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Chiara Rotundo |
Chiara Rotundo è una giovane neo laureata in scienza della
comunicazione all'università del Salento. Nella sua tesi ha trattato dei diritti umani e disabilità.
Chiara è diversamente
abile, come preferisce definirsi.
I diritti umani sono un
prodotto storico, come scritto sulla tesi, infatti dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo
del 1948 e via via fino alla
convenzione ICF (Classificazione internazionale del funzionamento disabilità e
salute) del 2001, molti passi avanti sono stati fatti nelle varie legislazioni
nazionali e nel superamento della parola handicappato
che è riduttiva e invita a pensare a comportamenti meramente assistenzialisti, per
giungere alla più completa e complessa definizione: diversamente
abile che rende l’idea di abilità coniugate in modo diverso, comunque
presenti.
Per quanto ci riguarda più direttamente, la Costituzione
Italiana parla di diritti inviolabili, ed è del 1975 la Dichiarazione ONU dei
diritti dei disabili, ratificata dall'Italia nel 2009.
Proprio l’Italia come legislazione è avanzatissima, i
diritti fondamentali quali: istruzione, lavoro, formazione professionale,
abolizione delle barriere architettoniche, gestione dei servizi, vita sociale,
sono ben delineati ed espressi nelle leggi vigenti. Tuttavia esiste un gap di
non facile soluzione, non sempre le leggi vengono attuate puntualmente, anzi,
moltissimi sono i ritardi e le mancanze, anche la concezione del disabile come
bisognoso solo di assistenza è dura da cambiare.
Dove le opportunità esistono i risultati sono evidenti, gli
studenti con disabilità iscritti all'università sono passati da 5.947 dell’anno
2001/2002 ai 11.407 del 2006/2007. Dati che debbono aiutare a riflessioni e
pianificazioni diverse, forse più coraggiose.
Stiamo parlando di una fetta molto consistente della
popolazione, nel mondo si contano 650 milioni di diversamente abili, in Italia
5.800.000, il 10% della popolazione. Di questi il 50% vive in famiglia o in
istituti. Un altro dato sensibile è che dei disabili in Italia l’80% ha un’età
superiore ai 65 anni, il 17% fra i 15 e 64 anni. Questi numeri impongono un
ripensamento dei servizi resi, “oltre all'inserimento al lavoro delle persone attive, non si possono trascurare i
servizi assistenziali e sociosanitari dei non attivi” come leggiamo nella
tesi.
Troppo spesso per distrazione o altri motivi non facciamo
caso ai mille problemi che ci stanno attorno, per questo comprendere è
importante, ascoltare, parlare. E noi con la dottoressa Chiara Rotundo abbiamo
parlato della sua tesi, del suo modo diversamente
abile di vedere la vita.
Handicappato,
disabile, diversamente abile. Negli anni le definizioni sono state diverse
Il disabile e l’handicappato sono persone definite come
bisognose di assistenza, la cosa è riduttiva e tutto sommato inquietante, il
termine corretto è diversamente abile
non in senso dispregiativo. Siamo persone con abilità coniugate in modo
diverso, noi possiamo camminare da soli, possiamo vivere, lavorare, studiare,
abbiamo necessità solo di strategie alternative sensibili alle nostre
individuali disabilità, quello che chiediamo è un’integrazione più completa,
che tenga conto delle nostre potenzialità. Il diversamente abile arriva a
traguardi simili a tutte le altre persone, solo che lo fa con strumenti e
strategie diverse.
Come leggo nella tua
tesi, in Italia dagli anni ’70 del novecento si è iniziato a prendere coscienza
del problema.
Solo nel 2001 in realtà si parla dei disabili come risorsa,
prima, dagli anni ’70 appunto, si diceva di assistenza e basta, solo dopo si
parlò dei diritti, dell’aspetto sociale oltre che clinico. Prima si pensava che
il disabile non potesse arrivare a raggiungere alcuni traguardi. Solo dal 2006,
per fare un esempio, sono state aperte le iscrizioni alle università, e questo
è stato un passo avanti importantissimo.
Quindi possiamo dire
che il percorso è avviato
Certo, solo che tutto procede troppo lentamente. A livello
universitario l’integrazione c’è stata, è vero, tuttavia vivendola dall’interno
posso dire che moltissimo è ancora da fare. Occorre diminuire la burocrazia ed aumentare
la coscienza, anche dei genitori e degli
studenti stessi. Molto spesso i genitori sono ancorati a visioni assistenziali
e tendono ad essere iperprotettivi con i figli diversamente abili,
personalmente non ho avuto problemi, la mia carriera scolastica (Chiara ha
frequentato lo scientifico biologico all’istituto Deledda n.d.r.) mi ha
insegnato ad accettare la mia disabilità, soprattutto a non avere timori, a
rivendicare diritti, tuttavia molti nella mia condizione si sentivano e
purtroppo si sentono inferiori e forse si sentono pesi per la società.
