Ci sono modi di dire che si utilizzano per abitudine, spesso
per convenzione, “Il mondo è piccolo”, ad esempio. A volte poi ti accorgi che
la tradizione orale, la cultura popolare, tramandano verità. E’ piccolo il
mondo se mia figlia, alessandrina che studia all’università a Pavia, ha una
“collega” salentina che la invita a Tricase per l’estate, successe nell’agosto
2012, ed è piccolo se a distanza di un anno incontro Costantino, il padre della
ragazza salentina, nella piazza di Diso ed iniziamo a parlare accorgendoci di avere
in comune amici e interessi, oltre che di trovarmi davanti ad un raffinato
scrittore. Diso è un paese tranquillo, poca gente per strada, seggiole in
piazza martedi 6 agosto 2013, fra i tavolini del bar, un palco, una bandiera
italiana ed una della CGIL. C’è la proiezione di un documentario che per varie
vicissitudini ancora non avevo visto: Arneide. Passano su quel piccolo schermo
e con un audio improbabile le immagini e le testimonianze dei protagonisti
delle lotte a cavallo fra il 1950 e il 1951, quando le terre vennero occupate,
quando la polizia di Scelba caricava donne e uomini che volevano solo e banalmente
lavorare un pezzo di terra, che chiedevano di poter sopravvivere.
Anche Costantino Nuzzo era in piazza a Diso, e mi ha sorpreso
regalandomi un libro che aveva scritto nel 2010: Trainella. Non è romanzo, non
è saggio, è un racconto di vita vissuta fra Marittima, Diso e Tricase. Lui
nacque a Marittima, ora vive e lavora a Tricase. Già direttore di Radio Salento
popolare e collaboratore di riviste, ha voluto mettere su carta i suoi ricordi,
che sono quelli della sua generazione. L’ha fatto perché occorre ricordare, avere
memoria di come eravamo per comprendere cosa siamo. E l’ha fatto perché gli
spiriti più attenti della nostra generazione si rendono conto che il filo della
memoria è esageratamente esile e fragile. Cito un passaggio della sua
presentazione del libro. Quella attuale, per Costantino “è una società senza chiari modelli di riferimento, confusa e smarrita,
che si concentra […] sull’insano culto dell’io senza lasciare spazio al noi […]
Una società concentrata nel quotidiano individuale, che vive alla giornata.
Senza passato, senza storia e senza alcun progetto di futuro[…]”
Forse una visione eccessivamente pessimistica, che tuttavia
ha ragion d’essere se valutiamo la deriva sociale e politica in cui siamo stati
risucchiati tutti quanti, e della quale la mia generazione, che è anche quella
di Costantino, ha qualche responsabilità. Consideriamo le lotte dell’Arneo,
quando una classe di “ultimi” chiese, pretese ed ottenne in parte di avere un
pezzo di terra che desse a quelle persone la dignità di esseri umani, che
facesse uscire il Salento dal feudalesimo crudele dei baroni e dei proprietari
terrieri che utilizzavano centinaia di ettari di terreni coltivabili come
riserva di caccia, e vediamo oggi, a distanza di oltre cinquant’anni, nuovi
“baroni” tanto simili a quelli antichi che vengono incarcerati perché riducono
in schiavitù altri “ultimi”, i ragazzi che arrivano con scafi di fortuna. Le
domande sorgono spontanee, le conquiste di un tempo, quanto valgono oggi?
Soprattutto, perché la cosiddetta “società civile” consente questi ignobili
comportamenti? Perché un conclamato razzista ricopre importanti cariche in
parlamento? Perché i diritti conquistati nel tempo sono stati tutti risucchiati
e negati da un capitalismo globalizzato che si ritiene invincibile? E potremmo
proseguire a lungo, ma torniamo a Trainella. Il libro è di agilissima lettura,
scritto in modo asciutto, riporta episodi, guaches di personaggi e
comportamenti di Marittima e Diso degli anni fra il 1957 e il 1967, quando la
guerra finita sembrava lasciare posto alla rinascita, ma che vedeva i contadini,
i mezzadri fare una vita meno che dignitosa, spaccarsi la schiena e lottare
ogni giorno per sopravvivere. E lo fa senza enfasi e senza cadere nel tranello
del “Mulino Bianco”, quando i mulini erano bianchi, ben lo sappiamo, i
poveracci crepavano di fame. Racconta, anche con simpatica ironia, la
quotidianità di una famiglia con molti figli, del parto provocato da un
ribaltamento del “traino”, racconta del contrabbandiere, della festa patronale
con gli abiti buoni, della raccolta del tabacco, del trasferimento della
famiglia intera, compreso il nonno fumatore incallito, a Ginosa per la raccolta
sulla “millequattro” con l’autista che stipava tutto l’occorrente per la
sopravvivenza di alcuni mesi e 9 persone a bordo. Un viaggio di ore e ore,
sempre che non ci fossero guasti e che la polizia stradale non fermasse quella
strana auto stracarica per la multa di ordinanza. E ricorda, Costantino, del
daziere che potremmo definire gabelliere, di come il “Don” precedesse il nome
dei figli laureati dei possidenti terrieri. Quelli che studiavano anche se
“ciucci”. E poi il cinema Excelsior dove occorreva andare alle tredici per
prendere posto, ed era indispensabile andarci perché anche le ragazze potevano
farlo, con il beneplacito dei genitori e del prete. E ancora, i matrimoni mai
fatti perché dalla dote mancavano i materassi, o della “fusciuta” (scappatella)
di chi non poteva permettersi la dote e giustificava in questo modo un
matrimonio improvviso. Acquarelli leggeri nella loro pesante realtà, che fanno
sorridere con tristezza. Accompagna per mano a capire, fa vedere con occhi
diversi le bellezze di queste terre e la durezza del lavoro. Soprattutto si
comprende meglio la trasversalità delle storie degli “ultimi”, quelle descritte
da Nuto Revelli nel suo stupendo ed irrinunciabile libro che conserverò accanto
a Trainella: “Il mondo dei vinti” che
racconta la vita dei contadini di Langa, costretti ad emigrare per fare “la
stagione” in Francia da clandestini ovviamente, costretti a nutrirsi di
castagne e a comprare il sale di contrabbando dagli “acciugai”, tutto ciò per
poter dire di avere vissuto. Il mondo, in fondo, è veramente piccolo.
Costantino Nuzzo – Trainella – Minuto D’Arco Editore. €
10.00