Quelle che seguono sono poche pagine di un pezzo che
pubblicai su un sito di Alessandria nel giugno 2009 (www.cittafutura.al.it) . Le considerazioni e
l’intervista a Raffaele Bruno sono, purtroppo, di strettissima attualità.
Abbiamo letto di fuochi d’artificio per festeggiare la scarcerazione di
personaggi della SCU in Salento, leggiamo di negozi che vanno a fuoco, auto che
bruciano. E ormai sappiamo come funzionano le cose. Droga, pizzo e altre
porcate simili servono alle mafie per procurarsi denaro da utilizzare per
acquistare aziende, per creare business soprattutto a nord. Le economie mafiose
stanno ovunque, dal tranquillo Trentino alla Sicilia. Troppe volte si sente
dire che le mafie sono problemi di altri, purtroppo la crisi economica, il
proliferare di “compro oro” di luoghi per il gioco anche legale, di
“finanziarie” sono segnali inquietanti. E purtroppo gestioni “leggere” di
grandi patrimoni creano veri e propri vulnus per la società nel suo insieme. Si
sente parlare di massoneria nell’affaire filobus a Lecce, entra negli atti
giudiziari per la prima volta. E sappiamo come a volte i poteri paralleli
finiscono con il colludere negli interessi e di mischiare le carte. Muri di
gomma ovunque. È vero che la massoneria ha in mano buona parte della politica
leccese? Non lo so, tuttavia sento insistenti voci che sussurrano, mormorano.
Senza che nessuno smentisca. “Perchè non c’è nulla da smentire” mi viene detto.
Sarà, dobbiamo credere sulla parola. Le righe che seguono le metto senza alcuna
correzione. I riferimenti al nord sono ovviamente dovuti al sito che mi
ospitava.
A noi la mafia piace
Mi sento a
disagio a scrivere di mafie dopo aver visto Saviano in TV, e dopo aver
ascoltato la voce di Raffaele Bruno.
Concordo con Soro, che in queste pagine ha scritto, (www.cittafutura.al.it) che Saviano sarebbe un uomo da votare. Come da
votare sarebbe Raffaele Bruno. Per il loro impegno, ma soprattutto perché hanno
il carisma dell’onestà etica e intellettuale che troppi politici di professione
hanno perso da tempo. Però penso che il posto che attualmente ricoprono
entrambi sia assolutamente insostituibile. Invece di votarli e farci
rappresentare da loro, forse il nostro dovere di persone attente a quel che
accade, è quello di chiedere loro di non spegnere la loro voce. E di aiutarli
con umiltà e determinazione, facendo da cassa di risonanza per le cose che
fanno e dicono, di scriverne, parlarne. Perché il silenzio è congeniale alle
mafie. Perché le mafie contro i loro nemici usano una collaudata tecnica: prima
diffamano insinuando voci sul loro conto (emblematico il caso di Don Peppe
Diana che, diceva un noto quotidiano, andava a letto con due donne per volta),
poi lavora per far calare su di loro il silenzio. Non li possiamo votare ma
possiamo eleggerli comunque come nostra voce, possiamo aiutarli a “tenersi
accesi”. Far sentire loro che noi ci siamo. Essere contro le mafie non è
partecipare ad una manifestazione per poi dedicarsi ad altro. Significa
guardare, osservare, denunciare se è il caso. Per chi insegna vuol dire fare
dei distinguo netti e quotidiani nella scuola fra comportamenti mafiosi,
mafiogeni, rassegnati, che aiutino a rivendicare diritti e a rifiutare
sottomissioni e prevaricazioni.
“Le
organizzazioni mafiose sono presenti e solide nel Nord Italia da decenni,
soprattutto in Lombardia e Piemonte. Le analisi più recenti della Direzione
nazionale antimafia segnalano consistenti presenze mafiose in Liguria, Valle
d’Aosta e persino in Trentino-Alto Adige. A Milano, per esempio, l’arrivo di
Cosa nostra risale agli anni Cinquanta, quando si stabilì in città Giuseppe
Doto detto Joe Adonis, mafioso espulso dagli Stati Uniti. Luciano Liggio, il
capostipite dei Corleonesi, abitava stabilmente a Milano quando fu arrestato
nel 1974. E pochi ricordano che nel 1983 fu la ‘ndrangheta piemontese a
uccidere il procuratore capo di Torino Bruno Caccia.” (Mario Portanova, giornalista e autore del
libro: Mafie a Milano – editori riuniti)
“A noi la
mafia piace” (Peppino Impastato) .
“C’è una
mafia di ammazzamenti ed una di atteggiamenti” (Sciascia).
