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mercoledì 6 aprile 2016

Il mio amico Cosimino, Parabita e la transsalentina

Passava la Transalentina da lì. (organizzata come ogni anno da Speleotracking salento e dall'ottimo Riccardo Rella).
Ero a Parabita ad aspettare i camminatori che stavano percorrendo i quasi 50 Km. da Otranto a Gallipoli, dall’Adriatico allo Jonio, passando per campagne e paesi, lentamente, con lo sguardo sulla natura prorompente, insultante, cruda, leggera del Salento. Una classica ormai, otto edizioni, otto anni, i 115  arrivarono in piazza a piccoli gruppi, forse stanchi, però proseguivano e sembravano leggeri. 

Unire i due mari è simbolico ed affascinante, scirocco e tramontana, oriente ed occidente che si incontrano, storie che si intrecciano e si fondono in un periodo in cui il mare sembra dividere più che mai, il qui e il là, il sud e l’altro sud. Migranti in terra di migranti, camminatori su quelle che furono le strade che videro passare il turco invasore e i raccoglitori di olive, le tabacchine e dolmen, e menhir. Campagne dove il profumo di mentastra ti penetra e i mille verdi incombono.     
Io, non camminante, stavo in quella piazza per salutare amici che camminavano, il caldo della primavera salentina si faceva sentire al sole, alla buon’ora. 
Prima dell’arrivo in quella piazza eravamo in quattro: io, chi mi accompagnava e due signori seduti in panchine diverse, neppure troppo vicine, ugualmente parlavano fra loro ad alta voce mentre tutto attorno era l'irreale silenzio della contr'ora.
Atmosfera strana, rarefatta. Ministresse e primi ministri nei guai erano lontani anni luce, come il “logorio della vita moderna”, ricordando Ernesto Calindri in una nota pubblicità. Lui stava comodamente seduto al tavolino al centro di un incrocio dove passavano auto da ogni direzione,  si beveva il suo Cynar e diceva di serenità.
Sulla piazza domina il castello, definito dall’archivista reale D.A. Sabatino nel 1628: “Un bel castillo al cabo alto de la tierra, fuerte y de buena habitacion”
Dice la storia che nei primi anni del 1500 “il feudatario di Parabita Francesco del Balzo, conte di Ugento, vi ospitò le truppe francesi di Francesco I, che combattevano gli spagnoli dell'Imperatore Carlo V insediati a Gallipoli.
Nel 1528 vi fu una storica battaglia contro i gallipolini guidati da Pirro Castriota, il quale sconfisse i francesi usciti dal castello di Parabita. In virtù di tale vittoria Pirro Castriota si trovò acquirente del feudo parabitano” …

E si affacciano la chiesa matrice e due antichi palazzi un tempo maestosi, ora mesti.
La calma era molta sulla piazza del castello, mi avvicino ad uno dei due signori che stavano parlando ad alta voce e mi siedo accanto a lui. Scopro che si chiama Cosimino “Cosimo però” mi dice.  Scambiamo qualche parola e scopro che lui è del ’26. Anziano ma veloce di pensiero, mi racconta con pochi tratti il suo Belgio “io volevo emigrare in Inghilterra, andai a Milano ma mi trovarono una malformazione, tornai dopo un mese e mi proposero il Belgio dicendomi: se ti va di lavorare sotto terra. Ed io risposi, la fame è fame, certo che mi va di lavorare”. Così andò a Charleroy e passò 14 lunghi anni nelle viscere della terra, coricato a scavare carbone. In Inghilterra non c’era il patto uomo/carbone, non c’era la promessa al governo italiano di dare carbone per ogni vita umana mandata a respirare terra e carbone. Ma Cosimino doveva mantenere moglie e figlio che vivevano a Parabita.
“Marcinelle invece?” gli chiedo, “Il mio capo sapeva che lavoravo sodo, lui venne trasferito a Marcinelle e mi disse di raggiungerlo, mi voleva con lui. Io ho dato gli otto giorni e ne ho approfittato per venire a trovare mia moglie e il bambino qui a Parabita, ricordo, ero seduto proprio lì, fuori da quella porta dove allora stava il calzolaio, arrivò un amico che aveva sentito la radio e disse che a Marcinelle erano morti tutti. Tornai a Charleroy”.
A volte il destino è strambo, crudele, a volte felice.
Poi gli chiesi di quei palazzi che si affacciano sulla piazza, come accade spesso il potere civile e quello religioso si contendono il centro cittadino "Si, si, sono stati tutti ereditati, ora sono disabitati, i figli sono tutti morti, quelli ancora vivi chissà dove stanno. Solo uno abita qui ma non esce mai". 
Ci siamo salutati io e Cosimino, lui mi ha  indicato la strada per Gallipoli prima di lasciarmi andare, ed è rimasto su quella panchina, con i suoi 90 anni, i suoi nipotini “sono diventato bisnonno” diceva orgoglioso e fiero. Cosimino è riuscito ad invecchiare al suo paese. Lui si, ce l’ha fatta.