Commenti

Non pubblicheremo commenti anonimi.

sabato 31 agosto 2013

Mario Perrotta racconta Toni Ligabue


Antonio (Toni) Ligabue nacque in Svizzera nel 1899, da Elisabetta Costa e da padre ignoto, nel 1919 si dovette trasferire a Gualtieri (Reggio Emilia), paese del marito di sua madre, Bonfiglio Laccabue, perché indesiderato nel paese Elvetico. Là solo i sani di mente, solo chi profuma di denaro e cioccolato ha diritto ad avere patria, il genio lo cacciano via, in particolare quando è ritenuto folle.  In Italia, nella bassa reggiana, diventa “el matt” o “el tedesc” per via del suo forte accento, e del fatto che entra ed esce da case di cura (manicomi). Ligabue preferisce gli animali alla vita da osteria. Si arrabatta tra mille lavoretti e impasta la creta per fare statuette che scambia con cibo. Un lavoro fisso non l’ha mai avuto, aveva però una Guzzi rossa con la quale scorrazzava per le campagne, dormiva nei capanni in riva al Po e parlava poco e male l’italiano. Durante la seconda guerra, leggo, fece anche da interprete per i tedeschi, nel 44 però, dicono le cronache, spaccò una bottiglia in testa ad uno di loro e fu nuovamente in manicomio. Ogni tanto si faceva del male anche, tentava di raddrizzare a sassate il suo naso immenso e storto. Intanto, verso la fine degli anni ’20, l’incontro con il pittore Marino Renato Mazzacurati lo cambia, gli vengono regalati colori e tele. Il dopoguerra lo consacra “pittore naif” “artista pazzo” autodidatta. Famose le sue belve, gli animali che ama dipingere perché li conosce senza averli mai visti,  prendendo spunto da illustrazioni su libri. Quegli stessi animali di cui diceva: “so come sono fatti anche dentro”. Un Van Gogh delle nostre terre, un genio che sapeva dire con l’arte le sue emozioni. Morì nel 1965.


Una storia che non è sfuggita a Mario Perrotta, che sta portando in giro per l’Italia “Un bes - Antonio Ligabue" (Un bès in dialetto emiliano significa: un bacio)
Ne abbiamo parlato con l’autore attore.

“Intanto, come mai Ligabue?”

Tutto è iniziato così. Durante una replica del mio spettacolo Odissea a Gualtieri - il paese d’origine di Ligabue - ho visto una sua gigantografia e un busto a lui dedicato ed è stata una strana epifania: per quelli della mia generazione tra i 40 e i 45 anni, Ligabue era ed è lo sguardo ad occhi sgranati e smarriti di Flavio Bucci nello sceneggiato Rai degli anni '70. Uno sguardo terrifico per chi, come me, aveva otto anni e subiva l’apparizione del “diverso”, del bambino indifeso che diventa una bestia. Il ricordo di quel terrore e quella fascinazione infantile, unito alla vista dei luoghi dove aveva vissuto, hanno scatenato un nuovo innamoramento per questo personaggio. Ma questo non sarebbe bastato per impostare un intero progetto teatrale su di lui, ma di questo dirò in seguito.


“Un bes è un titolo drammatico, per una vita come la sua un bacio, in fondo, è poca cosa, però pare vitale”

E sì! Si tratta del bacio mancato, quello della madre biologica, e poi quello della madre adottiva, e poi ancora quello della donna che non ha mia avuto e, infine, il bacio di chiunque pur di sentire una qualunque vicinanza umana. Ma niente. Per Ligabue tutto questo non fu dato e la sua è una vita di assenza di affetti. Intorno a questa assenza, a questa castrazione continua, ho costruito tutta la vicenda teatrale e il rapporto che il personaggio ha con il pubblico presente in sala, un rapporto che si basa sulla coscienza che neanche loro, gli spettatori, saranno disposti a donargli quel "momento di bene" che lo farebbe sentire finalmente accettato.

“Nella presentazione dici che Ligabue artista sapeva di meritarlo quel bacio, il pazzo invece doveva elemosinarlo”.

Certamente. Ligabue aveva una perfetta coscienza di sé e del suo valore artistico. Amava ripetere: "quando sarò morto i miei quadri varranno un sacco di soldi". Non era assolutamente lo scemo del paese, come amavano pensare i suoi compaesani, semmai lo faceva perché gli tornava comodo. Sapeva che, in quanto artista, avrebbe meritato attenzione e sperava che quell'attenzione si concretizzasse anche in affetto da parte di qualcuno, in modo particolare di una donna. Ma questo, come detto, non avvenne mai neanche dopo quel poco di fama che arrivò negli ultimi anni della sua vita. Semmai, tentarono di sfruttarlo, anche le donne, ma lui questo lo sapeva e a volte si vendicava in modo feroce, facendosi pagare dei quadri in anticipo e poi realizzando delle opere brutte (a suo stesso dire!).

