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mercoledì 11 aprile 2012

Romanzo di una strage, il film

Banca dell'Agricoltura, Piazza Fontana Milano. 12 dicembre 1969


Ho visto il film di Giordana Romanzo di una strage, tre le figure che si stagliano nette: Aldo Moro, Luigi Calabresi e Pino Pinelli. Vedi tu il caso, tre morti violente. Di Aldo Moro molto sappiamo, tranne che fine abbia fatto la sua borsa. Di Calabresi la giustizia ha deciso che è stato ammazzato da quelli di Lotta Continua. In realtà la diabolica macchinazione dell’utilizzo di un sedicente pentito, Marino, non è riuscita a sciogliere molti nodi e personalmente ritengo che gli assassini del commissario siano ancora liberi di svolazzare. Pinelli invece, dopo una serie di indagini e processi si decise che cadde dalla finestra non a seguito di omicidio, neppure di suicidio, ma per quello che i bizzarri giudici chiamarono “malore attivo”. Una cosa del tipo “oddio come sto male, ora mi sporgo dal quarto piano della questura per prendere una boccata d’aria”.  Però spesso l’assurdo viaggia nelle parole degli “esperti”. Il 12 dicembre 1970, in una manifestazione, lo studente Saverio Saltarelli morì dopo aver ricevuto in pieno petto un candelotto lacrimogeno della polizia e la causa del decesso venne riconosciuta come “arresto cardio circolatorio”. In sostanza i medici dissero “è morto perché il cuore si è fermato”.  
Il film traccia le figure di un Aldo Moro dubbioso e spesso stupito per gli accadimenti e per le trame eversive e golpiste all’interno del suo stesso partito, fino alla richiesta di indagini parallele a quelle ufficiali per capire la dinamica stragista.
E, sempre nel film, si dice di un rapporto Calabresi – Pinelli dialogante. Addirittura lo scambio di libri in regalo, cosa confermata dalla stessa figlia di Pinelli, tuttavia cade, come rileva Adriano Sofri in un istant book pubblicato on line (http://www.43anni.it/43anni.pdf), in una inesattezza storica prendendo per buona la tesi di Cucchiarelli nel libro “Il segreto di Piazza Fontana” (Ponte delle Grazie, 2009) che dice di una doppia bomba nella banca. Sostiene infatti l’autore del libro citando fonti anonime, per tanto venendo meno al compito dello storico ma rimanendo nel gossip, che due furono le borse, una anarchica messa da Valpreda e una fascista più potente commissionata da un’accozzaglia di: CIA, Servizi italiani e fascisti. Senza riscontro alcuno pare una tesi quanto meno bizzarra, se non del tutto priva di fondamento e falsa. Quasi a voler giustificare una sorta di opposti estremismi e dimostrare come fossero tutti uguali. Le trame fasciste e golpiste, le collusioni dei servizi segreti e di interi apparati dello Stato sono cose ampiamente dibattute e dimostrate in alcuni processi. Le bombe anarchiche continuano a stare nell’immaginario di chi voleva (e vuole) ridarsi una verginità. Come stranissimo continua ad essere il fatto che di terrorismo rosso tutto è venuto fuori, di quello nero ci sono ancora buchi e coni d’ombra che forse verranno illuminati solo dall’apertura degli archivi o dalle, ahinoi improbabilissime, confessioni di novantenni ancora lucidi e da settant’anni molto dentro le cose della politica (a volte anche del malaffare).
Peccato per questa bizzarria della doppia bomba, sarebbe stato un bel film. Anche se la parte “didattica” presuppone informatissimi spettatori, sfido qualunque persona che abbia meno di quarant’anni a districarsi fra i personaggi: Saragat, Rumor, Moro, le stesse stragi che per moltissimi giovani sono quelle delle “brigate rosse”. Ricordo un poco più che ventenne che alla stazione di Bologna mi disse “è qui che le brigate rosse hanno messo la bomba?”. 

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