La cultura non è un lusso, è una necessità” (Gao Xingiian)
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ph Dal sito:http://www.tagbolab.it/2011/04/
Sono stato ai Koreja. Si parlava di cultura e di Lecce. Un
maledetto raffreddore che mi riempiva la testa di vuoto ottundimento mi ha
costretto ad andarmene presto. Ho avuto giusto il tempo di vedere il bellissimo
corto evocativo. Una videocamera davanti al Duomo, con la vita che circolava
sulla piazza immobile, Lecce, bimbi, leccesi, turisti che si muovevano e lei
rimaneva lì, altera, austera, intrigante, quasi seducente. Ho ri/visto quello
che avevo già visto mille volte, quasi ogni mattina passando proprio lì. Estati
torride e inverni quasi tiepidi nonostante le nebbie fitte della
circonvallazione. Capita di toccarla quella piazza, accarezzarla. Capita di
ascoltarla vedendo i turisti camminare parlando a bassa voce come fossero già
in chiesa.
Poi, al Koreja, hanno
parlato autori di Lecce, per Lecce, su Lecce. Sulla cultura senza kappa,
proprio con la c. Evidentemente gli organizzatori avevano sentore di
partecipazione limitata, infatti poche erano le seggiole, ma questo è un bene. Le
mie sono impressioni di un ospite che neppure vota qui a Lecce, di uno che
arriva dalla provincia su al nord. A
Lecce uno ci deve proprio venire, non ci passa da qui per caso. Ad Alessandria
ci si può anche passare mille volte, girarci attorno, abbracciarla con lo
sguardo da qualche autostrada e magari chiedersi “chissà com’è”. Solo
chiederselo però, pochi si fermano. Non c’è neppure una Piazza Sant’Oronzo. Una
volta c’era un bel duomo, poi arrivò il francese generale imperatore e lo fece
abbattere, voleva la Piazza
d’armi. Poco più in là ne venne costruito uno mica tanto bello. E’ vero, c’è la
cittadella militare, importante e fatta a stella, e c’è Santa Maria di
Castello, chiesa dagli antichi fasti. Il resto è … Alessandria. 80.000 abitanti
circa. Non uno straccio di casa editrice. Neppure un quotidiano di carta. Solo
un trisettimanale che si chiama Il Piccolo, sedicente indipendente, poi un
settimanale “La Voce
Alessandria ” del vescovo. Per la cronaca quotidiana ci si
affida alle pagine locale de La Stampa. Qualche giornaletto on line nato negli
ultimi anni.
Per questo mi è sempre piaciuta Lecce con i suoi editori,
magari piccoli e di nicchia, ma attenti. Per questo i quotidiani di carta in
città sono importanti. Tutti condivisibili? Tutti belli? Neppure per idea, a
volte l’informazione è troppo localistica, senza respiro altro che quello che
si sente a Palazzo Carafa e ai Celestini. Spesso Bari sembra lontanissima. Però c’è fermento, attività. Comunque li leggi, e annoti, e ne discuti, se
ti va intervieni perché qui c’è accoglienza.
Poi autori, romanzieri, saggisti, poeti, registi, pittori e
ancora e ancora. Ci sono giornate in cui non è facile scegliere fra diverse
presentazioni di libri o mostre. C’è fermento a Lecce, sconosciuto in altri
luoghi. Penso a lassù, ad Alessandria che ha prodotto eccellenze. Umberto Eco
la guarda da lontano, Cotroneo si è seduto sul Salento e sull’Italia intera.
Anche Rivera (Gianni, quello del Milan) è andato a Milano per diventare Rivera
e deputato. Manca la consapevolezza dell’appartenenza. Anche perché, dicevo con
amici di quaggiù, la nostra memoria storica si ferma alla Resistenza, qui i
martiri d’Otranto sono ancora presenti. Mi sembra ci sia un ricordo militante
delle storie e della storia e capacità di rivendicare appartenenza alla cultura
e al territorio.
Tuttavia la scelta, giusta dal punto di vista dell’economia,
è stata di lanciare Solemarejentu quasi come unico “Salentu”. Se è giusta da
questo punto di vista, l’errore è stato forse quello di fermarsi lì, di non
voler tenere presente la vivacità del pensiero, quasi fosse scontata. Se
funzionano i cinema che sono spesso pieni, se funziona il teatro, sia pure,
come dicono alcuni, con programmazione ridotta, non vuol forse dire che c’è voglia
di cultura?
Allora qual è il problema? Forse ha ragione Mauro Marino
quando parla della mancanza della politica, della povertà intellettuale degli
amministratori locali. Una città, una Provincia deve essere amministrata,
gestita e valorizzata per quello che offre. Un esempio (banale?) è stata la
colata di bianca plastica delle ultime festività sul Piazza Sant’Oronzo e
Mazzini. Questione di scelte culturali, etiche e politiche ovviamente. Se in
casa mia c’è un orologio antico appoggiato su una consolle Luigi XVI posso
coprirla con una borsa di plastica del supermercato, però, solitamente e giustamente,
la spolvero e la illumino per farla
notare dai miei ospiti.
Se in un territorio ci sono artisti, la politica può
lasciare la palla in mano a case editrici o galleristi che facciano quel che vogliono,
oppure l’amministrazione si deve porre il problema di come valorizzare e
soprattutto come non far fuggire via quelle che sono vere eccellenze. Se la
pizzica e la taranta diventano un unicum su cui investire c’è un problema.
Al momento sembra che le amministrazioni stiano comodamente
stravaccate sulla poltrona più comoda, senza porsi voler “creare cultura”, in
un territorio in cui farlo è agevolato proprio dalla presenza di tanti
talenti. Purtroppo anche l’informazione
segue troppo spesso l’onda virtuosa (?). Pagine di cultura sulle quali si
risparmia “perché non interessano”. Beh, anche in TV interessava il Grande
Fratello, è eticamente e culturalmente giusto investire solo su quello? Dal
punto di vista della TV spazzatura lo è sicuramente, da quello di amministratori
della cosa pubblica è inammissibile.
Il malgoverno getta cervelli all’ammasso. Speriamo in un
prossimo futuro di svolta.
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