“Le ultime parole delle righe che hai messo nel tuo sito, parlando dello spettacolo, sono: “Voglio stare anch’io a guardare gli altri. E sempre sul confine, chiedermi qual è il dentro e quale il fuori”.
Mi ricorda un amico, Adriano Sofri, che capitò in una sventura giudiziaria e ci salutava dal carcere di Pisa dicendo: “Ciao da noi chiusi dentro a voi chiusi fuori”. 

Sicuramente lo "stare al margine" è una condizione che mi affascina molto, sin dal progetto dedicato ai nostri emigranti degli anni '50 e '60. E' una condizione limite, appunto, che trova rispondenza ancora una volta in un'esperienza profondamente mia legata all'infanzia. Da figlio di genitori separati nel sud di 40 anni fa, il rischio di essere messo al margine per questa condizione era forte e ho dovuto sempre lottare per restare invece "all'interno della cerchia", tanto che spesso, finivo per ritrovarmi al centro della stessa, troppo al centro, esattamente come se stessi in scena a teatro (ecco che non mi è stato difficile il passaggio da un "palcoscenico" all'altro).
Nel mio caso poi, questa paura di veleggiare sul limite si è andata dissolvendo con il passare del tempo ed è diventata solo un ricordo mentre, per quanto concerne la condizione di "malato di mente", è connaturata ad essa anzi, è il suo superamento perché il limite sono i cancelli e le mura del manicomio o i muri invisibili che le persone ergono tra loro e te. E una volta che i muri sono saliti, tu malato di mente ti trovi oltre essi e quindi sei "fuori". Fuori dal consesso umano che ti ha rigettato. Ma, al contempo, gli stessi uomini che si autodefiniscono "sani", guardando le mura di un manicomio si definiscono "fuori", mentre i malati sono "dentro". E allora? Qual è il dentro e qual è il fuori? Esattamente come nella condizione carceraria e in qualunque condizione di diversità sancita da un confine: esso stesso determina un dentro e un fuori differente secondo il lato su cui ci si trova. Mi viene in mente una parola leccese - 'ppoppeti - che i cittadini di Lecce usano per indicare in modo irriverente "quelli di provincia". Il suo etimo è latino e cioè: post oppidum, oltre le mura della città.
Il guaio è che anche "quelli di provincia" usano la stessa espressione per indicare con la stessa irriverenza "quelli della città" perché, dal loro lato del confine, noi cittadini siamo effettivamente 'ppoppeti, ossia oltre le mura. Ecco che, ancora una volta, un confine determina una discriminazione bilaterale e a furia di annotare situazioni del genere, mi viene da pensare che è il concetto stesso di confine ad essere sbagliato.
  
“E’ un pezzo unico o ci racconterai ancora Ligabue?”

Come ho detto l'incontro di Gualtieri con Ligabue ha messo in moto un intero progetto e non solo per le ragioni dette sopra, che sarebbero insufficienti. Provo a spiegare.
Anche questa nuova avventura, come tutti i miei spettacoli, ho dovuto attendere che si presentasse per una sua urgenza intima. Inizialmente fai difficoltà a coglierla ma, come sempre, procedendo con il lavoro, scrivendo, cancellando, intervistando persone, salta agli occhi all'improvviso quella connessione segreta con la tua vita, con gli affanni, le preoccupazioni di quella fase della tua esistenza e allora capisci il perché profondo di ciò che stai mettendo in atto sulla scena.
Infatti, avevo iniziato a lavorare con un punto di domanda ancora aperto sulle ragioni intime della mia scelta poi, un giorno, senza alcuna causa apparente c'è stata la "rivelazione". La spiego così: nelle prossime settimane diventerò finalmente padre di un bimbo meraviglioso che arriva dall'Etiopia. Io e mia moglie, come tutte le coppie adottive, abbiamo percorso un lungo cammino, dovuto ai tempi di legge, per arrivare a concludere l'adozione. E in questi anni molte sono state le domande e i dubbi su cui abbiamo ragionato. Tra questi, uno dei più impellenti era il seguente: mio figlio arriva dall'Africa e porta con sé tutti i segni distintivi della sua origine, compreso il colore della pelle; noi, ovviamente, non porremo la minima attenzione a questo ma qualcuno, nel tempo e nei luoghi che frequenteremo, potrà, invece, puntualizzare questa "diversità" (in aggiunta all'altra diversità altrettanto evidente che è un bambino adottato); bene: sapremo dare a nostro figlio gli strumenti critici per accettare e comprendere questa puntualizzazione che, per quanto inopportuna e stupida, in alcuni casi accadrà inevitabilmente?
E' chiaro che, nel tempo, abbiamo trovato risposte razionali e di buon senso a questo dubbio ma dal punto di visto emotivo avevo ancora bisogno di "tirar fuori" e allora, ecco che l'incontro con il "diverso" per eccellenza - Antonio Ligabue il pazzo, il genio, lo straniero, il reietto -  ha scatenato il corto circuito che ha dato vita all'intero progetto. Attraverso la sua figura potrò dissolvere anche le ultime tracce di quei dubbi e quelle domande di cui ho appena scritto.
Infine: è proprio l'urgenza della domanda che determina la forma e la durata del progetto. Trovo riduttivo fermarsi a un solo spettacolo per esaurire un argomento così profondo. Ho bisogno, invece, di respirare lungo, di indagare diversi aspetti della vicenda di Ligabue, partendo dall'uomo, lo scemo del paese, che è l'oggetto del primo spettacolo Un bès - Antonio Ligabue, per poi occuparmi dei suoi quadri e delle sue sculture fino ad arrivare al rapporto tra il suo paesaggio interiore, la Svizzera mitica della sua infanzia, e quello esteriore, la pianura padana con il grande fiume Po.

