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sabato 18 marzo 2017

Slot machines e usura. Domanda ai candidati leccesi

420.000 in Italia le slot machines installate in 83.000 locali “generalisti" (bar, tabacchi, lavanderie a gettone ecc.) 52.000 le videolotery nelle sale per il gioco d’azzardo (la videlotery è molto veloce e consente puntate più elevate, proibita fuori dalle sale dedicate).
A queste si debbono aggiungere le slot  illegali, scollegate dall’erario che sono gestite direttamente dai clan e imposte a commercianti che debbono, spesso vogliono, tenerle nei loro locali. Il loro numero non è ovviamente quantificabile. Hanno la caratteristica di non far vincere quasi mai e di non pagare le tasse dovute con un danno doppio, erariale e personale in quanto le slot ufficiali garantiscono un numero di vincite, se pur poco dignitoso, comunque controllato.
E la Puglia eccelle in questa attività lucrosa per i clan. A Bari, nel gennaio 2017, sono stati sequestrati 82 apparecchi truccati perché scollegati dall’erario. Sette persone sono state denunciate e le verifiche fiscali hanno ricostruito un giro d’affari illegale di 28 milioni di euro in 5 anni.
E ricordiamo che nel 2015 un’operazione antimafia nel Salento portò a 27 arresti e al sequestro di 12 milioni di beni al clan De Lorenzis di Racale che imponevano slot truccate. Il reato di associazione mafiosa venne derubricato, non il danno erariale e ai giocatori d’azzardo.
Questo vorticoso giro d’affari crea ulteriore profitto illegale per quanti, mafiosi o meno, prestano denaro a usura.
Secondo il rapporto InPut dell’EURISPES, che incrociando 23 parametri con variabili socio/ economiche, Parma è la provincia maggiormente afflitta dal fenomeno, seguita da Crotone, Siracusa, Foggia ecc. Lecce si colloca in un poco dignitoso  25° posto su 111 province. Fatto 100 il rischio usura a Parma, a Lecce sarebbe di 64,53. Quindi in posizione molto elevata.
I settori maggiormente afflitti dall’usura sono : le famiglie (30 miliardi di prestiti) Le imprese agricole (2,25 mld), Le imprese di commercio e servizi (5 mld).  Del dato sulle famiglie è fisiologico che una buona parte del dramma derivi dal gioco d’azzardo patologico.
A fronte di questi dati moltissimi Comuni, molte Regioni stanno legiferando per contenere l’azzardo, in particolare imponendo le slot a una distanza minima da scuole, edifici religiosi, circoli per anziani e giovani, bancomat ecc. per regolamentare una materia fin’ora “dimenticata” dallo Stato, e per rendere meno immediata la reperibilità delle stesse.
La Regione Puglia, con Legge Regionale n° 43 del 13 dicembre 2013, all’articolo 7 prevede che:     
1. L’esercizio delle sale da gioco e l’installazione di apparecchi da gioco […] nonché ogni altra tipologia di offerta di gioco con vincita in denaro sono soggetti al regime autorizzatorio previsto dalle norme vigenti.
2. […] l’autorizzazione all’esercizio non viene concessa nel caso di ubicazioni in un raggio non inferiore a cinquecento metri, misurati per la distanza pedonale più breve, da istituti scolastici di qualsiasi grado, luoghi di culto, oratori, impianti sportivi e centri giovanili, centri sociali o altri istituti frequentati principalmente da giovani o strutture residenziali o semiresidenziali operanti in ambito sanitario o socio-assistenziale e, inoltre, strutture ricettive per categorie protette. L’autorizzazione è concessa per cinque anni e può essere chiesto il rinnovo dopo la scadenza.
3. Per le autorizzazioni esistenti il termine di cinque anni decorre dalla data di entrata in vigore della presente legge.
La domanda che si impone è:  può un Comune, deliberatamente non tener conto delle leggi regionali? A Lecce, nella fattispecie, è stata aperta in pieno centro una nuova sala per il gioco d’azzardo  distante 390 metri dalla più vicina scuola (il Quinto Ennio).  Altre due, già esistenti, sono a pochi metri dalla prima e fuori regola, per cui, secondo la legge regionale citata, nel 2018 dovrebbero cambiare sede.
Esiste presso gli uffici comunali una mappatura delle slot esistenti sul territorio? E delle sale gioco? In sostanza, esiste qualcuno che si ponga il problema di normare una materia delicatissima che vede i SERT riempirsi di utenti in preda al gioco d’azzardo patologico, una malattia che costa alle casse pubbliche qualcosa come 6 miliardi annui? E che vede ingrassare gli usurai senza alcun controllo?

