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Gino Girolimoni ( Roma, 1 ottobre 1889 – Roma 19
novembre 1961) fu un fotografo romano. Il suo nome divenne per lunghissimi anni
sinonimo di pedofilo. “Quello è un Girolimoni” si sentiva dire, a volte ancora
si sente, soprattutto dagli anziani che hanno memoria degli eventi, quanto meno
della loro eco.
I fatti dicono di Roma, dello stupro di sette bambine e l'assassinio di cinque di loro, nel 1924. E raccontano della fibrillazione della polizia che,
incalzata dallo stesso Mussolini che convocò il capo della polizia per
procedere urgentemente a risolvere il caso. Secondo il dittatore, l’Italia non
doveva fare figuracce a livello internazionale ed occorreva “a qualunque costo”
trovare un colpevole.
Le indagini furono affrettate e raffazzonate, a fronte di
testimonianze che descrivevano un individuo alto, con i baffi, ben vestito, i
poliziotti fermarono storpi, dementi, invalidi. Un vetturino, colpito da
sospetti, si suicidò per l’onta subita. Finchè non venne arrestato Gino Girolimoni
con boatos mediatici incredibili che, nonostante il processo lo prosciolse da
ogni accusa per discordanze con le testimonianze, e nonostante molte prove, si
saprà dopo, vennero fabbricate ad arte per compiacere il dittatore, per tutta
la vita venne bollato come “il mostro di Roma” passando come tale
nell’immaginario collettivo. Da annotare che anche il criminalista Samuele
Ottolenghi, seguace del Lombroso, ravvisò nel volto pacato del Girolimoni i
tratti del criminale.
Fu l’investigatore Giuseppe Dosi che, da sempre convinto
dell’innocenza di Gino, proseguì le indagini fino a trovare una pista
alternativa. Scoprì infatti che un pastore protestante , l’inglese Ralph Lyonel
Brydges, già sospettato per violenza carnale, poteva essere il colpevole, prove furono
trovate nella cabina della nave in cui alloggiava. L’accusa non procederà
oltre perché i rapporti diplomatici con la Gran Bretagna avrebbero potuto
risentirne.
Fatto sta che nessun colpevole verrà mai trovato.
Girolimoni, perso il lavoro e la possibilità di trovarne
altri, vivrà una vita precaria, con piccoli lavoretti, fino al 19 novembre
1961, al suo funerale parteciparono pochissime persone, fra queste l’investigatore
Dosi.
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