È la notte fra il sette e l’otto dicembre 1970. Gruppazzi di
neofascisti si radunano a Roma in più luoghi: a Montesacro, nei cantieri di
Remo Orlandini (imprenditore legato a filo doppio al SID di Vito Miceli), nella
sede di Avanguardia Nazionale (braccio armato dei fascisti in doppiopetto), nei
pressi dell’Università e della stazione Termini.
Un gruppo di questi cascami dell’umanità è intanto penetrato
nelle armerie del Ministero degli interni, mentre alle porte di Roma una
colonna di Forestali aspetta ordini. Alla regia dei golpisti c’era un
triumvirato composto da: Junio Valerio Borghese, il generale dell’aeronautica
Giuseppe Casero e il maggiore della polizia Salvatore Pecorella. Il piano
prevedeva: l’occupazione dei ministeri Interni e Difesa, della RAI da dove
Borghese avrebbe letto il messaggio alla nazione (vivido esempio di
comunicazione mutuato negli anni 2000 da un altro guitto) e la mobilitazione
dell’esercito. Ovviamente esisteva una lista nazionale di personalità politiche
e sindacali da eliminare. Ancora si ricordano le comunicazioni interne al PCI che
invitava i dirigenti a dormire fuori casa. Tutto era pronto, l’inchiesta non
riuscirà mai a dare un volto e un nome al generale che telefonò al Borghese per
sospendere l’operazione. Passeranno cinque lunghi anni perché Andreotti
consegni alla magistratura le documentazione in suo possesso che dimostrava
come i politici di governo fossero informati della cosa. Su questa porcata, che
qualcuno tenta di far passare come “golpe da operetta” non si farà mai
chiarezza. Soprattutto sul ruolo del partito di La Russa, Fini e compagnia
bella, su quello dei servizi segreti e delle gerarchie dell’esercito. Ed è inquietante
il vedere come sul terrorismo ed il golpismo di destra, a differenza di altri
terrorismi, non sia mai stata fatta luce.
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