E' roba vecchia, però la metto lo stesso.
http://www.youtube.com/watch?v=xMOEYobmWqA&feature=related
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La Nave dei folli
E disse «Andiamo si va per partire
il vento già spacca già gonfia le
vele
e l'àncora-angoscia per mille e più
braccia
già leva dal fango di mille miserie»
«Non posso» - risposi - «le mille
valigie
di questa partenza mi legano al
mondo;
io per partire le devo lasciare
però senza quelle per me non c'è
volo»
Mi disse: «Il bagaglio di mille
paure
per mille d'angosce di vecchie
certezze
per mille speranze di cane deluso
che resta bastardo tra mille
carezze»
Mi disse: «È questo che devi lasciare
sul molo del tempo per una speranza
raccogli il tuo sporco e tienilo
stretto
ché altro non serve per fare
allegria»
Ma quanto dolore per dare allo svolo
di te fantasia un attimo solo
È piena la nave dei cani delusi
rimasti bastardi tra mille carezze
è bello vederli coi pugni ben chiusi
tenersi lo sporco, lasciar le
promesse
dei mondi civili dei mille ritratti
quadrati perfetti del senso comune
cornici di forme a specchio pulite
così che la rabbia si umilia
nell'arte
Ma quanto dolore per dare allo svolo
di te fantasia un attimo solo
E guardo la vela di fogli di
carta...
mi volto e lontano sul molo già vedo
con l'occhio civile l'esperto
dell'arte
cercare l'orgasmo sui mille bagagli
Lo guardo felice e lancio la pietra:
si ferma nel cielo più grigio di
lastra,
nel cielo si affila a lama sicura
che piomba, ti sfiora babbeo e ti
castra
La nave dei folli veleggia veloce
il foglio garrisce nel gioco di
parte;
sul bianco compare ben rossa una
croce:
un altro caduto sul campo dell'arte
Ma quanto dolore per dare allo svolo
di te fantasia un attimo solo
Milano spaccata tra uffici e
stazioni
tra fabbriche e chiese tranciate
ridendo
passate sul filo di spada e di prua:
la nave dei cani veleggia sicura
A notte coi pugni ben chiusi d'amore
guardando la scia dei mille rottami
di arte e cultura, d'angosce
d'autore
dei mille valori metropolitani:
a noi cani sporchi più volte delusi
rimasti bastardi tra mille carezze
ci prende la voglia di aprire le
mani
di unire alle vele le nostre
bandiere
Ma quanto dolore per dare allo svolo
di te fantasia un attimo solo
E quando spaccata ogni vecchia
cultura
che è anche nostra e che abbiamo
lasciata
tra mille valigie sui moli
d'angoscia
nel porto dell'arte timbrata e
schedata:
potremo guardare la scelta futura
la scelta dei cani bastardi
nell'ossa
e ancora una volta e chiedersi
ancora
se ancora tentare se ancora si possa
E allora trovando negli occhi
compagni
la voglia e la gioia di essere bimbi
ognuno già bimbo dirà: «Certo è mia:
si può si può fare la nave è anche
mia
La nave del sogno è mia per ragione,
è nostra per scelta di cani delusi
che sanno creare tenendo lo sporco
ben stretto e cosciente tra pugni
rinchiusi».
Ma quanto dolore per dare allo svolo
di te fantasia un attimo solo
La nave dei folli che rompe in
letizia
la vecchia cultura con nuova
allegria
e tutto il dolore già trancia sul
ferro
del grande lucchetto per dare la via
al volo finale di tutto l'amore
al volo finale della fantasia
e ridere al tempo di oggi struttura
eletta a potere della borghesia
E ancora più bimbi con carta e
bandiere
guardando diritto il solo pennone
faremo la danza dei cani delusi
coi pugni serrati per nuova
illusione
Ma quanto dolore per dare allo svolo
di te fantasia un attimo solo
La nave dei folli eletta a
"ragione"
per segno diventa parola e poesia
diventa creazione per rivoluzione
per l'attimo solo, ma di fantasia
diventa creazione per rivoluzione
per l'attimo solo, ma di fantasia
La partenza sulla “nave dei folli”, andare lasciando sul molo
le valigie che legano a questo mondo.