”Io sono per
il mantenimento della mafia e della ‘nadrangheta. Il sud deve darsi uno statuto
poggiante sulla personalità del comando. Cos’è la mafia? Potere personale
spinto fino al delitto. Non voglio ridurre il meridione a livello europeo,
sarebbe un’assurdità. C’è anche un clientelismo buono che determina crescita
economica. Insomma, bisogna partire dal concetto che alcune manifestazioni
tipiche del sud hanno bisogno di essere istituzionalizzate” (Gianfranco Miglio,
già teorico della lega nord).
“…Le mafie
stanno proliferando al nord, soprattutto nelle zone più ricche…” “…C’è ritardo
da parte della giustizia e della società civile a comprendere il fenomeno…” (Da
una relazione del 1993 di Carlo Smuraglia della commissione antimafia).
2001:
Guttadauro, capo mafia siciliano, scopre una cimice nel suo covo. Prima di
distruggerla viene intercettata la frase “Totò Cuffaro aveva ragione”. Cuffaro
viene denunciato e pochi mesi dopo candidato al Senato della Repubblica. Sempre
Guttadauro: “Speriamo che vinca Berlusconi, per risolvere i suoi problemi deve
risolvere anche i nostri”.
Pietro
Grasso (Procuratore della Repubblica) : “ al nord la mafia fa parte del
sistema, al sud è il sistema”.
Ayala
intervistato al tg: “non riusciremo a
sconfiggere la mafia altrove se non la colpiamo a Roma”
Questa è una
serie di “perle” che riassumono, sia
pure in modo molto approssimativo in quanto la bibliografia è molto ampia,
alcuni concetti espressi dai relatori di una conferenza tenuta da Rita
Borsellino e altre personalità del mondo dell’università e della lotta alle
mafie a Lecce. Una nota positiva era quella sala stracolma di ragazze e
ragazzi. Noi meno giovani eravamo, per fortuna, una minoranza residuale. Non si può parlare di mafia come quel fenomeno
del sud fatto di coppola e lupara. Oggi la criminalità organizzata è finanza e
affari. E non si può parlarne senza affondare le mani nella politica. Perché
gli affari e l’alta finanza devono necessariamente essere rappresentati ad ogni
livello. D’altra parte stiamo dicendo di una realtà che gestisce il 15/20% del
PIL (fonte della magistratura che indaga).
Da dove arriva questo denaro? Arriva anche dallo schiavismo al quale
assistiamo ogni giorno tutti quanti, al nord come al sud. Quelle ragazze che
vediamo ai bordi delle strade sono schiave delle mafie. E sono li perché il
rapporto domanda offerta è alto e produttivo. Chi porta soldi a quel mercato è,
di fatto, una persona a cui la mafia piace proprio tanto. Con buona pace di
quei signori che diranno “sono i terroni che ci hanno portato la mafia” noi
rispondiamo tranquillamente che i clienti, magari padani, di queste ragazze
portano soldi alla mafia sapendo perfettamente quel che stanno facendo. E che
sono, quindi, conniventi e funzionali alla malavita. Lo stesso vale per la droga, lo stesso per
l’usura, per i rifiuti tossici, per operazioni in borsa non controllate e via
dicendo. Il piccolo spacciatore che
vende per procurarsi la dose è, come la ragazza ai bordi della strada, schiavo
delle mafie. E’ un manovale. Mafioso e
amante della mafia è il grossista che gliela procura. E forse parlare di
togliere dalle mani di queste persone quei ragazzi e quella merce non sarebbe male. Legalizzazione piuttosto
che liberalizzazione. Ma siamo incartati in una politica che non vuole o non sa
sentire. Anche per quella politica, dire “mafia è bello” non è poi così
lontano. Il problema di coscienza invocato per il testamento biologico non se
lo pongono per togliere quei ragazzi dalle mani delle mafie? Volendo pensar
male ci sarebbe molto da dire. E non
possiamo parlare di mafie senza dire di etica e di comportamenti. “A noi la
mafia Piace” è omertà. E’ sapere e fare
finta di nulla. E’ accettare il favore. E’, come spiega Raffaele Bruno, avere
da lei concessioni che sono solo quei diritti che dovrebbe garantirci lo Stato.
Quando la raccomandazione diventa prassi, si innesca un processo non mafioso in
senso stretto, piuttosto mafiogeno. Il raccomandato diviene debitore. Un buon amministratore pubblico è tale perché
rende un servizio alla società o perché fa assumere da un ente gli amici e i
suoi pupilli? Se parlando del sud
chiamiamo questo “comportamento mafiogeno”, come vogliamo chiamarlo al nord? Una ASL che fa smaltire i rifiuti ospedalieri
al massimo ribasso senza badare a dove vanno a finire una volta caricati sui
camion, è diversa da quell’industriale che non esita ad appaltare a costo basso
i suoi rifiuti tossico nocivi fregandosene delle regole, dell’ambiente, delle
persone che berranno l’acqua delle falde inquinate da lui? O dei pomodori annaffiati con quella stessa
acqua, che gli verranno poi serviti al primo pranzo di lavoro in un ristorante
magari molto esclusivo? “Dottore, questi
pomodori sono italiani, arrivano dalla Puglia”.
