“Non possiamo bere
tutto il vino del mondo, ma è nostro ineluttabile dovere provarci” (Pino De
Luca)
Musica e vino, parafrasando posso dire “Io
non so parlar di vino, l’emozione non ha voce…” come cantava più o meno un
Celentano d’epoca, invece del vino lui ci metteva l’amore, però era giovane, ora
che siamo sicuramente meno giovani, forse
più maturi cerchiamo emozioni anche in
amori altri, nella natura, a volte, come si legge nelle brevi note biografiche
dell’autore del libro, Pino De Luca “dopo
una vita trascorsa fra scienza e peccato, è approdato all’e(t)nogastronomia…”.
Parlando di vino, anzi dei vini, nella fattispecie di quelli salentini, un osservatore dotto e colto dovrebbe scrivere
frasi come:
“rosso cupo, con
preponderanza del violaceo; profumi avvolgenti di vaniglia e poi di spezie, fino
all’eucalipto. Al palato è morbido, setoso, consistente ma molto ben
educato…"[1]
Bene, non lo scriverò mai per il semplice fatto che per mia formazione il
vino è un liquido da degustare, quando proprio voglio fare il raffinato
intenditore mi faccio guidare da chi mi
consiglia cosa abbinare con cos’altro. Altre volte (barbaramente) mi piace
rinfrescare un rosso importante in frigorifero qualche tempo. Riesco a volte, è vero, a capire se un vino sa
di tappo, e riesco a sentire, altre volte, aromi e profumi che non saprò mai a
quali spezie si riferiscono, e lì mi fermo, sono un consumatore più o meno
abituale, non un raffinato conoscitore. Però sono grato a Pino de Luca perchè,
con “Per canti e Cantine”, forse a sua
insaputa parla anche a me e prova a mettermi a mio agio abbinando la cantina
alla musica, ed essendo di una generazione quasi contigua (lui è decisamente
più giovane) ricordo i canti che cita, le cantine invece le intravedo e i
bicchieri di vino li immagino. E ricordo, i filari di viti che ho visto da
sempre. Mi hanno accompagnato dal Monferrato alle Langhe, sulle colline
Toscane, le pianure Romagnole e giù, fino al Salento. Da Fenoglio e Pavese e
Paolo Conte, a Verri, Bodini, Mino De Santis. Con l’amore, la musica ed il vino si può
diventare grandi, immensi, immortali forse, per dirla con Galeano “siamo tutti mortali fino al primo bacio e
al primo bicchiere di vino”. Non so se Galeano si è spinto troppo oltre,
però manca la prima emozione provata ascoltando Chopin piuttosto che il bolero
di Ravel o, più prosaicamente ma neppure troppo, il salentino e irridente Mino
De Santis che canta “tuttu è cultura, anche se cangia la temperatura”. E ricordo Guccini che nei suoi concerti,
accanto alla sua seggiola, aveva una bottiglia di vino.
Si, De Luca dice a me, profano, che nei canti e nelle cantine (perché non
ha messo anche incanti, nel titolo?) ci si può perdere. Le parole avvolgono
perché sono:
“come il vino, hanno
bisogno del respiro e di tempo perché il velluto della voce riveli il loro
sapore definitivo” (Luis Sepulveda) .
Così è piacevole farsi accompagnare in questo non immaginifico viaggio fra paesi,
città, cantine e produttori attenti e capaci, nominati uno ad uno, da Taranto a Manduria, a Copertino a Brindisi
e ancora altri, campi di terre rosse, viti e vitigni, canti e cantori. Fare
accarezzare il negramaro di Copertino dalla voce di Sangiorgi, il Negramaro e i
Negramaro. Oppure sentire irrompere “libiamo libiamo” de La Traviata bevendo
bollicine ad Alezio. O ancora immaginare
il sapore forte e prepotente di un primitivo bevuto sulle note di “All’alba
Vincerò” cantato da Mario Del Monaco. E ancora risentire, perché scordarcene?
“…La fatica è di più
Sulle braccia scure
Lacrime
Non ne abbiamo più
Facce scolpite e dure
Voglia di cambiare
Bella terra mia
Nata allu soli
Forte terra mia
All’odio e all’amuri
E sacra como stu cielu
Grande co’a stu mari
Tutta la vogghiu
Tutta la vogghiu
liberari…”
cantata in un Festival di Sanremo il secolo scorso da Mariella
Nava da Taranto. E ascoltarla mentre si beve un negramaro figlio della forte
terra da liberare dall’ipocrisia, dai rifiuti forse. Terra grande, immensa,
imprigionata fra i due mari. “Una zattera” per citare un altro immenso
salentino, il regista, autore, attore Mario Perrotta.
Oppure sedersi e sorseggiare un rosato di negramaro, perché
altro non può essere, secondo Pino, il vino rosato se non di uve
Negramaro. Perché il rosato non è del
Salento, ma è il Salento stesso. Ne ha i profumi, la luce, la forza. Chissà,
questa domanda la giro all’autore, se ne ha anche le contraddizioni di essere
un rosso fermatosi a mezza strada. Sorseggiare e ascoltare musica di rinascita
e di colori intensi, albe e tramonti che fanno rima con amori e la leggera
pesantezza di sentimenti forti e avvolgenti, ascoltando la primavera di Vivaldi.
A leggere il viaggio salentino di De Luca, piuttosto che le
colline monferrine o langarole, terre di nobilissimi vini che si chiamano
Barolo, Barbaresco, Barbera, il misconosciuto (ingiustamente) Grignolino ecc., mi
è venuto in mente il ligure sciacchetrà.
Vitigno coltivato su terrazzamenti che guardano il mare delle Cinque Terre.
Terreno strappato alle rocce, ripulito, dove si produce quella meraviglia.
Forse saranno quelle rocce che vedo spuntare di tanto in tanto dalle terra
rossa di Salento a ricordarmelo, chissà. O forse la vicinanza del mare. E non
si può parlare di Liguria, mi consentirà Pino, senza riascoltare Creuza de ma di Fabrizio De Andrè. Quei
sentierini che fanno tornare alla mente contadini con la vanga in spalla. Ho
fatto una digressione geografica anche se, ammetto e concordo pur nella mia
enoica ignoranza, con Pino “…Abbiamo vini
in Salento che non temono assolutamente i maestri d’altre parti d’Italia e
nemmeno quelli d’oltralpe…”, ma sui vini francesi non facciamo digressioni,
quando vorranno imparare a vinificare, l’Italia intera li accoglierà con gioia
e senza far loro pesare una pur evidente superiorità.
Pino De Luca – Per Canti e Cantine – Kurumuny editore - € 12,00
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