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sabato 9 aprile 2016
venerdì 8 aprile 2016
mercoledì 6 aprile 2016
Il mio amico Cosimino, Parabita e la transsalentina
Ero a Parabita ad
aspettare i camminatori che stavano percorrendo i quasi 50 Km. da Otranto a
Gallipoli, dall’Adriatico allo Jonio, passando per campagne e paesi,
lentamente, con lo sguardo sulla natura prorompente, insultante, cruda, leggera
del Salento. Una classica ormai, otto edizioni, otto anni, i 115 arrivarono in piazza a piccoli gruppi, forse
stanchi, però proseguivano e sembravano leggeri.
Unire i due mari è simbolico
ed affascinante, scirocco e tramontana, oriente ed occidente che si incontrano,
storie che si intrecciano e si fondono in un periodo in cui il mare sembra
dividere più che mai, il qui e il là, il sud e l’altro sud. Migranti in terra di migranti, camminatori su quelle che furono le strade che videro passare il turco invasore e i raccoglitori di olive, le tabacchine e dolmen, e menhir. Campagne dove il profumo di mentastra ti penetra e i mille verdi incombono.
Io, non camminante, stavo in quella piazza per salutare amici che
camminavano, il caldo della primavera salentina si faceva sentire al sole, alla
buon’ora.
Prima dell’arrivo in quella piazza eravamo in quattro: io, chi mi
accompagnava e due signori seduti in panchine diverse, neppure troppo vicine, ugualmente
parlavano fra loro ad alta voce mentre tutto attorno era l'irreale silenzio della contr'ora.
Atmosfera strana, rarefatta. Ministresse e primi ministri
nei guai erano lontani anni luce, come il “logorio della vita moderna”, ricordando
Ernesto Calindri in una nota pubblicità. Lui stava comodamente seduto al
tavolino al centro di un incrocio dove passavano auto da ogni direzione, si beveva il suo Cynar e diceva di serenità.
Dice la storia
che nei primi anni del 1500 “il feudatario di Parabita Francesco del Balzo,
conte di Ugento, vi ospitò le truppe francesi di Francesco I, che combattevano
gli spagnoli dell'Imperatore Carlo V insediati a Gallipoli.
Nel 1528 vi fu una storica battaglia contro i gallipolini
guidati da Pirro Castriota, il quale sconfisse i francesi usciti dal castello
di Parabita. In virtù di tale vittoria Pirro Castriota si trovò acquirente del
feudo parabitano” …
E si affacciano la chiesa matrice e due antichi palazzi un
tempo maestosi, ora mesti.
La calma era molta sulla piazza del castello, mi avvicino ad
uno dei due signori che stavano parlando ad alta voce e mi siedo accanto a lui.
Scopro che si chiama Cosimino “Cosimo però” mi dice. Scambiamo qualche parola e scopro che lui è
del ’26. Anziano ma veloce di pensiero, mi racconta con pochi tratti il suo
Belgio “io volevo emigrare in Inghilterra, andai a Milano ma mi trovarono una
malformazione, tornai dopo un mese e mi proposero il Belgio dicendomi: se ti va
di lavorare sotto terra. Ed io risposi, la fame è fame, certo che mi va di
lavorare”. Così andò a Charleroy e passò 14 lunghi anni nelle viscere della
terra, coricato a scavare carbone. In Inghilterra non c’era il patto
uomo/carbone, non c’era la promessa al governo italiano di dare carbone per
ogni vita umana mandata a respirare terra e carbone. Ma Cosimino doveva
mantenere moglie e figlio che vivevano a Parabita.
“Marcinelle invece?” gli chiedo, “Il mio capo sapeva che
lavoravo sodo, lui venne trasferito a Marcinelle e mi disse di raggiungerlo, mi
voleva con lui. Io ho dato gli otto giorni e ne ho approfittato per venire a
trovare mia moglie e il bambino qui a Parabita, ricordo, ero seduto proprio lì,
fuori da quella porta dove allora stava il calzolaio, arrivò un amico che aveva
sentito la radio e disse che a Marcinelle erano morti tutti. Tornai a Charleroy”.
A volte il destino è strambo, crudele, a volte felice.
Poi gli chiesi di quei palazzi che si affacciano sulla piazza, come accade spesso il potere civile e quello religioso si contendono il centro cittadino "Si, si, sono stati tutti ereditati, ora sono disabitati, i figli sono tutti morti, quelli ancora vivi chissà dove stanno. Solo uno abita qui ma non esce mai".
Ci
siamo salutati io e Cosimino, lui mi ha indicato
la strada per Gallipoli prima di lasciarmi andare, ed è rimasto su quella
panchina, con i suoi 90 anni, i suoi nipotini “sono diventato bisnonno” diceva
orgoglioso e fiero. Cosimino è riuscito ad invecchiare al suo paese. Lui si, ce
l’ha fatta.
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