La mappa delle mafie al nord è variegata, non c’è regione che non ne sia
colpita. Cito, giusto come esempi, Buccinasco, dove nel 93 vengono sequestrati
alla famiglia Papalia beni immobili per 150 miliardi di lire. E ricordo il
Piemonte dove prolifera da antica data la ‘ndrangheta. Proprio il Piemonte ha
un triste primato: il comune di Bardonecchia è stato il primo al nord ad essere
commissariato per infiltrazioni mafiose. Inoltre è nota una forte presenza
delle ‘ndrine calabresi in Liguria (droga e smistamento latitanti oltre
confine). Valle d’Aosta (Turismo)- Trentino (Passaggio di droga dai confini).
Veneto (riciclaggio, droga, estorsioni). Emilia (Imprenditoria, movimento
terra, bische, droga, usura). Toscana (Coca, armi). E l’elenco difetta
sicuramente.
Dalle
relazioni delle commissioni relative al 2003 evidenzio questi dati:
I delitti di
stampo mafioso denunciati sono stati in Italia: 1241.
Di questi:
557 (45%) nelle quattro regioni storicamente
in mano alle mafie (Sicilia, Calabria, Puglia, Campania).
399
(35%) nelle regioni del nord (Lombardia, Toscana, Emilia, Piemonte,
Liguria, Valle D’Aosta, Veneto, Trento e Bolzano). Le rimanenti sparse fra le
altre regioni.
Nello stesso anno le persone denunciate sono
state 14526.
Di queste:
6894 (48%) nelle regioni del sud.
5655 (38%) in quelle del nord. Da notare che il
Piemonte si posiziona al secondo posto (2366 persone denunciate) dietro solo
alla Sicilia (2541) e prima della Campania (2122).
E ricordiamo
che la Lombardia occupa il quinto posto per beni sequestrati e addirittura il
secondo per aziende sequestrate, appena alle spalle della Sicilia.
Leggendo
questi dati non si può evitare di notare come il problema criminalità
organizzata non riguardi solo una parte dell’Italia, ma sia ormai trasversale
da nord a sud e ora anche in Europa. Soprattutto oggi, con la fusione di mafie
nostrane con quelle russe, albanesi e via dicendo. Perché le mafie hanno ben
compreso ed assimilato il concetto della globalizzazione più pura: andare dove
domanda e offerta si incontrano. Mafia non è un signorotto siciliano con
coppola e lupara. Oggi sono enti, società, consigli di amministrazione che
gestiscono flussi di denaro . E i capitali molto spesso non sono facilmente
controllabili.
E mafia “è anche non parlare di mafia” ci ricorda Raffaele Bruno di Libera. Perché
non vedere e non parlare di mafia riconduce a quel: “A noi la mafia piace”.
Perché tacerne significa lasciarla lavorare in pace. Molto spesso vuol dire non voler vedere.
Perché mafia è anche omertà.
E, dice Rita
Borsellino, “non conosciamo tutta la verità sulle mafie perché non ce le
vogliono far conoscere. Emblematico il caso di Portella delle Ginestre, dove il
bandito Giuliano massacrò contadini che festeggiavano il primo maggio e
l’ottenimento delle terre dai latifondi. In quel caso Giuliano è utilizzato da
qualcuno contro il PCI, per mettere in chiaro i rapporti di forza e per
impedire che un partito non amico andasse a governare una regione come la
Sicilia. Suo cugino Pisciotta si decide
a parlare e raccontare tutto. Viene però trovato avvelenato da un caffè. Dopo
oltre trent’anni vengono aperti gli archivi. “Finalmente capiremo qualcosa di
Giuliano e i suoi rapporti con la politica” si sono detti ingenui investigatori
e studiosi. La verità, l’unica, che venne fuori da quegli archivi fu che
Pisciotta venne avvelenato non già da un caffè, ma da uno sciroppo. Null’altro
emerse. “Storia che si ripete da sempre in Italia. Ancora aspettiamo la verità
per le stragi di piazza Fontana, dell’Italicus, per Ustica.” Prosegue quasi
sconsolata .
E ancora: “la mafia si inserisce in ogni
momento, politico, economico ecc. Ci sono industrie del nord interamente in
mano alle mafie e ai loro capitali… Ed ha le mani libere perché investe denaro
che ottiene a costo zero. Nonostante tutto ciò la grande informazione, giornali
e TV, non ne parlano che marginalmente. I pochi giornalisti d’inchiesta rimasti
si vedono spesso rifiutare i pezzi perché “non interessano”. E vengono pagati a
cottimo, pochi euro a pezzo. Questi
silenzi facilitano l’organicità delle mafie con la politica e con l’economia...