L’impressione è che si voglia far finta di non vedere il problema, un Comune può e dovrebbe agire, magari “solo” rispettando le leggi vigenti, e con un po’ di buona volontà copiando regolamenti di altri comuni virtuosi citiamo su tutti Genova, Torino, Anacapri. Sarebbe interessante sapere dai candidati sindaco come intendano muoversi in caso di elezione, se sottostare alle lobbies del gioco d’azzardo legale e non, oppure affrontare il problema del GAP (Gioco d’azzardo patologico) in attesa che dallo Stato Centrale arrivino segnali di regolamentazione sul territorio nazionale.

martedì 14 marzo 2017

Lecce: Solidarietà con la sindacalista minacciata

Ph: rete della conoscenza


La lotta al caporalato è ormai estesa su tutto il territorio nazionale. Da Nardò a Pachino, e più a nord, fino nell’Emilia e per la vendemmia del Moscato d’Asti in Piemonte. Ovunque in Italia si utilizzano persone come fossero oggetti, macchinari. Il reclutamento di mano d’opera scavalca le leggi e gli ordinamenti e si appalta direttamente ai caporali che forniscono uomini e donne, non solo stranieri ma anche italiani, stabiliscono i prezzi, lucrano sulla “mediazione” e sugli stessi lavoratori imponendo loro un prezzo per il trasporto, uno per i panini, uno per l’acqua da bere.  Poi, finita la stagione delle angurie a Nardò, le deportano in Sicilia per i pomodori, in autunno in Piemonte per la vendemmia, con un giro senza fine. E i datori di lavoro veri, i proprietari dei campi, sono italiani, votano in Italia, si lamentano per le tasse italiane, chiedono rimborsi al governo e spesso sono esenti da ticket per reddito basso.
E sono pugliesi, siciliani, calabresi, piemontesi dell’astigiano e dell’alessandrino.
E pagano caporali che girano molto spesso armati, che minacciano chi vuole rendersi conto.
Certo, stupiscono gli atteggiamenti di chi dovrebbe controllare, a volte è talmente tutto alla luce del sole che non ci si rende conto come mai, con controlli serrati e magari verifiche catastali, non si possa giungere all’identificazione dei proprietari dei campi in cui lavorano questi sfruttati.
Tutto pare lasciato al “buon cuore” di sindacalisti attenti che vanno nei campi, che parlano con i lavoratori schiavizzati, che provano ad aiutarli nel rivendicare diritti anche minimi. Spesso mal visti non solo dai caporali, ma anche da taluni amministratori comunali che hanno come stella cometa il detto “da noi la mafia non esiste”, negando così le evidenze, negando che c’è mafia e mafia, che ci sono associazioni propriamente mafiose ed altre che delle mafie assumono i comportamenti pur non essendolo dal punto di vista strettamente giuridico.
E c isono amministrazioni comunali, Nardò giusto per citarne una, che rifiutano sdegnosamente di costituirsi parte civile in un processo che vede alcuni suoi cittadini accusati per l’infamante reato di “riduzione in schiavitù”. Un tempo si diceva “pecunia non olet” ora vien da pensare che neppure i voti puzzano.
Così oggi, anche se con voluto ritardo, esprimo tutta la mia solidarietà con la sindacalista leccese che sempre si è occupata di lotta al caporalato. Perché ha ricevuto, tramite whattsapp la foto di un ratto impiccato. Chiaro ammonimento per chi chiede legalità e diritti elementari.
Il ritardo nell’esprimere la solidarietà è perché se ne riparli, per non far cadere sotto silenzio la vicenda. Perché l’ignobile episodio non faccia la fine della altre minacce ricevute dalla stessa sindacalista in passato. Occorre ricordare, la memoria è preziosa.
La CGIL si è espressa con le parole della segretaria Valentina Fragassi:  “Da tempo abbiamo intrapreso, nel nostro territorio, una lotta in luoghi di lavoro governati da un sistema diffuso di illegalità e sfruttamento. Siamo coscienti che il nostro intervento stia seriamente infastidendo chi lucra sulla pelle di lavoratori e lavoratrici deboli e ricattabili. Una consapevolezza che ci convince ad andare avanti con sempre più determinazione. La strada per i diritti non è mai stata facile, ma non faremo un passo indietro.” E il fatto è stato denunciato alle autorità competenti, tuttavia l’impegno del sindacato, pur indispensabile, necessita della solidarietà di quanti credono in un mondo diverso, espressa in qualunque modo si voglia e si possa fare. Soprattutto con la vigilanza civile e la denuncia delle storture che si vedono.