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sabato 8 agosto 2015

Salento: glossario per turisiti

Tempo di turisti, ecco quindi un breve glossario per districarsi nei vezzi e modi di dire salentini.  I modi di dire sono essenziali, le modalità di interlocuzione servono per comunicare ed è bene non lasciarsi prendere alla sprovvista.
Se entri in un negozio non è raro sentirsi dire “Ciao signore”, non è maleducazione ma accoglienza. “Signore” mantiene un distacco formale dovuto, “ciao” indica proposta di vicinanza, amicizia, disponibilità al dialogo.
Così come quando il salentino doc vuole puntualizzare qualcosa in maniera esplicita, parlando dirà “mò ci vuole”, utilizzato proprio come rafforzativo, esempio: “per cucinare il pesce occorre olio buono, aglio e, mò ci vuole, prezzemolo…”.
Se poi incontri la commessa del “ciao signore” per strada, magari dopo ore e lei ti riconosce ti saluta dicendo non  “come va?” ma  “a posto?” (pronunciato: apposto?) Anche questo è solo un augurio e un auspicio ovviamente. Tutto deve essere a posto, guai a dire che si ha un fastidioso dolorino alla schiena.
E i rafforzativi non mancano, non è raro sentirsi chiamare in causa con un semplice “sai?” Quando, per esempio si vuole sottolineare un concetto anche semplice “oggi ho mangiato polpette, sai?” sottendendo “dico proprio a te e voglio la tua attenzione e la tua solidarietà”.   Per contro esiste il “non sai?” utilizzato come il “sai” ma come rafforzativo di un concetto “Non sai? Oggi c’è stato un temporale fortissimo”.
Esistono, in Salento, i pampacioni, lampascione (o lampacione) in italiano, si tratta di piccoli bulbi della famiglia delle liliacee, si chiamano anche cipolle canine. Ricchissime di Sali minerali sono consumati soprattutto in Puglia e Basilicata. Data la loro forma irregolarmente sferica, con il loro nome si definiscono anche parti anatomiche maschili riferendosi magari a persone. “Sei proprio un pampacione”. La cosa può essere soft o rude. Nel primo caso significa “sciocco, cretinetti, stupidotto”. Nel secondo caso, con accezione decisamente rude significa proprio c… “quel tipo è proprio un lampacione!”
Altro rafforzativo usuale è il raddoppio della parola, “vieni avanti piano piano” “versami il vino, poco poco però”. Oppure per indicare continuità “salivo dagli scogli appoggiandomi sulle rocce sporgenti” può diventare “salivo pietra pietra”.
E non ci si stupisca se si sente la parola “poppetu”. Di derivazione latina “post oppidum”, a Lecce Lecce viene utilizzato  (veniva in realtà, ora lo si sente meno) per indicare i non cittadini, soprattutto quelli che arrivavano dal capo, quasi a dire “contadini, buzzurri”. Così come quando si incontravano due salentini in qualche luogo diverso dal Salento “Di dove sei?” “di Lecce” “Lecce Lecce?” il raddoppio era rafforzativo, indicava i cittadini veri e non i provinciali. Per qualcuno se non eri di Lecce Lecce diventavi tout court un Poppetu.
“Mai sia che andiamo al mare alle nove di mattino…” Eh si, il mare per quelli di Lecce Lecce si frequenta dalle 12 in avanti, si parte con il sole più torrido, si viaggia il tempo necessario e si arriva stremati al mare per poi stendersi su sabbia o rocce, in alcuni casi su massi in cemento che hanno una temperatura che si aggira sugli 80 gradi. E’ il famosissimo “effetto braciola” noto in tutta Lecce. Chi va al mare al mattino presto è considerato, a seconda dell’età anagrafica, un vecchio (rincitrullito?) o un poppetu, i veri cittadini scendono in quelle ore, gli intelletuali con il “Quotidiano di Lecce” sotto il braccio, disquisendo di varia umanità e fermandosi al bar per il caffè in ghiaccio e la sigaretta. Si aspetta così l’arrivo delle 18, rosolandosi al sole d’agosto, bagnandosi di tanto in tanto e dicendo ogni giorno le cose del giorno prima, anche perché gli argomenti di conversazione, dopo una settimana di intimità da graticola, mancano. E gli argomenti immancabili, i veri pezzi forti di una giornata al mare sono: il vento, se è scirocco o tramontana farà molto cald oo meno caldo. Se non è uno dei due diventa un problema che si risolve quasi sempre cn un “ponente” o “levante”. Chi non conosce i punti cardinali lo chiama vento e basta. Altro punto fermo di conversazione, ovviamente, il mare, se è pulito, sporchetto, caldo (mai come quest’anno si dice ogni anno, siccome la cosa dura da decenni il mare dovrebbe essere sui 70 gradi).*
E quel “mai sia” è un’altra allocuzione che accompagna molti discorsi, anche qui il rafforzativo è d’obbligo, come si evince. “Spaghetti con le cozze bianchi?” “Mai sia! Devono essere rossi”, la cosa non ammette contraddizione. E se dici cose bizzarre, strane, ti puoi sentir dire “mena me, mendularu” (vai vai raccoglitore di mandorle, dove quest’ultimo è inteso come poveraccio, pezzente).