E la mafia, lo sappiamo, si libera degli organismi che le danno fastidio. Gli
omicidi La Torre, Mattarella, Falcone, Borsellino, Dalla Chiesa, dei
Carabinieri, di 5 giornalisti d’inchiesta, altro non sono che decapitazioni di
corpi pensanti che indagano o danno fastidio. ” “La mafia è uno stato nello
stato, con sue regole, sue leggi, suoi ministri e leader”. Ma anche gli omicidi
eccellenti, dopo un po’ di clamore, non
sono più notizia.
Siamo in
tempo di crisi. Aumenta l’estorsione, aumenta l’usura. E’ facile, per chi ha
grandi quantità di denaro fresco, prestare, pretendere impossibili restituzioni
e impadronirsi di aziende. Magari lasciando il vecchio proprietario come
prestanome. E non è assolutamente un caso che le mafie, per meglio gestire
flussi di denaro, si stiano rivolgendo ad attività quali le sale scommesse,
sale bingo e via dicendo che prevedono gestioni controllate dallo Stato, ma che
vengono commercializzate come e vere proprie imprese private e, di
fatto,lasciando libere le mani. Emblematico il caso di una sala Bingo ceduta a
800.000 euro contro una valutazione generosa di 250.000- La valutazione è la
cifra che un imprenditore onesto avrebbe potuto pagare per rientrare del capitale
e crearsi un guadagno dignitoso. La cifra pagata realmente è senza dubbio
denaro a costo zero che doveva essere lavato per creare un giro virtuoso di
affari che di virtuoso non hanno nulla. Ma soprattutto non è casuale il
proliferare di troppe finanziarie sul territorio nazionale, a Lecce come a
Alessandria. E’ tempo ed è vitale che su questi problemi non cali mai il
silenzio. E’ ipocrita, a volte solo ingenuo, sorridere e pensare di essere in fascia
protetta. ”Mafia di atteggiamenti” è
pericolosa quanto quella “di ammazzamenti”.
Intervista a Raffaele
Bruno
Con Raffaele
Bruno mi sono incontrato un pomeriggio, nella sua parrocchia. Arriva e scende
dall’auto con un grande fascio di giornali e documenti sotto il braccio. Da sempre si occupa di mafie. E quando ne
parla si sente che la volontà di essere
contro la sopraffazione arriva dal
cuore, senza mediazioni. Non a caso la cooperativa Libera Terra ingaggia il suo personale fra gli
ultimi. Ragazzi e ragazze fuori dal mercato del lavoro, magari ospiti di centri
di recupero. E’ tutta possibile manovalanza vulnerabile alle mafie, persone
alle quali viene offerta un’opportunità di vita. E gestisce eticamente quei
beni che erano il regno dei mafiosi. Perché veramente “si può fare”. Mi riceve in un ufficio tappezzato di
manifesti di Libera della quale è referente regionale. Ha sempre un sorriso
tranquillo che nasconde una determinazione incredibile in quello che fa ogni
giorno. Per lui è, probabilmente, normale , per me che lo ascolto è una scoperta,
un simbolo. Ma forse è proprio questa la grandezza dei simboli, l’umiltà e il
fare le cose che fanno con semplicità, quasi fosse, appunto, normale. Lo
sguardo che mi ha lanciato alla prima domanda è emblematico, “Chi è Raffaele
Bruno? “ La risposta è stata lapidaria
quanto stupita. Quasi a dire “io non sono nessuno, sono il portavoce dei ragazzi che lavorano
nei campi che erano di mafia”. Infatti non sappiamo molto di lui. Ma quando
parla di Libera si illumina, quando parla di come agiscono le mafie si
infervora.
Chi è Raffaele Bruno?
Un prete. Cappellano del carcere di Lecce e coordinatore regionale di Libera.
Tutto li? E la gestione dei beni sequestrati alle mafie? E il lavoro con i ragazzi?
