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sabato 14 gennaio 2012

Ricordando Violeta Parra


Non esistono vite banali, perché ogni vita è meravigliosamente unica e preziosa. Tuttavia alcune persone lasciano segni indelebili per la storia e per la cultura di tutti noi. La nostra conoscenza allarga i suoi orizzonti anche grazie a queste persone. Storie che si intrecciano con altre storie, vite che   arrivano a svolte incomprensibili. Non ci si deve porre il problema del perché e del come. La grandezza occorre accettarla così com’è, senza condizioni, senza “distinguo”, senza pregiudizi e, soprattutto, senza giudicare. Ho letto la storia della vita di Violeta Parra e ve la ripropongo senza nulla aggiungere. Vale la pena leggerla.   
Violeta Parra nasce il 4 ottobre 1917 , terza di nove figli, in una remota provincia del Cile. Il padre, insegnante di musica ed appassionato della canzone popolare, le trasmette la capacità musicale. All’età di tre anni si trasferisce con la famiglia a Santiago del Cile. A 6 anni inizia a cantare nei locali per aiutare economicamente la famiglia. A 9 anni impara a suonare la chitarra. E a 12 compone le sue prime canzoni. Si diploma maestra elementare e a 23 anni si esibisce in un teatro di Santiago e pubblica i suoi primi dischi. La passione per la musica popolare e per la ricerca sul campo la portano a contatto con la gente e con la sua maturazione politica. Per lungo tempo viaggia nel Cile, dal deserto al gelo del sud. Questo infinito viaggio le permetterà di mettere assieme i canti popolari cileni che saranno la spina dorsale di tutto il suo lavoro di ricercatrice. In un secondo viaggio nel paese conosce il sottoproletariato e il proletariato urbano e contadino. Intanto si dedica, oltre che alla musica, anche alla ceramica e alla pittura. I suoi quadri sono esposti anche al Louvre, ed è la prima artista dell’America latina ad averne l’onore. Nel 54 viene proclamata miglior cantante folk dell’anno. quindi parte per l’Europa e partecipa a festival in Polonia, URSS, Inghilterra e Francia. Durante questo viaggio perde la figlia Rosita Clara. Tornata in Cile inizia a scrivere la sua autobiografia. Tiene conferenze nelle università cilene sempre accompagnata dai figli Isabel e Angel con i quali inizia un sodalizio artistico che durerà fino alla sua morte.


Negli anni 60 si avvicina al Partito Comunista Cileno e la sua produzione musicale diventa violentemente rivoluzionaria ed anticlericale.
A Santiago vive in una tenda da circo per ristrettezze economiche, tutto quel che aveva lo utilizza per il suo lavoro di ricerca e nel suo centro di ricerca del folklore e dell’arte popolare
Nel 66 tiene i suoi ultimi concerti. Durante uno di questi una donna del popolo, che aveva notato la sua difficoltà con la sedia di scena, (Violeta era alta 1,50) ne costruisce una adatta a lei..
Su quella stessa sedia verrà trovata suicida il 5 maggio 1967.
Durante la sanguinosa dittatura di Pinochet i suoi due figli saranno esuli in Italia come gli Inti Illimani.
Le canzoni di Violeta Parra sono state cantate dai suoi figli Angel e Isabel Parra, ma anche da Mercedes Sosa (Argentina), Elis Regina e Milton Nascimento (Brasil), Joan Manuel Serrat (España), Silvio Rodríguez (Cuba), Joan Baez (Stati Uniti), e da molti altri, fra cui, in Italia, da Gabriella Ferri.
La canzone che la portò agli onori del mondo fu “gracias a la vida” considerata, un meraviglioso e commovente  testamento spirituale: 



« Gracias a la vida, que me ha dado tanto
Me dió dos luceros, que cuando los abro
Perfecto distingo, lo negro del blanco
Y en el alto cielo, su fondo estrellado
Y en las multitudes, el hombre que yo amo

Gracias a la vida, que me ha dado tanto
Me ha dado el oído, que en todo su ancho
Graba noche y día, grillos y canarios
Martillos, turbinas, ladridos, chubascos
Y la voz tan tierna de mi bien amado

Gracias a la vida, que me ha dado tanto
Me ha dado el sonido y el abecedario
Con él las palabras que pienso y declaro
Madre, amigo, hermano y luz alumbrando
La ruta del alma del que estoy amando

Gracias a la vida, que me ha dado tanto
Me ha dado la marcha, de mis pies cansados
Con ellos anduve, ciudades y charcos
Playas y desiertos, montañas y llanos
Y la casa tuya, tu calle y tu patio

Gracias a la vida, que me ha dado tanto
Me dió el corazón, que agita su marco
Cuando miro el fruto, del cerebro humano
Cuando miro el bueno tan lejos del malo
Cuando miro el fondo de tus ojos claros


Gracias a la vida, que me ha dado tanto
Me ha dado la risa, y me ha dado el llanto
Así yo distingo, dicha de quebranto
Los dos materiales que forman mi canto
Y el canto de ustedes que es el mismo canto
Y el canto de todos que es mi propio canto
Gracias a la vida, que me ha dado tanto. »


« Grazie alla vita, che mi ha dato tanto,
mi ha dato due occhi che quando li apro
distinguo nitidamente il nero dal bianco,
e nell'alto cielo il suo sfondo stellato
e nella folla l'uomo che io amo.

Grazie alla vita, che mi ha dato tanto,
mi ha dato l'udito che in tutta la sua apertura
registra notte e giorno grilli e canarini,
martelli, turbine, latrati, burrasche
e la voce tanto tenera del mio beneamato.

Grazie alla vita, che mi ha dato tanto,
mi ha dato il suono e l'abbecedario.
Con esso le parole che penso e dico:
madre, amico, fratello e la luce che illumina
la rotta dell'anima di chi sto amando.

Grazie alla vita, che mi ha dato tanto,
mi ha dato la marcia dei miei piedi stanchi.
Con essi ho percorso città e pozzanghere,
spiagge e deserti, montagne e pianure
e la casa tua, la tua strada, il cortile.

Grazie alla vita, che mi ha dato tanto,
mi ha dato il cuore che agita il suo involucro,
quando guardo il frutto del cervello umano,
quando guardo il bene così lontano dal male,
quando guardo il fondo dei tuoi occhi chiari.

Grazie alla vita, che mi ha dato tanto,
mi ha dato il riso, e mi ha dato il pianto.
Così io distinguo gioia e dolore,
i due materiali che formano il mio canto
e il canto degli altri che è lo stesso canto
e il canto di tutti che è il mio proprio canto.
Grazie alla vita, che mi ha dato tanto. »


(6/3/2008)
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