“Progetti futuri?”

Ancora due anni, appunto, dietro al Toni Ligabue, con una marea di iniziative satellite tutte da scoprire ma che rimando al sito del progetto che è www.progettoligabue.it


venerdì 30 agosto 2013

Sostiene EMERGENCY


  • 28 agosto 2013

    Oggi sulla costa di Siracusa sono sbarcati almeno 500 profughi.
    Vengono quasi tutti dalla Siria: raccontano di essere scappati da Damasco dopo gli attacchi con le armi chimiche dei giorni scorsi.
    Sono soprattutto famiglie, moltissimi bambini che hanno viaggiato in condizioni disumane, senza acqua e senza cibo.
    Tra loro c’è anche una bambina nata 4 giorni fa, durante la traversata.
    Alcuni dei profughi sono stati trasferiti all’ex scuola Umberto I, dove lavoriamo con il nostro Polibus.
    Stiamo facendo una visita mentre sentiamo pianti e urla appena fuori dall'ambulatorio.
    Vengono da una famiglia in attesa. Hanno appena ricevuto la notizia della morte del vecchio padre, rimasto a Damasco.

giovedì 29 agosto 2013

Siria...

L’ONU sembra un inutile orpello ormai. Da decenni le guerre le dichiarano unilateralmente USA, GB, Francia e poco più, da decenni assistiamo ad inizi di bombardamenti, massacri fra i civili, morti che tornano avvolti in ridicole bandiere e guerre infinite, senza via d’uscita per gli attaccanti, praticamente perse dalle più potenti forze armate mondiali. Kosovo, Afghanistan, Iraq e via dicendo sono plastici esempi della stupidità dei guerrafondai. Piccoli Vietnam crescono.  In tutto questo scempio di civiltà l’ONU è tenuta rigorosamente da parte perché è strumento vecchio, antico, vive ancora sugli equilibri del dopo guerra, anche se i tempi sono mutati.
Ora c’è l’inganno Siria alle porte. Dopo la bufala globale delle armi di distruzione di massa, alla quale hanno creduto senza batter ciglio il pregiudicato Berlusconi e buona parte delle sinistre italiche, oggi ci dicono che hanno le prove dell’utilizzo di armi chimiche. Sarà, però gli ispettori ONU ancora stanno cercando, nel frattempo i bombardamenti a tappeto sui civili sopravvissuti sono pronti. E pare che nel giro di 48 ore il misfatto globalizzato sarà compiuto. Intanto gli ispettori del nulla (leggi: ONU) proseguono a cercare, se poi ci diranno che armi chimiche non erano, beh, pazienza. Un po’ di missili non fanno male e si sarà aperto un altro fronte. Ma ci stiamo abituando: si va lì, si fa l’inferno e poi lasciamo le popolazioni nella loro palta, prese in mezzo fra dittatori, fondamentalisti, democratici e via dicendo. Ancora non si è trovato il modo di soluzioni negoziali, di parlare, di imporre con la pace anziché con la guerra. Ancora si crede alla criminale bufala dell’“esportazione di democrazia”. Vediamo cosa succede in Afghanistan, pochi (?) “straccioni” tengono in stallo le potenze della guerra da anni, e noi inviamo eserciti, militari, armamenti e sofisticati strumenti di guerra in continuo. Ora ci dicono che è pronto il ritorno, alla buon’ora, ma cosa lasciano le potenze potenti? Popolazioni inermi in balia di bande armate? E cosa lasceranno in Siria? C’era un economista che sosteneva che le guerre servono per far girare l’economia…. Vuoi vedere che l’hanno preso in parola?