Ma si, ci occupiamo di fare corsi sulla legalità nelle scuole, associazioni, rapporti con enti locali in particolare per quanto riguarda il discorso dell’uso sociale dei beni sequestrati sulla gestione dei quali stiamo attivando un progetto per ognuna delle cinque province pugliesi . E’ un percorso che chiamiamo “simboli e risorse”. Simboli perché i beni sono stati simbolo di un potere acquisito con la violenza. Ma che noi stiamo traducendo in risorse, evitando di lasciarli come beni confiscati e basta. Tutto questo grazie alla legge 109 del 96 che abbiamo promosso come legge di iniziativa popolare raccogliendo le firme. Gli enti che ne entrano in possesso, scuole, università, comuni, regioni e via dicendo, possono chiederne l’uso, e noi lavoriamo per trasformali da proventi di reato in momenti di speranza. Con alcuni comuni in provincia di Brindisi abbiamo iniziato un progetto organico, abbiamo costituito una cooperativa (al momento l’unica in Puglia) a Mesagne (Br) che gestisce circa 50 ettari in cui produciamo grano che viene trasformato in tarallini e friselline. A Torchiarolo invece produciamo vino. 13.000 bottiglie l’anno scorso, quest’anno è prevista una produzione di 90.000 circa. In particolare due rosati e due rossi. Il nome di un rosato è Isotel Ray, una vittima dell’agricoltura, un ragazzo albanese di 22 anni ammazzato in provincia di Foggia dal caporalato. Questi prodotti vengono commercializzati con il marchio “Libera Terra”, e con l’aiuto dell’agenzia “cooperare con libera terra” che interagisce con le Coop, Unipol , i negozi dell’equo e solidale e via dicendo. Queste grandi realtà ci aiutano nell’individuazione dei clienti, nella distribuzione, nella produzione. Abbiamo inoltre una bottega a Roma, una a Napoli, a Firenze, a Palermo, a Mesagne. E stiamo tenendo contatti con realtà estere. Il presidente della nostra cooperativa (terre di Puglia libera terra), è appena rientrato dal Lussemburgo dove la comunità italiana si è posta il problema di oscurare lo stereotipo Italia=criminalità. Il messaggio che lanciamo è ovvio. Ma la cosa importante non sono i prodotti, ma le persone che producono quei beni. I ragazzi, disabili, persone fuori dal mercato del lavoro. Che da noi e con noi lavorano. Mi piace ricordare che un ragazzo , ospite di una comunità di recupero, ha lavorato da noi e si è stupito per i libretti di lavoro in regola. E, ricevendo il compenso settimanale, ha detto “ma si può campare anche così allora”.
“Mafia è bello” è un concetto che nella conferenza all’università è circolata molto, me la spieghi meglio?
E’ un paradosso ovviamente. Si partiva da uno dei tanti usi linguistici . In Sicilia per esempio è un apprezzamento “quanto è mafiusa quella ragazza” vuol dire che è bella. I paradossi non sempre stanno sulle nuvole però, appartengono alla storia. Ti faccio un esempio di bella mafia: un pubblico amministratore sa che il piano regolatore dice A, B, C. Se gli viene proposto, ed accetta, che il piano regolatore dica A,B,D non penso che lo faccia per soffrire. Perché dietro quella D ci sta un’organizzazione, girano soldi. Lo fa perché gli conviene. Per lui, in quel momento: “mafia è bello”. E questo riguarda non solo l’amministratore o il politico. C’è una mafia di comportamento che è questa. Però c’è anche una mafia di atteggiamento che è un modo di pensare, che riguarda noi cittadini. La logica del favore, la pratica della sopraffazione, il voltarsi dall’altra parte. Atteggiamenti che non vengono posti in essere per farsi del male, ma perché conviene. Anche questo è come dire: “Mafia è bello”.
Nel 93 è nato in Sicilia, patrocinato da Totò Riina,
da suo cognato Bagarella, battezzato ufficialmente da Tullio Cannella, il
movimento Sicilia Libera. Che aveva obbiettivi politici fortemente assonanti
con quelli della lega nord : Stato federale formato da piccoli stati. Per
qualche strano motivo ebbe vita breve e nel 94 Sicilia Libera diventa un club
di Forza Italia
La logica
del separatismo ci porta indietro all’unità d’Italia. Poi ancora allo sbarco
degli americani. Dopo lo sbarco in Sicilia (concordato fra gli americani e la
mafia con l’intermediazione di Cosa Nostra e pagato con l’elezione di sindaci
scelti non dalla popolazione, ma da pochi n.d.r.) prende il sopravvento il
movimento separatista, che poi confluisce, previi accordi, dentro la DC. Scopo
unico : la sconfitta del PCI in Sicilia e, in prospettiva, il cambio della
politica a livello nazionale. Il massacro di Portella della Ginestra ebbe
proprio queste finalità. Queste logiche separatiste e di controllo del
voto sono endemiche. L’incontro fra mafia e politica non è un “volemose bene”,
è amministrazione della cosa pubblica, sono affari. In questo modo la cosa
pubblica si trasforma in cosa nostra.
Mafia organica alla politica e viceversa?
