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giovedì 5 gennaio 2012

Giuseppe (Pippo) Fava. Anniversario


“La mafia? È ormai dovunque, nel mondo: ma qui, a Catania, no. Lo escludo. Davanti al mondo testimonio che mai pressione o intimidazione c’è stata, in questa parte della Sicilia, in questa città storicamente immune dal cancro che mi dite. Polveroni, chissà da chi ispirati.” [Intervista al sindaco Angelo Munzone su La repubblica, 9 gennaio 1984]

Catania, solo 4 giorni prima di questa ignobile dichiarazione, il 5 gennaio 1984, venne assassinato Giuseppe (Pippo) Fava. Era giornalista, scrittore, sceneggiatore. Già direttore responsabile de Il Giornale del Sud e fondatore del periodico antimafia I Siciliani, proprio nella sua regione fu il secondo giornalista trucidato dalle cosche dopo Peppino Impastato.
 Nato a Palazzolo Acreide (Siracusa) il 15 settembre 1925, si trasferì con la famiglia a Catania. Laureato in giurisprudenza, divenne giornalista professionista e collaborò con la Domenica del Corriere, Tuttosport, Tempo illustrato. Caporedattore di Espresso Sera fino al 1980, riuscì ad intervistare alcuni boss di cosa nostra. Passò al Giornale Del Sud realizzando una testata coraggiosa, lottò a lungo contro la base missilistica di Comiso, e contro le collusioni che denunciava con ostinata puntualità,  poi il suo giornale venne acquistato da  personaggi sconosciuti: Lo Turco, Graci, Aleppo e Salvatore Costa. Lo Turco e Graci in particolare frequentavano Nitto Santapaola. Dopo un attentato al giornale, Fava venne licenziato i suoi colleghi per solidarietà occuparono il Giornale che presto venne chiuso.
Pippo Fava
Disoccupato, fondò una cooperativa senza il becco di un quattrino, con cambiali acquistò l’indispensabile per fare uscire I Siciliani che divenne immediatamente un organo importantissimo per i movimenti antimafia. Denunciava collusioni, faceva inchieste su attività illecite che portavano fino a Sindona, collegò tali attività al clan Santapaola-
Alle 22 del 5 gennaio a bordo della sua Renault, venne freddato con cinque proiettili alla nuca. In perfetto stile mafioso si parlò di delitto passionale. Il sindaco rifiutò esequie ufficiali con l’ignobile frase citata, l’onorevole Drago chiese la chiusura immediata delle indagini per “non far scappare le fabbriche al nord” (le stesse gestite dagli amichetti di Sindona). Nonostante loro una folla immensa si strinse attorno ai giornalisti durante i funerali. Catania non era mafiosa, mafiosi e collusi erano i suoi amministratori.  
Vari gradi di processo finiti nel 2003 videro condannati Nitto Santapaola, Marcello D’Agata, Francesco Giammuso, Lado Ercolano, Maurizio Avola.

   “Se un giornale non è capace di questo (dire le verità n.d.r.), si fa carico anche di vite umane. Persone uccise in sparatorie che si sarebbero potute evitare se la pubblica verità avesse ricacciato indietro i criminali: ragazzi stroncati da overdose di droga che non sarebbe mai arrivata nelle loro mani se la pubblica verità avesse denunciato l’infame mercato, ammalati che non sarebbero periti se la pubblica verità avesse reso più tempestivo il loro ricovero. Un giornalista incapace – per vigliaccheria o calcolo – della verità si porta sulla coscienza tutti i dolori umani che avrebbe potuto evitare, e le sofferenze. Le sopraffazioni. Le corruzioni, le violenze che non è stato capace di combattere. Il suo stesso fallimento!  (Pippo Fava)

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