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giovedì 8 dicembre 2011

golpe Borghese



È la notte fra il sette e l’otto dicembre 1970. Gruppazzi di neofascisti si radunano a Roma in più luoghi: a Montesacro, nei cantieri di Remo Orlandini (imprenditore legato a filo doppio al SID di Vito Miceli), nella sede di Avanguardia Nazionale (braccio armato dei fascisti in doppiopetto), nei pressi dell’Università e della stazione Termini.
Un gruppo di questi cascami dell’umanità è intanto penetrato nelle armerie del Ministero degli interni, mentre alle porte di Roma una colonna di Forestali aspetta ordini. Alla regia dei golpisti c’era un triumvirato composto da: Junio Valerio Borghese, il generale dell’aeronautica Giuseppe Casero e il maggiore della polizia Salvatore Pecorella. Il piano prevedeva: l’occupazione dei ministeri Interni e Difesa, della RAI da dove Borghese avrebbe letto il messaggio alla nazione (vivido esempio di comunicazione mutuato negli anni 2000 da un altro guitto) e la mobilitazione dell’esercito. Ovviamente esisteva una lista nazionale di personalità politiche e sindacali da eliminare. Ancora si ricordano le comunicazioni interne al PCI che invitava i dirigenti a dormire fuori casa. Tutto era pronto, l’inchiesta non riuscirà mai a dare un volto e un nome al generale che telefonò al Borghese per sospendere l’operazione. Passeranno cinque lunghi anni perché Andreotti consegni alla magistratura le documentazione in suo possesso che dimostrava come i politici di governo fossero informati della cosa. Su questa porcata, che qualcuno tenta di far passare come “golpe da operetta” non si farà mai chiarezza. Soprattutto sul ruolo del partito di La Russa, Fini e compagnia bella, su quello dei servizi segreti e delle gerarchie dell’esercito. Ed è inquietante il vedere come sul terrorismo ed il golpismo di destra, a differenza di altri terrorismi, non sia mai stata fatta luce. 

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