Non generalizziamo mai. La compenetrazione non è uniforme. Siamo a macchia di leopardo. In alcune realtà è evidente, in altre meno, ma non significa che non c’è. Attenzione, dobbiamo recuperare il concetto sociologico di “Borghesia mafiosa” . E mi spiego con un esempio “di costume” anche se non attuale. Da un lato abbiamo il mafioso classico, con coppola e lupara. Dall’altro il politico in camicia e cravatta. In mezzo c’è una folla di figure intermedie (funzionari, fiancheggiatori ecc.) che sono, di fatto, funzionali alle mafie e fungono da catena di collegamento fra le due realtà apparentemente molto diverse, ma di fatto contigue. Quando vengono ammazzati Fortunio, Salvo Lima, Mattarella sono segnali della mafia alla politica per dire: “nessun problema, ci pensiamo noi”. Quando ci sono le bombe a Roma, a Firenze, a Milano il messaggio è “attenti, non siamo rintanati in Sicilia, vi facciamo sapere dove siamo presenti e che vogliamo trattare con voi milanesi, romani, fiorentini. Lo stereotipo dice che la mafia è un prodotto della povertà. Nei bassifondi questo è vero perché è lì che si ingaggia da sempre la manovalanza. Però la mafia punta a denaro e potere. Il problema è fare in modo che potere e denaro siano controllati da soggetti che non consentano infiltrazioni. Molto spesso questi controlli sono fatti da persone non solo disponibili, ma che organizzano le vie di comunicazione fra i due soggetti. Quando un ministro dice che con la mafia bisogna pur convivere è un segnale. Quando Mangano sta ad Arcore è un referente di cosa nostra, non un semplice stalliere. Se poi i diretti interessati a questi episodi entrano in politica e magari governano, c’è qualcosa di più. Basta andare in parlamento e vedere quanti soggetti sono stati e sono indagati e condannati per associazione mafiosa.
La politica, con questo sistema elettorale che permette il controllo di ogni candidato, non ha perso una grande occasione di fare pulizia?
Evidentemente si utilizza questa legge elettorale per garantire che quei nomi siano presenti nelle varie liste e che magari lo straordinario consenso ottenuto è stato anche grazie a quei nomi. A volte la struttura del controllo della legalità può diventare struttura che garantisce l’illegalità e l’impunità.
Miglio diceva che è bene
istituzionalizzare le mafie al sud
Miglio usava
metafore come provocazione. Però ci sono parole che fanno paura non tanto per
le minacce, quanto per la convivenza civile. Mi fa paura che si pensi che la
convivenza si debba fondare sul potere personale. Quali sono i criteri che
stabiliscono che quella persona è degna del potere? Se diventano la capacità di
fare soldi, o di manipolare l’informazione, il potere personale ci porta a
derive di tipo regime. E forse ci stiamo arrivando.
Pietro Grasso dice che al nord la
mafia è congeniale al sistema, al sud è il sistema
Mafia è
bello al sud come al nord. Al sud però si sentono i rumori della sofferenza. Al
nord la mancanza di questi rumori fa passare inosservati gli affari illeciti.
Quando la mafia diventa, come è tuttora, finanza, la cosa è incontrollabile. E’
arduo farlo quando è semplice economia. Impossibile quando è finanza. Stiamo
parlando di stime di giro d’affari intorno al 15/20% del PIL in mano alle
mafie. Significa semplicemente che non siamo in democrazia. Quante scelte
politiche, culturali, etiche, vengono prese dovendo rendere conto a quel 15% di
PIL?
Noi come società civile cosa possiamo fare? Che grado di attenzione dobbiamo avere?
Richiamo ad una dichiarazione rilasciata da Vendola nella giornata per le vittime di mafia a Napoli “I clan al sud, i portafogli al nord”. La dice lunga. E’ storia nota. Si deve tornare a parlare di mafia. Non certo con le finction tipo il capo dei capi che ha avuto come esito il creare emulazione in molti ragazzini. Perché il fascino negativo può essere ammaliante. Una preside di una scuola media in provincia di Lecce ci ha chiamati perché nell’intervallo i ragazzi, dopo aver visto quel programma, giocavano a fare le affiliazioni. Una ritualità che affascina anche nel gioco. Parlarne intanto. Documentare. Usare l’informazione non a servizio dei luoghi comuni, ma della verità. Dire “siamo contro la mafia” è fine a sé stesso, non serve a nulla. Analizziamo, vediamo di cosa stiamo parlando. Qui in Puglia se ne parlava molto quando c’erano le bombe. Ricordo il procuratore Cataldo Motta che all’epoca diceva “dacci la nostra bomba quotidiana” . Allora le persone reagivano, parlavano. Ora tacciono le armi , tranne in casi sporadici, e la gente pensa “meno male che stanno in galera”. Ma i soldi dove stanno? In realtà non si fanno analisi. Traffico di droga, estorsioni, traffico di clandestini, uomini e donne come merce. Non si va a vedere cosa quei soldi producono oggi e da chi sono gestiti. A Bari, giusto per fare un esempio, sono state sequestrate case di cura riunite private del Prof. Cavallari. Bene, quei soldi sporchi producevano sanità. O quando si introduceva in Puglia il grano di Cernobyl che veniva trasformato in pasta con l’appoggio dei cartelli pugliesi che controllavano i viaggi del grano, le campagne e via dicendo. Dove è finita quella pasta?
Leggo che si scoprono discariche abusive ovunque, molti tossico nocivi arrivano dal nord.
