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martedì 30 luglio 2013

Francesca Caminoli - C'erano anche i cani

“Una volta, quando facevo il ganzetto, mi piaceva moltissimo l’espressione di uno che faceva il filosofo di mestiere, che diceva “né ridere, né piangere, ma capire” quando gli uomini interpretano le cose. Più tardi ho avuto la sensazione netta che si trattasse della più grande stronzata che avessi mai sentito nella mia vita e che il problema era esattamente d ridere, piangere e capire” (Adriano Sofri al congresso di Lotta Continua, novembre 1976).


E’ l’incipit del nuovo libro di Francesca Caminoli “C’erano anche i cani”, che finisce con un’altra frase che in sostanza riassume il tutto: “Come erano strani quegli anni”.
E’ un libro di emozioni, sensazioni, è la biografia di una “ragazza del ‘68”, probabilmente una riflessione autobiografica, ed è la fotografia di una generazione che è passata attraverso gli anni ’70 condividendo una vita che forse è stata sopra le righe, ma che è stata vissuta con l’intensità della scoperta del nuovo, della speranza, della delusione e disillusione.
Non è un libro sulla storia trita e ritrita di quello che si chiama comunemente “il ‘68”. Maria, Matteo, Luca e Giacomo sono fratelli di una famiglia borghese che passano attraverso quel periodo con le loro storie. Nascono sette stupendi quadri ognuno dei quali accompagnato da un cane, Divo e la fisarmonica, Baldo e il braccio rotto, Paco e Zanna Bianca, Ciclone e la Grecia, Grigia e la rivoluzione, Bella e i morti di aprile, Pongo e le donne. Sette capitoli che raccontano noi e la nostra storia. Libro agile, snello, accattivante, che consente a chi ha vissuto quei periodi di ritrovarsi. Passano i Rolling Stones, i Beatles, i Pink Floyd. Passa Ivan Della Mea e l’internazionale cantata guardando un tramonto a Creta: “Ma che c’entra?” rise Giorgio. “Non so, mi è venuta da sola”. E passano gli hyppies e i rockers, due ragazzi inglesi vestiti di nero e borchiati che vengono in vacanza in Italia. Passano i primi amori adolescenziali e i rimproveri della famiglia che non comprende quei figli. E mi tornano alla mente altri genitori che dicevano ai figli in jeans ed eskimo “ma cosa volete ancora? Avete tutto, noi abbiamo fatto la guerra e la rinascita dell’Italia, voi cosa volete più del benessere?” Era difficile, impossibile forse, spiegare che la vita per loro era stata creare benessere, per noi era aumentarne la qualità. Il Vietnam lo sentivamo come una ferita, i movimenti dei ragazzi americani vestiti strani, che praticavano il libero amore con fiori fra i capelli, Creta e l’Europa che erano meta di statunitensi renitenti alla leva, che non rispondevano alla chiamata per andare a combattere guerre non loro, poi l’Italia e l’Europa che si infiammarono e noi che perdemmo la verginità dopo le stragi e dopo il crescendo della politicizzazione che ha raggiunto apici estremi. Ne parla Maria quando dice del verboso leaderino che parla sempre e dà la linea, delle ragazze innamorate dei capi e utilizzate per il ciclostile. Lei che faceva parte di quella parte che voleva cambiare le cose, però era sempre in rotta con quelli che sapevano tutto, i leader che mal sopportava. Era, in fondo, la differenza evidente ed esistente fra orizzontale e verticale, fra condividere ed eseguire, loro, i leader, che imitavano quelli più grandi da una parte e gli altri, quelli che banalmente volevano cambiare il mondo, magari senza violenza dall’altra. Maria non amava gli slogan cruenti che evocavano teste fracassate. Erano i giorni in cui la politica diventava totalizzante e si tentò di imitare altre forme partito. In cui neppure i leader comprendevano che quella generazione aveva altri desideri, altri scopi, aveva un’altra vita da vivere, non quella degli apparati, piuttosto quella della fantasia. Ed erano i tempi in cui “essere comunisti” nulla aveva a che vedere con quel comunismo evocato dalle destre di oggi, era liberazione, era un banale principio: “da ciascuno per le sue capacità, a ciascuno per i suoi bisogni”. Un sacerdote mi disse un giorno “cosa c’è di più cristiano?” Peccato per quella politicizzazione estrema.  Francesca Caminoli riesce a far nascere tutte queste riflessioni in chi ha vissuto quegli anni, ma riesce sicuramente a suscitare interesse nei più giovani, il romanzo è leggero come una foglia, piacevole, scorre e si legge tutto d’un fiato, come d'altronde gli altri suoi romanzi. Anche quando parla dell’arrivo del femminismo, del maschilismo presente a destra e putroppo anche a sinistra, che fece in molti casi scontrare uomini e donne, proprio come sanno fare bene le sinistre da sempre, scontri interni perché ognuno è più puro degli altri, ha la linea più giusta, ha ragione più dell’altro. O dice della morte per strada di Varalli, di Zibecchi. Anche quando parla dell’arrivo tetro del terrorismo che Maria, la protagonista, si è vista passare in casa ed ha immediatamente chiuso le sue porte a quella pratica nichilista e tutto sommato tanto uguale ad altri terrorismi, quelli, per capirci, che avevano tolto la gioia ai movimenti.
E’ vero, in fondo quegli anni erano strani.

Francesca Caminoli - C’erano anche i cani – Jaca Book editore. € 14,00.

Della stessa autrice segnaliamo, sempre per i tipi di Jaca Book: Il giorno di Bajram – 1999, La neve di Hamed – 2003, Viaggio in requiem – 2010, La guerra di Boubakar – 2011. 


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