*I discorsi da spiaggia sono comunque uguali in ogni dove, non sono una peculiarità salentina.

mercoledì 5 agosto 2015

Donna Donna - Donovan

                                         Anni '60... Ricordi!




               

domenica 2 agosto 2015

Viaggi in treno, bombe e centostazioni

Stazione di Alessandria, ho una valigia ed uno zainetto, diamine, in Salento porto un paio di bottiglie di barbera, in aereo è proibita anche l’acqua minerale, colpa dei talebani! Fra l’altro è istruttivo leggere l’elenco delle cose che è proibito portare come bagaglio a mano: esplosivi, decespugliatori e via dicendo. Ogni volta che salgo debbo con rammarico lasciare a casa il mio decespugliatore personale.
Ma siamo in stazione di Alessandria,  cerco l’edicola, macchè, neppure l’ombra di un chioschetto, altro che lo scintillio delle centostazioni, quando ero giovane ce n’erano ben due, una nell’altrio l’altra al binario uno. E che diavolo, almeno uno straccio di giornale. Entro dal tabaccaio “Scusi, l’edicola dove è finita?” “Ha chiuso, colpa di centostazioni. Mettono affitti da capogiro, si guardi attorno, tutti chiusi i negozi e i punti vendita, pochi resistono con questi prezzi”. Ecco, penso che lasciare senza edicola una stazione ferroviaria sia un insulto vero e proprio al buon senso. “Perché non prendete voi la rivendita di giornali?” “Lo chieda a centostazioni, vogliono che affittiamo un altro locale, mica siami masochisti. Comunque se vuole girare per la città a cercare un’edicola si porti le valige, il deposito bagagli è stato abolito, misure antiterrorismo”. Per dirla tutta a me pare che i terroristi c’entrino ben poco, forse è per acquisire spazi per fare nuovi negozi da lasciare sfitti. Discorso spinoso, comunque sia il viaggiatore s’arrangi un po’, c’è l’ISIS che giustifica ogni nefandezza. In stazione, in periodo di ferie, ci sono centinaia di valige…  D’altra parte siamo abituati a tutto, un tempo si andava all’ufficio postale a pagare le bollette e spedire pacchi, ora ci vai a comprare uno scooter o un cellulare. Ah la modernità. Aspettiamo le offerte speciali “ogni cinque bollete pagate accumuli 1 punto, ogni 5000 punti in regalo un set di piatti o, a scelta, una confezione famiglia di preservativi colorati”
Alessandria – Lecce il treno si chiama Freccia Bianca. C’è l’aria condizionata nella nostra carrozza, passando per andare alla carrozza bar mi accorgo che là boccheggiano, non esiste refrigerio.
Il treno viaggia senza intoppi, accumula un risibile ritardo di 10 minuti che sicuramente recupererà presto. La lettura è piacevole, il computer acceso per leggere appunti e scriverne altri, la conversazione con i vicini è pure pacatamente amena, si parla della fede “io vado a messa ogni giorno” “io no, anzi proprio mai…”, dei figli “il mio sta in provincia di Torino, sa com’è, il lavoro…” poi sale Giulia, una splendida donna di sette anni con il papà, lei sta di fronte a me, parla e disegna. Fuori dal finestrino la campagna della immensa Pianura Padana passa con i suoi mille verdi, il colore della terra arata, le viti romagnole che fanno un vino improbabile (ma questo non si dice, si pensa solamente). A Bologna si scende per qualche minuto, il treno ferma a lungo. La stazione è tutt’una impalcatura e transenna “ci scusiamo per il disagio, ma stiamo lavorando per mettere le scale mobili”. Non male veramente, chissà se i negozi sono affittati qui, mi chiedo.
Il treno è dignitosamente pieno di vacanzieri, studenti del sud che tornano per l’estate dopo esami e lezioni, ascoltarli ridere è stupendo. A Pescara fermata di rito che si prolunga, dopo una decina di minuti l’annuncio “il treno subirà un ritardo di 15 minuti causa allarme bomba in linea, la polizia e i vigili del fuoco stanno lavorando per verificare” i 15 minuti diventano 30, 60 arrivano a 120. Nessuno inveisce contro nessun altro, un allarme bomba è roba troppo seria per prendersela con le ferrovie. Chissà chi è l’imbecille che ha telefonato, mi chiedo. E ricordo altri tempi, in cui nessuno chiamava ma i treni saltavano in aria. Ricordo e immagino lo scempio, guardo Giulia, ascolto i ragazzi che tornano a sud e mi dico che c’erano altre Giulia ed altri ragazzi su quei treni. E la rabbia monta pensando che dietro tutto quello scempio c’erano pezzi di Stato, di servizi segreti che arruolavano fascisti. Immagino la devastazione e ho davanti agli occhi una ripresa televisiva dopo la strage dell’Italicus: una bambola fra i binari. Terrificante!
A Lecce si arriva dopo rallentamenti vari e con 122 minuti di ritardo. Allarme bomba!