Non è solo connivenza, che già sarebbe grave, ritorna il “Mafia è bello” questa volta al nord, perché quegli imprenditori amano chi li fa risparmiare. In Puglia hanno rovinato e inquinato la Murgia con i suoi antichi insediamenti anche archeologici. Nessuno si accorgeva di camion che andavano in giro? E attenzione, entriamo nel settore alimentare. I carciofi brindisini coltivati a Cerano, in aree dichiarate inquinate da diossina, dove vanno? Chi li trasporta? E i pomodori coltivati vicino a discariche abusive con tossico nocivi seppelliti che inquinano le falde? E tutto questo non è improvvisato. Ci deve essere un’organizzazione capillare dalla produzione alla distribuzione. E assolutamente trasversale, dal nord al sud. A Milano, a Roma, chi gestisce i mercati ortofrutticoli? I nomi si sanno. E’ un sistema vero e proprio.
Le zone sono divise, al sud, fra le varie organizzazioni. Al nord cosa
succede?
La ‘ndrangheta è oggi la più forte e ramificata. E’ monopolista in Europa del mercato della coca. E la conosciamo poco perché le ‘ndrine sono a carattere familiare, per cui non c’è il fenomeno del pentitismo per esempio. Sono impenetrabili. Il Piemonte è storicamente terra di ‘ndrangheta. Da sempre. Non solo Bardonecchia. Idem per la Lombardia, dove tuttavia è più recente l’infiltrazione, come in Liguria, terra di passaggio. Poi l’Emilia con l’edilizia e movimento terra. Alcuni amministratori emiliani si stupivano per i forti ribassi alle aste (si arrivava al 50%). Pensavano fossero imprese del sud che avevano necessità di lavorare e che volessero entrare nel mercato. Hanno importato le mafie ed inquinata l’economia tutta. Le imprese legali non riuscivano ad adeguarsi se non lavorando in nero o con materiali acquistati nel mercato parallelo, quello della ricettazione. Sembrava un’operazione quasi di solidarietà con imprese del sud. Si è rivelata come cavallo di Troia per trasportare il sistema.
Al nord manca la percezione di questi fenomeni
Libera nasce per creare una rete nazionale senza confini territoriali, dove le comunicazioni, le paure, le informazioni viaggino e si scambino. La mafia non deve essere solo una questione meridionale. C’è il problema meridione, ma deve essere trattato a livello nazionale. Intendiamoci, la questione meridionale esiste, però questo problema deve superare i confini. Se pensiamo al federalismo a rischio secessione. Sicuramente si arriverà a creare delle barriere fra regioni. Dimenticando che i soldi non hanno confini. Riusciremo a bloccare le persone, non certo le finanze. Il problema in realtà è europeo. La mafia russa è molto presente in Europa. Fra le mafie ci sono rapporti di interconnessione. Ognuno con le sue competenze, ma intrecciati. A volte si crea il conflitto, ma normalmente trovano anche la ricomposizione delle faide. Il silenzio è loro più utile.
Mafia-finanza è sempre stato affare, vedi il caso Sindona
Attenzione però, fatti gravi avvengono quando si rompono equilibri, quelle sono solo punte di iceberg. Quando c’è silenzio e pace le mafie lavorano molto. Io mi preoccupo quando, in Europa, grandi “magnati” russi vengono a comprare squadre di calcio per esempio. Quando agenzie turistiche e la politica estera lanciano ponti d’oro ai turisti ricchi con offerte strepitose. Quando si vendono immobili di prestigio in quantità. Questi arrivano e portano benessere. Il problema è vedere che tipo di soldi ci sono, da dove arrivano, come sono stati prodotti. Il problema è capire i prezzi che pagheremo. E in Puglia sappiamo cosa può succedere quando le mafie si incontrano. Raffaele Cutolo per il suo contrabbando lasciò la rotta Tirrenica e privilegiò la Puglia e la rotta adriatica. Arrivò e il primo problema fu la ricerca di mano d’opera. Siccome le carceri pugliesi erano piene di camorristi, diede loro mandato di cercare dentro gli uomini che servivano. Partirono le affiliazioni con due grandi riunioni nel 79, una a Lucera e una a Galatina in due grandi Hotel, non in qualche masseria sperduta. Alla prima presenziò Cutolo in persona e si affiliarono 40 persone. A Galatina una settantina. Però i delinquenti locali non sopportavano la dipendenza dai campani. Ma non sapevano come si lavorava per creare un gruppo organizzato. Ci furono alcuni tentativi. A Lecce, per esempio, piccoli malavitosi tentarono di creare la “Famiglia Salentina Libera”. Lo statuto iniziava con le parole “il Salento ai salentini” , non certo per amor di Salento, era un messaggio ai camorristi. Cutolo a casa sua, noi