Mentre per tutta la domenica si susseguono notizie,
smentite, un inquirente di Brindisi che dice “cade la pista mafiosa” e a ruota
il procuratore Cataldo Motta in altra sede “chi dice che cadono piste mafiose?”
sui giornali si tentano analisi. Non sappiamo chi sia stato il criminale di
Brindisi, tuttavia pensare agli accadimenti può essere un buon esercizio per
tentare di capire cosa può succedere.
Su il Fatto Quotidiano on line (http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/05/19/strage-brindisi-l%E2%80%99identik-mandanti/234784/)
un interessante articolo di Enzo Di Frenna propone l’ipostesi che ad agire a
Brindisi non sia stato uno sconsiderato, ma neppure la SCU o Cosa Nostra,
piuttosto una criminale commistione in quella che il giornalista chiama la
“cupola nera” che incrocia interessi di Massoneria, politica corrotta, finanza
speculativa e pezzi di servizi segreti deviati. Un mix micidiale che, in nome e
per conto del business e del potere ad ogni costo non guarda in faccia a
nessuno. La bomba di Brindisi poteva essere molto più imponente e devastante di
quanto non sia stata, poteva fare strage di decine di ragazzi. Questo gli
attentatori lo sapevano e probabilmente lo volevano. Intanto, come urlava Don
Ciotti, sgomberiamo il campo dall’ipotesi del gesto folle, questo è omicidio
premeditato e voluto, anzi, questa è tentata strage, esattamente come quella
delle bombe nelle stazioni e sui treni, esattamente come piazza Della Loggia.
Ho in mente un fotogramma dopo la strage sull’Italicus, una
bambola fra i binari, probabile giocatolo di una bimba che su quel treno
viaggiava, come gli zainetti di Brindisi. Non siamo inquirenti, però vediamo,
pensiamo, soffriamo per i ricordi cupi. A Brindisi sento una puzza terribile di
Via Dei Georgofili a Firenze, San Giovanni in Laterano a Roma, sempre a Roma
San Giorgio in Velabro. Tutti nel 1993, tutti con padrini della mafia
siciliana. Allora la politica era in crisi, la Democrazia poteva far saltare i
collegamenti privilegiati fra i padrini e ambienti del palazzo romano. Le bombe
erano lo strumento con cui Totò Riina voleva imporre la trattativa fra Stato e
mafia.
Poi la politica è andata nella direzione che conosciamo, la
classe dirigente è rimasta inossidabile al suo posto e ad essa si sono aggiunti
pezzi da 90 della loggia P2 che si sono assunti il compito di portarne a
compimento il programma senza badare a spese. Il piano di Rinascita di Licio
Gelli prevedeva lo scardinamento di principi costituzionali e lo stravolgimento
stesso delle regole democratiche, le commistioni fra piduisti e mafia sono cosa
nota e acclarata. E’ stato in questo modo che una cupola metteva controllori
nei palazzi che contano, a partire da Mangano ad Arcore, per arrivare alla
longa manu di alcuni consiglieri del
padrone, che tiravano le fila dei
rapporti fra nuovo stato e mafie.
Con il nuovo corso i clan si sono messi l’animo in pace ed
hanno proseguito il loro percorso. Oggi la situazione è molto simile a quella
di allora, siamo in una crisi economica epocale, i referenti delle cosche
rischiano di venire estromessi dai governi tecnici, pur rimanendo azionisti di
maggioranza del governo in carica, e gli equilibri rischiano di saltare. Quella
commistione di cui parla Di Frenna pare quindi plausibilissima da questo punto
di vista. Rimane il fatto che hanno alzato il tiro in modo ignobile, colpendo
ragazzine davanti ad una scuola. E pare
quanto meno bizzarro lo sforzo di alcuni parlamentari di richiamarsi in
continuazione al “gesto di un folle”. Se
la tesi di Di Frenna è plausibile, come temo, siamo di fronte ad un vero e
proprio atto di guerra al quale si deve rispondere con la forza della
democrazia, piuttosto che con paventate militarizzazioni del territorio,
soprattutto a partire dal ripristino delle regole che governano la
partecipazione, a partire dalla riconquista di una legge elettorale dignitosa,
dal riportare la crisi economica in un alveo meno assassino per chi ha meno,
soprattutto a ridiscuterne i fondamentali. La finanza è oggi il dominus
incontrastato dei mercati, e prescinde dalla produzione di merci e di
benessere, basti pensare che i cosiddetti derivati (speculazioni finanziarie)
superano per quantità di oltre sette volte il PIL mondiale. Significa che si
produce 100 e circola denaro pari a 700, solo che non c’è redistribuzione
alcuna. Questo gap tende a rompere definitivamente ogni rapporto di solidarietà
e, alla fine, di umanizzazione dei rapporti.
A questo punto il “gesto di un folle” sarebbe il male
peggiore, però l’efferatezza del gesto, il nome della scuola, il giorno
particolare, tutto ha la netta fisionomia di un messaggio in perfetto stile
mafioso. E quando politica, finanza, massoneria e mafie lavorano assieme
neppure l’Europa può stare tranquilla. Anche perché le infiltrazioni al nord
che hanno inquinato tutti i partiti che stanno nei governi locali (emblematiche
le commistioni con la lega ladrona) hanno già messo in ginocchio buona parte
dell’economia e della finanza italiana.
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