I rapporti con gli
altri tuoi coetanei sono stati buoni?
Sempre belli, anche se a volte difficili. Il cammino che
dobbiamo compiere è imparare a fare da soli, soprattutto a non aver timore di
chiedere aiuto quando occorre, sia ai compagni che alle autorità. Diritti e doveri per tutti,
anche per noi. I programmi dovrebbero essere fatti in relazione all'inclusione con gli altri ragazzi.
Purtroppo a volte la burocrazia è deprimente, per gli
ipovedenti, giusto per fare un esempio che mi ha toccato da vicino, per tutto il periodo dei miei studi e nonostante richieste reiterate, ancora l'ASL non ha fornito il videoingranditore che avevamo chiesto da anni, la burocrazia
è avvilente, lunga e spesso né i genitori né i ragazzi sono a conoscenza dei
loro diritti. Per avere testi leggibili con agilità ognuno deve pensare per
conto proprio a fotocopiare, ingrandire, facilitarsi la vita. Anche il servizio
di tutoraggio all'università ha delle lacune, per laurearmi l’ho utilizzato
pochissimo perché le ore di affiancamento non sono sufficienti, tutto ciò nonostante l'impegno costante dei tutor.
Nella tesi comunque
dici che in Italia le leggi rispetto ai diversamente abili sono all'avanguardia.
E’ vero, se pensiamo che negli anni ’70 non c’era inclusione
alcuna nelle scuole, ora vediamo risultati e comportamenti diversi. In Italia
siamo il 10% della popolazione, oltre 5.800.000- Però parliamo di legislazione,
l’attuazione delle norme è ancora in alto mare.
Parliamo di Lecce, la
città come risponde rispetto ai vostri problemi?
Le barriere architettoniche sono troppe, la mia disabilità
non è gravissima, io riesco a muovermi, a prendere i mezzi. Lo faccio, sia pure
con difficoltà. Il trasporto pubblico a
Lecce per noi è al Far West. Mezzi senza pedane, passaggi troppo rari. Questo e
la mancanza di consapevolezza fanno si che il diversamente abile si senta
emarginato, perché bisognoso di assistenza anche per percorrere con la
carrozzina un banale marciapiedi.
Secondo te
l’amministrazione comunale ha consapevolezza dei problemi dei diversamente
abili?
Fin’ora molto poca purtroppo. Avevo scritto tempo fa alla
passata amministrazione, ma risposte non ne ho avute. Ho commesso l’errore di
non protocollare la lettera, è vero, però non ho ricevuto risposte. Io sarei
disponibile a incontrare chi amministra e se serve anche a collaborare,
parlarne.
Quali priorità chiederesti
di affrontare?
La manutenzione della città e il discorso dei trasporti. Sarebbe
importante avere marciapiedi percorribili, più corse dei bus urbani. Se è vero
che i cittadini leccesi non utilizzano il mezzo pubblico, altrettanto vero è
che c’è carenza degli stessi.
In occasione della candidatura di Lecce a capitale della
cultura 2019 c’è stata l’apoteosi dell’ipocrisia, c’era una Lecce di facciata
da presentare al mondo, piccoli bus urbani che giravano come fossero circolari,
era bello, poi sono spariti nel nulla.
Parliamo di
inserimento al lavoro
Altro problema, ogni
volta che presento un curriculum mi si dice che mi mancano esperienza e
formazione. Però se non mi danno possibilità di fare esperienza e le aziende o
le amministrazioni pubbliche non si mettono a disposizione per corsi di
formazione, è un cane che si morde la
coda.
Inoltre la chiamata per i diversamente abili è soprattutto
numerica, se un’azienda deve assumere due disabili raramente tiene conto delle
peculiarità e delle capacità individuali. Esiste, è vero, lo sportello “diversità
lavoro” però non fornisce strumenti idonei.
Ecco il ruolo delle amministrazione pubbliche potrebbe essere anche quello di pensare a
sportelli che mettano in rete richieste e domande, soprattutto che informino
sui diritti individuali.
Come vedi il tuo
futuro?
Diciamo che sono positiva con cautela. Ci sono pochi
concorsi, teniamo conto che il diversamente abile non può spostarsi agilmente.
E i pochi concorsi sono fatti con strumenti non adeguati. Purtroppo finita la
scuola il disabile viene di nuovo gestito dalla famiglia e basta. In altre
realtà, in altri contesti cittadini, i disabili trovano lavori diversi, penso a
ristoranti e altro. Qui in meridione la città e le amministrazioni pubbliche sembrano
non curarsi del problema. Ribadisco a costo di essere ripetitiva, noi non
abbiamo bisogno di sola assistenza, vogliamo attenzione e il diritto di
costruire la nostra indipendenza nella nostra città.