Una cultura indotta, innaturale. Il mondo che diventa plurale, così siamo più
tranquilli, ci sono più mondi, il primo e il terzo. Toh la natura che provvede
a farci sentire meno idioti e colpevoli. Le persone divise per caste e
incasellate, ognuna nel suo scaffale.
Poveri, ricchi, morti di fame, morti di morbillo, il nuovo SUV che scavalca
montagne, la Ferrari e la 500 vecchio tipo che si incontrano su una strada
secondaria. Tutto ovvio, scontato, normale. Morire soffrendo e non poter morire
con la leggerezza della cura del dolore. Normale, ovvio, scontato che si
bombardi da qualche parte. Ovvio, normale e scontato che si seppelliscano
rifiuti tossici e nocivi dove crescerà insalata o raccoglieremo funghi.
“Creare cultura” sulla nave che salpa, tenendo i pugni chiusi
per non mostrare lo sporco. Sulla nave c’è la speranza, in un mondo fatto di
“cani delusi rimasti bastardi fra mille carezze”. E i bagagli finalmente
lasciati sul molo, mentre il battello carico di folle follia è in mare, quasi
lontano, sono prede per gli “esperti dell’arte” che cercano l ’orgasmo su di loro. Frugano, cani da riporto,
per difendere quel che le valigie contengono. E poco importa che la vela sia foglio di
carta, finchè resiste si va. Poi passa, poi passa, nessun problema, si disferà
di fronte al primo tsunami e tutto tornerà come prima. Qualche relitto, qualche
pezzo di legno marcio. Una speranza in
mare, la ribellione di miseri straccioni impazziti, mille cuori che cercano un sogno e che, tutto
sommato, non sanno capire il mondo così com’è. A quello servono gli esperti
dell’arte. Loro no, sono illusi utopisti che ci provano. Rischiano anche il
naufragio pur di navigare senza bussola. Si voltano indietro a guardare il
vecchio mondo nelle valigie piene di polvere. E poi, sulla nave, la notte
aprono i pugni per “unire alle vele le nostre bandiere”. Non fa nulla ,è solo
un sogno, lasciamolo andare leggero come una foglia.
E si squarciano le antiche culture di cui abbiamo piena la
testa. Cultura che è nostra, ma è “di padrun”. Imposta, ipoteca sul futuro
senza una nave che salpi, senza volerci credere. In fondo non è nostra.
E la nave invece: “è anche mia”. “Si può fare… si può fare”.
“La nave del sogno è mia per ragione, è nostra per scelta di cani delusi”.
Finchè diventa parole, diventa poesia. L’arte, quella che gli esperti sul molo
non comprenderanno forse mai. Tagli, come quelli di Fontana. Sacchi, come
quelli di Burri. Uscire fuori dal quadro, penetrarlo quasi come in un orgasmo.
