I fatti. Nel 1963 vennero rinvenuti i resti di 63 persone
morte. Erano sepolti ad una profondità di 1,20 metri a distanza di circa 1,5
metri l’uno dall’altro. Erano senza indumenti, solo un coltello privo di manico
venne ritrovato. La cosa stupefacente fu il ritrovamento del teschio di un
cavallo assieme agli scheletri. I corpi non vennero mai identificati e l’ufficio
di medicina legale stabilì che la data della morte non poteva essere
verificata. Il giudice, per canto suo, decise che si trattò di rappresaglia e
che i resti appartenevano a partigiani o a repubblichini. La vulgata stabilì
che si trattava di una strage di appartenenti alla Repubblica Sociale Italiana
compiuta spietatamente dai partigiani.
In molti ci credettero. L’Anpi di San Giovanni in Persiceto, in particolare
Wiliam Pedrini e Carlo D’Adamo volle invece vederci chiaro e chiese ed ottenne
nel 2008 la riesumazione delle ossa e la prova al radiocarbonio. E’ di questi
giorni la comunicazione del CEDAD di Lecce, che ha eseguito le prove, che si
tratta di scheletri databili fra la fine dell’800 e il 1100.
Si chiude così un capitolo nero ed un tentativo, l’ennesimo,
di colpire la Resistenza.
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