi rotti solo, anni dopo, da una busta recapitatami che conteneva i suoi documenti : passaporto, patente italiana, documenti nicaraguensi ed un biglietto sibillino che diceva:

Carissimo

Sono venuto in possesso di alcune informazioni riguardanti il compagno Elio e di alcuni effetti personali che ti invio. La situazione è questa: Il compagno risulta, purtroppo, caduto durante la guerra civile in Salvador. La notizia è confermata, sia pure in via ufficiosa, da settori militari del Nicaragua Non è stato possibile ottenere l’ubicazione precisa del luogo dove sarebbe caduto e dove riposa il corpo Non mi hanno voluto fornire particolari, l’unica precisazione è che Elio era impegnato in appoggio al FLMN

Ti preciso che non sarà possibile sapere altro. Anzi, eventuali richieste ufficiali avranno come risposta dei “non so”. Questo dovuto al fatto che potrebbe essere “imbarazzante” a livello politico/diplomatico[…]

Si presume che dietro ai motivi politico/diplomatico ci fossero truppe addestrate dal liberato Nicaragua e inviate in appoggio ai guerriglieri salvadoregni.

Ciao Elio.