“Creàa cultura, anca per nuum, che gh’em la crapa pien de
cultura, ma di padrum…” (Creare cultura anche per noi, che abbiamo la testa
piena di cultura, ma dei padroni…”
(Ivan Della Mea)
Parlare di cultura e di sinistra, l’ha fatto Della Mea in
questa lettera aperta a Bertinotti pochi prima di andarsene e lasciarci qui con
le sue canzoni (per i pochi che lo ricordano nel mondo delle banche e del
berlusconismo duro da sconfiggere). Lettera pubblicata su Il Manifesto nel
2007. Neppure troppo tempo fa. Un sacco di tempo fa visti gli accadimenti.
A margine della riunione alle Cantelmo di Lecce 2.0dodici mi
è tornata in mente. Esiste una cultura di sinistra? Non credo proprio. Esiste
un modo di fare cultura, creare cultura, proporre cultura, democratico e
plurale. La lettera si sofferma sullo scippo che il PD ha fatto alle persone
tutte, quello di chiudere le sezioni per chiudere i dirigenti negli uffici. Da
quel momento è stata disfatta non solo economica, soprattutto etica. Evidentemente
i nuovi dirigenti non sono in grado o non possono o non vogliono più creare
cultura, sono diventati fruitori e scippatori della cultura di plastica delle
TV e dei grandi eventi. Scordando troppo spesso di ripartire dall’esistente, di
ascoltare, di guardare e riuscire, addirittura, a vedere quel che accade fra
Piazza Sant’Oronzo e i luoghi cosiddetti “della movida”. Così accade che una
destra stracciona e becera voglia chiudere con cancellate una piazzetta perché “gli
abitanti lo vogliono”. Bella scusa veramente, è come quel giornalista cretino
che chiese al familiare del ragazzo appena ammazzato “cosa farebbe al
colpevole?” La risposta attesa, dal punto di vista del cretino, poteva essere
una sola. Al punto che “la pena di morte” non ebbe eco quanto quella della madre
della ragazza, ahinoi, accoltellata che rispose “Io? Nulla, è la giustizia che
deve provvedere, non certo io. Io piango mia figlia”. Cultura anche questa, in
fondo, cultura della democrazia e della convivenza. Un amministratore che si
rifaccia alla democrazia e al pluralismo dovrebbe forse ripartire da qui,
cultura è ambiente, è una città vivibile, cultura è partire dal centro storico che
è un museo per riaprirlo in ogni suo angolo e portarlo nelle periferie, perché la
città è una, da Piazza Sant’Oronzo alla 167. Una bella scommessa, caro Carlo,
però ci possiamo ragionare.
La lettera di Ivan, che vuole essere anche un omaggio al suo
ricordo.
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Caro
Bertinotti,
mi
tornerebbe meglio «caro Fausto» non foss’altro che per gli anni di affetto e di
stima reciproci.
Tiremm
innanz.
Ti
ho ascoltato martedì 24 corrente mese e anno a «Otto e mezzo». Te la sfangavi
col Mieli direttore del Corrierone. Le tue argomentazioni sui diversi temi …
partito democratico, ruolo della sinistra e delle sinistre in un quadro sia
nazionale sia europeo … lì per lì mi sono apparse piuttosto convincenti e ho
apprezzato la cura e il garbo con i quali hai espresso il tuo pensiero sempre
come dirigente politico e mai, com’era giusto che fosse, come Presidente della
Camera. In particolare mi ha colpito la tua determinazione nel chiarire come
fosse assolutamente prioritario ritrovare e rimettere in gioco quella voglia di
politica che fu sostanza e linfa vitale di tutta la storia del movimento
operaio italiano e dunque cosa sia delle masse operaie (e contadine aggiungo di
mio) sia delle organizzazioni partitiche e sindacali e sociali e
cooperativistiche e culturali (mi è caro il tuo riferimento preciso all’Arci)
che da quella voglia trassero la loro ragion d’essere: con giusta ragione hai
insistito sull’urgenza siccome impegno ideale politico e culturale e dunque
anche etico di adoperarti perché tutto ciò informasse una sinistra da costruire
sulle macerie, dico io, di tante troppe tutte forse le sinistre già alienate se
non addirittura obliterate e obliate.
Tutto
bene madama la marchesa? A botta calda sì, caro Fausto e fors’anche perché
riconosco a me stesso una sublime ignoranza politica con la quale faccio aggio
assai più sul dubbio che non sulla certezza.
Giust’appunto
il dubbio.
Io
ho vissuto sia come lavoratore e come artigiano di canzoni, sia come scrittore
e sia come dirigente dell’Arcicorvettocheincormistà e sia oggi come presidente
dell’Istituto Ernesto de Martino «per la conoscenza critica e la presenza
alternativa del mondo popolare e proletario» … io quella voglia di cui sopra
l’ho vissuta per cinquant’anni e a quell’etica mi sono formato pensando e
credendo che tutti insieme si crescesse come cittadini portatori e propugnatori
di senso civico, di solidarietà, di fratellanza, capaci di coniugare i saperi
delle scienze con la pratica quotidiana della conoscenza e di dare quindi alla
parola compagno sia il senso primo dei rivoluzionari francesi sia quello dei
partigiani vietnamiti per i quali significa «ti conosco». Non è stato così
Fausto. Mai è stato così. La ragione di partito, preciso, delle sue strutture
dirigenti, ha costantemente mortificato l’etica dei valori, quelli che tu hai
richiamato martedì sera, con la pratica di una concezione nient’affatto
democratica e per tristissimo contrapposto affatto centralistico-verticistica:
quelle masse che tu hai richiamato sono state espropriate della propria anima o
se preferisci del proprio sacro e il processo di progressiva depauperazione è
stato volutamente perpetrato fino all’infamia dell’azzeramento delle strutture
di base che sono stati luoghi dell’incontro fisico e intellettuale e morale: le
sezioni, le tante sezioni del nostro dire e fare, del nostro incontrarsi e
scontrarsi e del nostro rapportarsi col e nel sociale ma, alla buon’ora e
sempre, del nostro quotidiano imparare a conoscerci. Noi, noi classe noi massa
noi icché ti pare, noi siamo stati l’etica della sinistra, quella che è stata
distrutta nel nome della ragione di partito sempre più coincidente con la
ragione di potere, spesso, sempre quasi, molto personale. E questo, caro
Fausto, fu a mio avviso l’errore più grave che non abbiamo saputo o voluto vedere
«l’errore del mio, del tuo potere / e di ogni potere un po’ personale / per
oggi è tutto / avanti Michele». Avanti, Fausto.
Ivan Della Mea
[da
il manifesto del 26 luglio 2007]
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