Grillo ieri ha riempito di
nuovo una piazza, mentre Bersani non ha fatto il pienone a Napoli. Grillo ha
anche cacciato i giornalisti italiani.
L’insieme dei gesti di
Grillo, l’ostracismo verso i sindacati, i giornalisti, persino quelli precari,
è un brutto copione. La sua è un onda forte e lunga. Farà una performance
elettorale attorno al 20 per cento, dissanguerà i serbatoi di voto leghisti,
calamiterà una parte importante della protesta. Nel sud, raccoglierà un disagio
sociale tanto più grave perché al sud è stata negata la parola, in questi anni.
Un promemoria completo sull’urgenza di un rinnovamento radicale.
Così Nichi Vendola in un’intervista a Il Manifesto del 24
febbraio, prima delle elezioni. Grillo ha preso il 25,5% anziché l’annunciato
20. Ora un ragionamento si impone non solo ai partiti ma a chiunque si occupi
di politica. Non sappiamo cosa succederà ora, soprattutto non si ha sentore di
come le donne e gli uomini di Grillo si comporteranno in Parlamento, nelle
Commissioni. Unica certezza sono le dichiarazioni di intenti del loro capo che
non si alleerà con nessuno. Condivisibili o meno siano, questi sono i fatti con
i quali fare i conti. Piuttosto è necessario intanto il massimo rispetto del
voto degli italiani, in Democrazia vince chi prende più voti e il voto deve
essere accettato nonostante tutto. In secondo luogo sarebbe bene evitare i
luoghi comuni che vogliono un popolo bue, le persone votano di pancia e di
testa, anche il cattolico che vota Berlusconi “perché difende i valori etici”
(sic) a prescindere dai suoi comportamenti quotidiani che sono l’esatto opposto
dell’etica, deve essere rispettato. Ai dietrologi lasciamo la ricerca di più
sottili interpretazioni. Allo stato delle cose ha vinto il migliore, Grillo con
il suo tsunami che ha saputo entrare nella pancia di un’Italia squarciata da
vent’anni di non politica, schiava dell’Europa delle banche anziché attore
principe in un consesso continentale. Schiava della caduta di ideologie che
hanno avuto come unico risultato di trasformare veramente in “tutti uguali” i
partiti. Ha vinto il migliore perché è
quello che più e meglio ha saputo parlare alla gente. Mi sento vecchio
veramente oggi, perché auspicavo un ritorno al sistema proporzionale come unico
e puro, democratico, che mi consentiva di crociare il candidato che ritenevo
migliore. Se Grillo non è un episodio, sembra un falso problema in realtà, le
elezioni le ha vinte al di là dei
candidati. Quanti elettori del cinque stelle conoscevano i candidati che stavano votando? Hanno votato
un’idea, più o meno sfascista, un pensiero, un uomo, Grillo stesso, che non è
candidato a nulla. Stupendo veramente, esaltante. Ha vinto veramente il
migliore. Le sue istanze sono perfettamente condivisibili perché, come bene
dice Vendola, raccoglie il disagio delle persone. Altro è il governo di un
paese, ovviamente. Ha vinto contro una destra retriva, cupa, bieca. Contro i
Fitto di turno, condannati, contro i Berlusconi che promettono
l’impromettibile. Ha vinto contro un centro sinistra smarrito, bieco, ondivago,
incomprensibile. Cosa significa una coalizione di due in cui uno insegue Monti
e l’altro dice “con Monti mai”? Cosa
significa che tutti i partiti usciti dai parlamenti degli ultimi anni si siano categoricamente
rifiutati di mutare una legge elettorale criminale? Le camarille parlamentari
alle persone non interessano assolutamente, guardano i fatti! E cosa significa
avere imposto un anno di un governo al limite della dittatura, voluto da un Presidente
della Repubblica (fortunatamente) uscente ed aver votato ogni tipo di salasso
agli enti locali, ai cittadini tutti, offrendo in cambio solo ed esclusivamente
l’appartenenza ad un’Europa lontana come non mai dal sentire comune? E cosa
significa aver tenuto in piedi un parlamento offrendo un governo di grande
convivenza incivile anziché andare immediatamente ad elezioni dopo la caduta
del “peggiore”? Sarebbero state elezioni stravinte ed avremmo guadagnato un
anno per tentare un buon governo, quanto meno dignitoso. La vittoria, giusta,
di Grillo non penso sia, come scrive una nota direttrice di testata, il ’68 dei
figli che sono riusciti in ciò che i loro padri avevano fallito, piuttosto la
caduta verticale della politica peggiore, sono i nodi che vengono al pettine.
La sinistra torni a fare la sinistra come la destra bene riesce a fare il suo
lavoro. Improbabili inciuci e camarille non pagano più. Ancora una cosa sui
costi della politica, la vittoria di Grillo ha insegnato che si può entrare nei
palazzi senza spendere montagne di quattrini, questo è un altro nodo che i
partiti tutti, destri o sinistri, non hanno affrontato mai, arroccati nella
difesa del loro potere. A nulla sono servite le primarie quando etero dirette.
Cosa significa portare in lista candidati
che hanno avuto come filo rosso la sconfitta in ogni elezione precedente? Le
cosiddette, con un pessimo neologismo grillesco, “parlamentarie” anche erano
false o falsate, l’esempio leccese è lampante, Buccarella, stimabile perché
serio, non è neppure consigliere comunale, ha preso nelle elezioni pochissimi voti e si trova in Senato. Però il
suo partito ha la verginità extra parlamentare, un valore aggiunto in una
classe politica al limite dell’indecenza che vota l’IMU e il giorno dopo dice
che è una porcata, che fa una legge elettorale e la definisce porcata e si
rifiuta di mutarla. Ora che succederà? Si andrà di nuovo al voto come vuole
qualcuno o si tenterà un governissimo come vogliono altri? Soprattutto il PD
riuscirà finalmente a spaccarsi e tornare nella sua parte migliore a parlare un
linguaggio chiaro a chi vuole solidarietà e uno stato sociale, oppure
proseguirà ad appiattirsi ai voleri del più forte? Aspettiamo con disillusa ansia.
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