Un sogno in quella nave, un periodo lungo un secolo e anche
più. Non so perché oggi, non so perché qui ho voluto riascoltare Ivan che
cantava la follia lucida e coraggiosa. Anzi, lo so, il pragmatismo è
omologazione, giovani senza utopie sono senza speranze. “Siamo nel 2011, non
abbiamo ideali come i vostri”. Dicono ragazzi nuovi e freschi, così vecchi,
così antichi. Così senza neppure i tempo di essere ragazzi. Nei moli del grande
fratello arrugginiscono navi coraggiose e fiere. “Quanto dolore per dare allo
svolo di te fantasia un attimo solo”. Costa abbandonare bagagli sicuri, nel
tempo dell’incertezza e della precarietà. Non c’è più il posto fisso, anzi, non
c’è più il posto. Il lavoro bisogna crearlo, immaginarlo, inventarlo. Partono i
ragazzi, vanno in Transilvania o in Canada a cercare un posto, non un luogo,
proprio un posto. Per cominciare a provarci a vivere, a creare, ad essere,
finalmente, persone. Non hanno tempo per lasciare bagagli sul molo, anche se
sono valigie piene di un vuoto strambo, quelle che abbiamo consegnato loro con
tutta la nostra vergogna per un mondo
così putrefascente, con moli dismessi e senza utopie. Un mondo che pare non
avere speranze. Rincorse a perdifiato su crinali di colline che erano verdi. Forse è tempo
di chiudere un capitolo di impotenza e provare a gonfiare un canotto, solo
quello, giusto per iniziare, lasciando il pragmatismo a chi è “maestro” di
coerenza, a chi ha la verità in tasca per risolvere ogni problema. A loro “gli
esperti dell’arte” che sanno così bene rovistare nella palta per “dare la
linea”. Riprendersi la gioia, riprendere la follia, riprendere il sogno. E poi
lo sappiamo, si vive una volta sola, tanto vale vivere. Guardava
in silenzio il mare la donna sul molo, era sera, dietro c’erano ragazzi mano
nella mano. Uno strano sole cadeva là sotto, portandosi appresso una giornata
passata come altre mille e ancora mille. Chissà perché piangeva guardando il
mare. Passano notizie nel telegiornale, tutte uguali da mesi, da anni, forse da
sempre. Ivan è morto in giugno qualche anno fa. Si è portato via la sua nave e
i suoi sogni. Ha lasciato una valigia vuota, non aveva culture da lasciare,
solo canzoni e parole. “Un attimo solo ma di fantasia”. Crollano muri come
scatoloni vuoti che prima contenevano frigoriferi di plastica e alluminio.
Abbiamo costruito muri falsi, finti come il PIL. Economia domestica, economia
delle banche che rubano quattrini a chi
ne ha già pochi. Noi nel mondo detto primo. Ma pare normale a qualcuno che si
debba difendere la Costituzione? “Ogni cittadino è uguale davanti alla legge”.
Difendere un’ovvietà? Culture diverse o
scontro fra barbarie di varia provenienza? Ma pare ovvio che si debba difendere
la dichiarazione universale dei diritti umani? Articolo 1: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed
eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e
devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.” Difendere
un’altra ovvietà? Tempo perso per chi vorrebbe vivere dignitosamente. “Non è più tempo di sogni, vedete di crescere,
avete giocato a fare la rivoluzione, ora tutto torna come prima”. E noi qui a
prenderci le misure. Come il becchino dei film western che misurava il
pistolero per preparargli la cassa giusta. “Quello è troppo comunista,
quell’altro troppo socialista, quello là in fondo, si, quello con la barba
bianca, non ha il senso della realtà”. Parliamone, parliamoci. Anzi, andiamo a
guardare il mare bevendo pinte di vino rosato e mangiando pane e mortadella. “Non
possiamo sparare ai clandestini sulle barche, per ora” dice Castelli, un
viceministro. “A quelli bisognerebbe sparare” dice Speroni, un eurodeputato.
“Loro vogliono che il figlio dell’operaio e quello del professionista abbiano
le stesse opportunità” dice Silvio B. da Arcore. “Sapesse contessa….”
Commentiamo pure, parliamone con calma, ma per favore evitiamo sconti di pena. O sono
sulla nave dei folli anch’io? Leggo i giornali e sento turbamento e angoscia.
Repulsione.
E ancora più bimbi con carta e
bandiere
guardando diritto il solo pennone
faremo la danza dei cani delusi
coi pugni serrati per nuova
illusione
Non importa, non fa nulla, stavo scherzando. Pensavo ad alta
voce. Sotto, in strada, il traffico corre veloce, se ne frega delle mie masturbazioni.
Spengo la TV e ascolto Chopin, forse è meglio.
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