a casa nostra. Tutti i tentativi naufragarono. Qualcuno doveva insegnare loro come fare. Il compito se lo assunse la ‘ndrangheta. A quei tempi si occupava di sequestri di persona. Siccome lo Stato mandò gli alpini in Aspromonte a camminare e disturbare gli spostamenti degli ostaggi, decise di trasferirsi in Puglia. Essendo in zona iniziarono a guardarsi attorno. E si accorsero che qualcuno da sequestrare c’era anche qui. Ci furono alcuni tentativi. Nel 1982 venne arrestato a Casalabate, vicino a Lecce, Umberto Bellocco uno dei capi della ndrangheta, che stava organizzando il sequestro di un banchiere leccese. Venne trasferito in carcere e sentì i pugliesi lamentarsi per l’ingerenza nella NCO. Il professor Bellocco, che non ha interesse a far organizzare la Puglia dalla camorra, trasferisce i segreti dell’affiliazione e nasce la Sacra Corona Unita. E prende vita come mutuo soccorso fra pugliesi che non volevano essere colonizzati. Il capo (detto anche : nonno, vecchio, dio) è il mesagnese Pino Rogoli. Sotto di lui una serie di soggetti nelle varie province. Però il progetto regionale non decolla. Bari e Foggia si sviluppano con strutture più vicine alla camorra. Solo Lecce, Brindisi e Taranto riescono a organizzarsi e ad entrare in conflitto fra loro molto presto. Scalate ai vertici, omicidi dei capi. Mancava una direzione organica. Questa è la storia della Puglia. Vogliamo ripercorrere quelle strade di farci invadere da altre mafie o vogliamo controllare capillarmente?
Un messaggio per il nord?
Il contrasto alla criminalità organizzata e alle mafie ha il sapore della vita. Dove c’è gusto di vivere si debbono contrastare le mafie. Dove questo gusto manca, dove si ruba la vita di qualcuno, questo contrasto non c’è. La mafia è anche un modo di fare cultura. In Italia non ci sono mai stati livelli di corruzione come oggi. Non ci sarà la mafia del comportamento mafioso codificato, ma c’è la mafia di atteggiamento. La sopraffazione è il brodo di coltura delle mafie. Ci sono i modi di pensare mafiogeni. Noi di libera abbiamo pubblicato un calendario con i proverbi mafiogeni (già pubblicati in queste pagine-ndr). Questo è tutto brodo di coltura per il pensare mafioso.
Qual è il tuo tasso di paura nel lavoro di contrasto alle mafie? Avete subito
minacce, avete subito incendi.
La paura è
un sentimento umano possibile di cui non dobbiamo vergognarci, ma che dobbiamo
socializzare. Quindi mettere da parte il gusto di sentirci eroi. L’eroe è colui
che metabolizza la paura per assurgere a impavido. Non è il modo per
contrastare la mafia. Il segreto della mafia è la sua
capacità organizzativa. Capacità di creare degli insiemi. Anche
socializzare le paure e metterle insieme significa fare rete. Insieme con
peculiarità e diversità anche. Scuole,
Chiese, università, magistratura, forze dell’ordine, debbono fare rete.
Al nord non c’è la mafia della strage
e del morto ammazzato
In alcune
zone è endemica comunque. La gente inizia a riconoscere i soggetti, non solo i
comportamenti. E sa che certi soggetti non consentono tutto. La paura non è
ancora indice di territorio mafioso. E’ meccanismo di difesa. L’omertà è anche
quando piano piano si entra in un’ottica di “bisogna fare così perché così fan
tutti, perché conviene”. Si diventa oggettivamente complice. In un momento di
crisi come oggi per esempio, perché non
acquistare in un supermercato che ha prezzi straordinariamente bassi? Ma che
qualcuno vigili su come mai si possano praticare certi prezzi sarebbe un bene.
Anche per l’economia pulita. Bisogna però ragionare con cautela, la nostra oggi
non è un’analisi di tipo “penale”,non dobbiamo
mai generalizzare. Anche l’usura è in mano alle mafie. Su “Narcomafie”
(la rivista di Libera e del gruppo Abele di Torino) di settembre abbiamo
mappato le zone di influenza mafiosa in Lombardia per esempio. E’ una lettura
interessante. E’ di pochi giorni la notizia di arresti di mafia in Lombardia.
Un’ultima parola per chi lavora nella scuola
E’ vitale lavorare nelle scuole. Il prefetto Dalla Chiesa, che fu mandato a Palermo con i poteri declamati ma non effettivi del super prefetto, fu rimproverato perché andava nelle scuole. Un prefetto non deve farlo. Lui rispose “la scuola è il primo, fondamentale presidio di legalità”. La mafia esiste perché concede quel che lo Stato dovrebbe dare come diritto. La scuola deve educare ad esigere i diritti. La scommessa educativa rimane il discrimine fondamentale.
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