Non a caso il presidente siriano Assad ha dichiarato: “Le grandi potenze possono fare guerre. Possono anche vincerle?” La storia insegna poco evidentemente. Dice Barbara Spinelli su Repubblica del 28 agosto: “… Il dilemma esiste perché sulle conseguenze di un’offensiva nessuno può avere le idee chiare. Neppure sull'obbiettivo c’è per la verità chiarezza… In nome di quale disegno aggredire Assad?” Anche perché, anziché esportare democrazia si rischia di mandare i siriani dalle mani del dittatore di turno a quelle degli integralisti, per dirla con la Spinelli “la scelta è tra la peste e il colera”, noi con chi stiamo? Attaccare alla cieca, senza l’interposizione delle forze ONU, senza tentativi diversi di trattativa, porterà forse ad altri Afghanistan, ad altri Kosovo, Iraq e via dicendo.  Al momento, per fortuna, il ministro degli esteri italiano si chiama Emma Bonino, se si va a elezioni e arrivano le Santanchè, i La Russa e compari di merende, mandare a spezzare le reni alla Siria sarà il gioco di 24 ore. Non è che qui abbiamo poi una democrazia così compiuta, in fondo. Possiamo renderci complici da un momento all’altro di qualunque nefandezza in giro per il mondo. 

martedì 27 agosto 2013

PD, sinistre, Berlusconi e varia umanità

Mentre stiamo a dibattere se sia meglio Renzi, Letta o Papa Francesco per la guida del PD, dotti medici e sapienti che dialogano con sottilissime disquisizioni filosofiche, politiche, sociali, ognuno, ça va sans dire, ha l’idea del nuovo partito, ognuno sa come fare perché il miracolo si compia. Qual è il miracolo ancora non è dato sapere, una cosa appare certa al momento: l’uscita di scena di Berlusconi dalla politica così come si prospetta (se mai avverrà) è una sonora sconfitta per i contendenti, uno schiaffone in faccia a chi è più puro dell’altro o degli altri. Anzitutto diamo per scontato che la magistratura ha fatto bene il suo lavoro condannando in via definitiva un signore che ha utilizzato la sua posizione per evadere il fisco e portare capitali all’estero proprio nei giorni in cui diceva che la lotta contro l’evasione fiscale era il suo primo impegno. E ringraziamo veramente i giudici che hanno avuto il coraggio e la forza morale ed etica di arrivare a tanto risultato. Tuttavia la magistratura ci ha spiegato che siamo stati governati per un ventennio da un fuorilegge. Non che la cosa susciti poi moltissimo clamore, per carità, nel partito del delinquente (e non solo nel suo) c’erano indagati per collusioni con le mafie, portatori sani di stallieri in quel di Arcore, in tutto il parlamento c’erano un centinaio fra indagati e condannati.
Il problema è però un altro, come mai le sinistre, a fronte di un malfattore al governo, non sono riuscite a batterlo e cacciarlo via usando gli strumenti della politica? Due volte Prodi l’ha sconfitto, due volte i più puri l’hanno punito. La prima in particolare quelli che hanno la linea e che sono più belli, forti, virili degli altri, quelli che filosofeggiano in cachemire, hanno decapitato un tentativo che poteva essere virtuoso ed aiutare l’Italia ad uscire dal tunnel del berlusconismo. La seconda ci hanno pensato dei malfattori, personaggi che si sono letteralmente venduti, alla faccia dei voti presi, indegni di governare le bestie in una stalla sono invece stati rieletti grazie ad una legge elettorale calderoliana (neologismo traducibile con: idiota e antidemocratica). Le divisioni a sinistra, l’incapacità di fare sintesi hanno invece consentito a noi tutti di avere ministri del calibro di La Russa, Calderoli, Bossi, Giovanardi. L’esatto opposto della Democrazia.  Questo ventennio ha insegnato qualcosa alle sinistre tutte? Si, una cosa in particolare: presentarsi rigorosamente divisi! Il povero Bersani poi è cozzato contro altri duri e puri che gli hanno detto “con te mai, noi vogliamo tutto e subito e vogliamo il 100% dei voti” Democrazia? Bah! Ed ora, mentre il PDL potrebbe essere allo sbando, un partito governato da Moplen Santanchè non dovrebbe fare molta strada, a meno che il PD non voglia pervicacemente aiutarlo, agevolare il suo cammino, a meno che qualcuno nel PD dica che la condanna di Berlusconi è una jattura. Lo è veramente solo per i motivi della mancata sconfitta politica, non certo per la magistratura. La vera jattura è non avere il senso delle cose, è il proseguire a far finta di dibattere se sia meglio Fonzie o Letta, se sia meglio un ex democristiano piuttosto di un ex democristiano. Allora cosa è successo veramente nel partito già liquido? Vediamo come questa roba qui non sia stata in grado neppure di nominare i suoi eletti, 101 hanno bocciato Prodi alla presidenza della Repubblica. Viste queste premesse, veramente ci aspettiamo che sconfiggano le destre? Neppure Bossi ha fatto errori così clamorosi nella scelta dei suoi candidati. E badiamo, il dialogo, la ricerca di soluzioni condivise spetta a chi dirige il partito, sono loro che devono essere in grado di proporre, noi possiamo raccontarci le palle che vogliamo, ma sono loro che decidono chi nominare e come farlo. Dovrebbero ascoltare le proposte che arrivano dal basso e fare scelte condivise. Ascoltavo due persone al bar, uno diceva “non so cosa voterò, certo che se vince Renzi nel PD raggiungono lo scopo di mettere uno di destra per combattere le destre” (sic). Forse un po’ azzardato, però…
Allo stato delle cose forse qualcuno pensa che la condanna di Berlusconi sia una vittoria politica, pensa magari di averlo preso per sfinimento. Abbiamo talmente annoiato lui e gli elettori con la nostra pochezza da fargli credere di essere onnipotente e ci è cascato. Vuoi vedere che la strategia era questa?
Nel frattempo si può proseguire a scannarsi senza avere la volontà di costruire un soggetto di sinistra che abbia uno straccio di linea condivisa. Avanti così compagni, ops, amici, ops, fratelli, non va bene neppure così, chiamiamoci per nome che è meglio.


