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lunedì 6 febbraio 2012

Nostalgia del futuro


PEDAGOGIA DEGLI OPPRESSI (Le staffette)

Nostalgia del futuro. Ne parlò in tempi altri Paulo Freire (Recife, 1921 - 1997) Autore de “La pedagogia degli oppressi”. Grande pedagogista che stava dalla parte degli ultimi, che concepiva la pedagogia come strumento per superare barriere e dare una possibilità. Concetto alto di educazione insomma.
  [...]  Se gli uomini trasformano il mondo dandogli un nome, attraverso la parola, il dialogo si impone come cammino per cui gli uomini acquistano significato in quanto uomini.
Perciò il dialogo è un'esigenza esistenziale.  E se esso è l'incontro in cui si fanno solidali il riflettere e l'agire dei rispettivi soggetti orientati verso un mondo da trasformare e umanizzare, non si può ridurre all'atto di depositare idee da un soggetto all'altro, e molto meno diventare semplice scambio di idee, come se fossero prodotti di consumo.

Emmaus (Universale economica)
[...]  Non esiste dialogo però, se non esiste un amore profondo per il mondo e per gli uomini. Non è possibile dare un nome al mondo, in un gesto di creazione e ricreazione, se non è l'amore a provocarlo. L'amore, che è fondamento del dialogo, è anch'esso dialogo.

[...]  Se non amo il mondo, se non amo la vita, se non amo gli uomini, non mi è possibile il dialogo.

[...]  Se il dialogo è l'incontro degli uomini per "essere di più", non può farsi senza speranza.

La speranza  in un futuro migliore, meno intriso delle diseguaglianze attuali. Un futuro da conquistare con la forza della conoscenza. In modo molto più rozzo e decisamente meno intrigante e con intenti neppure troppo diversi si diceva negli anni 70: “L’operaio conosce cento parole, il padrone mille, per questo lui è il padrone” .
Quindi Nostalgia di quel futuro. Una contraddizione in termini, un non senso? In fondo la nostalgia si ha delle cose che mancano ma che abbiamo conosciuto. E forse potrebbe essere anche questa una forma di saudaji.  Freire era brasiliano. Non penso sia un non senso, anzi, possiamo e forse dobbiamo averne “nostalgia” di quella possibilità in più.
Ne parlava anche  Baricco nella presentazione del suo libro “Emmaus”. Qui il significato era altro, talmente antitetico da essere anch’esso plausibile, quasi l’incontro di due opposti. Quasi nutella spalmata su creckers salati. L’adolescenza, secondo Baricco, è il momento più alto della vita. Qualcuno sostiene che dopo i vent’anni non possiamo che vivere di rendita. Tutte le esperienze le abbiamo incamerate nei primi anni, il resto è valore aggiunto. Negli anni tumultuosi dell’adolescenza siamo subissati da stimoli a crescere, a “prepararci un futuro”, talmente spinti da non renderci conto di quel che ci accade. Emmaus. La cena in cui i convitati non si rendono conto che l’altro commensale è il Cristo risorto. E quando lo capiscono lui è sparito. Proprio come quegli anni, e proprio quelli. Non a caso l’amore più intrigante è il primo. Come la prima sigaretta, come il primo vino che ci ha fatto ubriacare. Sono sensazioni ed emozioni che non si scordano. E che non si ripetono.   Molto sta nel gioco intrigante della nostalgia del futuro. Quello spirito presuppone una impossibilità di questa nostalgia, una predeterminazione che renderebbe la vita, nella visione di Freire, meno degna di essere squarciata, vissuta.  
L’accezione di Baricco è invece altra cosa. Forse meno intrigante come “nostalgia”, sicuramente importante se parliamo di vita quotidiana. Qualcuno scriveva un giorno dal Centro America “gli europei vivono ieri e domani, qui si vive oggi”. Il brutto rapporto che abbiamo con il presente, con il “qui ed ora” ci porta a vivere domani. Perché forse sarà meglio. Non costruzione di quel futuro di cui parla Freire, da fare mattone dopo mattone, da creare, da plasmare, speranza che qualcosa accada. Quasi fossimo, appunto, guidati dallo spiritello, magari con la speranza che la sua malignità sia clemente.
In entrambi i casi termino qui la bizzarria di questi pensieri, proseguendo ad ascoltare un grande piemontese che in questo momento canta “dammi un sandwich e un po’ di indecenza”.  

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