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sabato 7 gennaio 2012

Lecce, cultura, Koreja




La cultura non è un lusso, è una necessità” (Gao Xingiian)


 Sono stato ai Koreja. Si parlava di cultura e di Lecce. Un maledetto raffreddore che mi riempiva la testa di vuoto ottundimento mi ha costretto ad andarmene presto. Ho avuto giusto il tempo di vedere il bellissimo corto evocativo. Una videocamera davanti al Duomo, con la vita che circolava sulla piazza immobile, Lecce, bimbi, leccesi, turisti che si muovevano e lei rimaneva lì, altera, austera, intrigante, quasi seducente. Ho ri/visto quello che avevo già visto mille volte, quasi ogni mattina passando proprio lì. Estati torride e inverni quasi tiepidi nonostante le nebbie fitte della circonvallazione. Capita di toccarla quella piazza, accarezzarla. Capita di ascoltarla vedendo i turisti camminare parlando a bassa voce come fossero già in chiesa.
Poi, al Koreja,  hanno parlato autori di Lecce, per Lecce, su Lecce. Sulla cultura senza kappa, proprio con la c. Evidentemente gli organizzatori avevano sentore di partecipazione limitata, infatti poche erano le seggiole, ma questo è un bene. Le mie sono impressioni di un ospite che neppure vota qui a Lecce, di uno che arriva dalla provincia su al nord.  A Lecce uno ci deve proprio venire, non ci passa da qui per caso. Ad Alessandria ci si può anche passare mille volte, girarci attorno, abbracciarla con lo sguardo da qualche autostrada e magari chiedersi “chissà com’è”. Solo chiederselo però, pochi si fermano. Non c’è neppure una Piazza Sant’Oronzo. Una volta c’era un bel duomo, poi arrivò il francese generale imperatore e lo fece abbattere, voleva la Piazza d’armi. Poco più in là ne venne costruito uno mica tanto bello. E’ vero, c’è la cittadella militare, importante e fatta a stella, e c’è Santa Maria di Castello, chiesa dagli antichi fasti. Il resto è … Alessandria. 80.000 abitanti circa. Non uno straccio di casa editrice. Neppure un quotidiano di carta. Solo un trisettimanale che si chiama Il Piccolo, sedicente indipendente, poi un settimanale “La Voce Alessandria” del vescovo. Per la cronaca quotidiana ci si affida alle pagine locale de La Stampa. Qualche giornaletto on line nato negli ultimi anni.
Per questo mi è sempre piaciuta Lecce con i suoi editori, magari piccoli e di nicchia, ma attenti. Per questo i quotidiani di carta in città sono importanti. Tutti condivisibili? Tutti belli? Neppure per idea, a volte l’informazione è troppo localistica, senza respiro altro che quello che si sente a Palazzo Carafa e ai Celestini. Spesso Bari sembra  lontanissima. Però c’è fermento, attività.  Comunque li leggi, e annoti, e ne discuti, se ti va intervieni perché qui c’è accoglienza.
Poi autori, romanzieri, saggisti, poeti, registi, pittori e ancora e ancora. Ci sono giornate in cui non è facile scegliere fra diverse presentazioni di libri o mostre. C’è fermento a Lecce, sconosciuto in altri luoghi. Penso a lassù, ad Alessandria che ha prodotto eccellenze. Umberto Eco la guarda da lontano, Cotroneo si è seduto sul Salento e sull’Italia intera. Anche Rivera (Gianni, quello del Milan) è andato a Milano per diventare Rivera e deputato. Manca la consapevolezza dell’appartenenza. Anche perché, dicevo con amici di quaggiù, la nostra memoria storica si ferma alla Resistenza, qui i martiri d’Otranto sono ancora presenti. Mi sembra ci sia un ricordo militante delle storie e della storia e capacità di rivendicare appartenenza alla cultura e al territorio.
Tuttavia la scelta, giusta dal punto di vista dell’economia, è stata di lanciare Solemarejentu quasi come unico “Salentu”. Se è giusta da questo punto di vista, l’errore è stato forse quello di fermarsi lì, di non voler tenere presente la vivacità del pensiero, quasi fosse scontata. Se funzionano i cinema che sono spesso pieni, se funziona il teatro, sia pure, come dicono alcuni, con programmazione ridotta, non vuol forse dire che c’è voglia di cultura?
Allora qual è il problema? Forse ha ragione Mauro Marino quando parla della mancanza della politica, della povertà intellettuale degli amministratori locali. Una città, una Provincia deve essere amministrata, gestita e valorizzata per quello che offre. Un esempio (banale?) è stata la colata di bianca plastica delle ultime festività sul Piazza Sant’Oronzo e Mazzini. Questione di scelte culturali, etiche e politiche ovviamente. Se in casa mia c’è un orologio antico appoggiato su una consolle Luigi XVI posso coprirla con una borsa di plastica del supermercato, però, solitamente e giustamente, la spolvero e  la illumino per farla notare dai miei ospiti.
Se in un territorio ci sono artisti, la politica può lasciare la palla in mano a case editrici o galleristi che facciano quel che vogliono, oppure l’amministrazione si deve porre il problema di come valorizzare e soprattutto come non far fuggire via quelle che sono vere eccellenze. Se la pizzica e la taranta diventano un unicum su cui investire c’è un problema.
Al momento sembra che le amministrazioni stiano comodamente stravaccate sulla poltrona più comoda, senza porsi voler “creare cultura”, in un territorio in cui farlo è agevolato proprio dalla presenza di tanti talenti.  Purtroppo anche l’informazione segue troppo spesso l’onda virtuosa (?). Pagine di cultura sulle quali si risparmia “perché non interessano”. Beh, anche in TV interessava il Grande Fratello, è eticamente e culturalmente giusto investire solo su quello? Dal punto di vista della TV spazzatura lo è sicuramente, da quello di amministratori della cosa pubblica è inammissibile.
Il malgoverno getta cervelli all’ammasso. Speriamo in un prossimo futuro di svolta.     

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