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lunedì 7 ottobre 2013

Bob Kennedy

Seguire la vita "pubblica", la politica, il cui nome deriva da Polis ([pò-lis] s.f. inv. ST Nell'antica Grecia, sistema politico che prevedeva la partecipazione dei cittadini al governo della città - Dice il dizionario Hoepli) è sempre più complicato, non già per la difficoltà di capire il miserrimo italiano parlato da alcuni esponenti della vita politica. Ho ascoltato, finalmente un cinquestellato, tal Fico, in TV, si è concesso alle telecamere con il placet dei suoi datori di lavoro, dire che questo signore conosca le regole sintattiche e grammaticali sarebbe come dire che Borghezio è democratico.  Non per questo disprezzo la politica, in fondo ci hanno abituati ai neologismi, no nla amo più proprio per i principi evocati, praticati, detti. E di tanto in tanto inciampo in chi già da tempo aveva detto le cose che sono l'irragionevole vero che domina i nostri pensieri e la nostra vita quotidiana. Lo stesso irragionevole vero che sempre più mi inpedisce di pensare di tornare a votare. Quando un uomo, una persona, diventa colpevole del reato di clandestinità in terra, questa politica non mi interessa più.  Quando i confini diventano linee che dividono non le culture e i costumi di genti che si integrano a vicenda, che interagiscono, che si arricchiscono l'una con l'altra, piuttosto dei muri invalicabili dove a pochi metri da una parte puoi crepare per una guerra che nessuno vuole fermare, dall'altra desiderare la nuova Mercedes. Questione di una botta di culo il dove nasci. 

Il 18 marzo 1968 – Robert (Bob) Kennedy pronunciava le parole che seguono. Era in campagna elettorale e il discorso era rivolto agli studenti dell’Università del Kansas.
Tre mesi dopo veniva assassinato.


Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell'ammassare senza fine beni terreni.
Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell'indice Dow-Jpnes, nè i successi del paese sulla base del Prodotto Interno Lordo.  

Il PIL comprende anche l'inquinamento dell'aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana.
Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, comprende anche la ricerca per migliorare la disseminazione della peste bubbonica, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte, e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari.

Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l'intelligenza del nostro dibattere o l'onestà dei nostri pubblici dipendenti. Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell'equità nei rapporti fra di noi.

Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta.
Può dirci tutto sull'America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere americani.
  

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