lunedì 26 agosto 2013

26 agosto 1968: Papa Luciani (in arte Giovanni paolo)

Il 26 agosto 1978 Albino Luciani (in arte Papa Giovanni Paolo) venne eletto al soglio pontificio. Il suo pontificato durò solo 33 giorni. Dal '61 al '67, in qualità di vescovo, provocò uno scisma nella frazione di Montaner, lassù i parrocchiani, dopo la morte del loro parroco, chiesero la conferma del vice alla guida della parrocchia. Luciani rifiutò, i parrocchiani murarono le porte, lui entrò e si portò via le ostie consacrate. Il paese aderì alla comunità ortodossa. Di polso fermo, è tuttavia ricordato come il papa del sorriso. La sua improvvisa morte non venne seguita da autopsia perchè i papi son oesseri superiori, quindi i misteri rimangono tutti quanti. Si sa solo che voleva mettere mano allo IOR guidato da MArcinkus. Il gionalista investigativo David Yallop scrisse un libro "In nome di Dio" in cui ipotizzava l'omicidio, tesi suffragata dal pentito di Cosa Nostra Vincenzo Calcara. Fatto sta che nessun cardinale (Marcinkus compreso) venne rimosso dallo IOR. 
Lunga vita a Papa Francesco!

domenica 25 agosto 2013

25 agosto 1923 - Libero Ferrario campione del mondo di ciclismo

Il 25 agosto 1923 si disputò a Zurigo il terzo campionato mondiale dilettanti di ciclismo. All'epoca il professionismo non esisteva. Il primo venne disputato nel ’21 a Copenaghen e venne vinto dallo svedese Gunnar Skoedl (secondo Wilum Nielsen, Danimarca, terzo Charles Davey, Regno Unito), il secondo a Liverpool venne conquistato da Dave Masch, Regno Unito, seguito da W.T. Burkill e Charles Dawey, entrambe inglesi. Quel 25 agosto del ’23 invece fu la prima volta in assoluto in cui un italiano divenne campione mondiale. Libero Ferrario si piazzò davanti a Othmar Eichenberg e Georges Artenen, entrambi svizzeri.


Libero Ferrario nacque a Parabiago il 24 giugno 1901. Al suo paese aveva fama di giovane prestante ed abile. Iniziò presto ad usare la bicicletta e nel 1920 vinse il campionato militare a squadre a Bari. Nel ’23 l’impresa a bordi di una “Gloria”. Nel ’24 si classificò quarto nella stessa corsa a Parigi. Non riuscì ad arrivare a trent'anni, la tisi se lo portò via prima.

Fonti: wikipedia