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mercoledì 6 giugno 2012

L'aspra Stagione- storia di Carlo Rivolta


Noto per la sua precocità nella professione giornalistica, ha lavorato per i quotidiani Paese Sera, La Repubblica e Lotta continua. Si è occupato di cronaca e del mondo dei movimenti politici giovanili degli anni settanta e, in particolare, del movimento del '77. Famoso è stato il suo impegno nel documentare l'avvento dell'eroina della fine degli anni '70 in Italia, tracciando un profilo sociale dei consumatori e occupandosi di indagare sul sistema dello spaccio di droga.
Carlo Rivolta fu egli stesso vittima della tossicodipendenza da eroina: morì all'età di 32 anni, dopo cinque giorni di coma, in seguito a una caduta dal primo piano di un palazzo in via Prestinari, occorsagli durante una crisi d'astinenza.
Così su wikipedia si parla di Carlo Rivolta.


“Che stronzo sei stato, avevi la poesia nel cuore, avevi l’ironia nello sguardo ed eri bravo, proprio bravo” pensavo mentre la bara di Antonio veniva portata a spalle verso il cimitero. Qualcuno distribuiva fiori, uno a testa, qualcuno taceva, qualcuno piangeva piano. Non avevamo tempo né voglia neppure di speranza, avevamo perso una guerra ed eravamo risucchiati dal quotidiano mentre attorno a noi una nuova economia faceva quattrini, era quella dei centri di disintossicazione, dei medici che sanno, dei guru che truffano vendendo aria fritta e speranze. Era quella degli scippi e delle autoradio rubate. Qualcuno, troppi, finirono in galera a soffrire le loro crisi di astinenza. Ci fu un lungo periodo in cui terminammo di pontificare per guardarci attorno e vedere impotenti e senza più un obbiettivo da raggiungere l’ecatombe attorno a noi. Perché quel lungo interminabile ’68 stava finendo nel modo peggiore, perché sapevamo che dietro ogni grammo di hascish, di eroina, ci stavano le mafie. Facevamo finta di nulla, qualcuno denunciava, piano però, per non fare rumore, avevamo il nostro daffare a tentare di aiutare amici che si stavano lanciando come Antonio sotto un treno che passava da lì.
“Quelli del ‘77” erano più giovani, più ribelli, più tranchant nei giudizi. Attorno, nelle città grandi, non certo nella provincia della bassa piemontese dove vivevo, giravano armi come sigarette di contrabbando, come eroina, tutto sembrava lecito. Non ci importava nulla delle mafie. Quando compravamo un pacchetto pensavamo al sottoproletario che li vendeva sul suo banchetto per sopravvivere piuttosto che al giro di affari che ci stava dietro. Così ci creavamo un alibi di politicamente corretto, e poi eravamo nemici delle forze dell’ordine, chi era contro di loro era dalla nostra parte. La mancanza dei toni del grigio era incredibile. D’altra parte arrivavamo da momenti in cui “dobbiamofarelarivoluzioneproletaria”. Carlo Rivolta era tutto questo, iniziò a fare il cronista per Paese Sera. Poi Scalfari, il guru, lo volle nella neonata Repubblica a raccontare di terrorismo e di eroina. Carlo sapeva come la sinistra estrema si muoveva, e capiva, prima di molti altri cronisti che aspettano il comunicato stampa in redazione, come le droghe stessero invadendo il mercato e massacrando intelligenze, sapeva e denunciava nei suoi articoli. Mantenendo sempre il livello della sua visione democratica molto alto. Fu per un numero direttore responsabile di “Internazionale”, la rivista sulla quale scrivevano quelli dell’autonomia finiti in galera perché accusati, da strambi teoremi poi caduti, di essere la testa pensante delle Brigate Rosse. Lo fece perché la libertà di informazione è sacra: “non concordo con quanto dici ma darei la vita perché tu possa continuare a dirlo”.  E Carlo aveva un lavoro sicuro e garantito a Repubblica, era stimato, ma non gli bastava, osò passare a scrivere sulle colonne di un giornale ormai agonizzante, anzi, un morto che camminava, si chiamava Lotta Continua ed era diretto da Enrico Deaglio. Scrisse anche dei suoi viaggi negli USA che amava, e ancora di eroina e di terrorismo. Moro era morto, Repubblica era per il partito della fermezza, lui fu dalla parte della trattativa per salvarlo. Poi le BR fecero fuori Guido Rossa, un sindacalista di Genova e un ragazzo che aveva la sola colpa di essere il fratello di Patrizio Peci, il pentito delle BR che fece arrestare un sacco di persone. Esecuzioni in perfetto stile mafioso, i “compagni che sbagliano” divennero criminali che ammazzano operai.  Carlo ne scrisse. Però qualcosa si era insinuato nella sua vita. Quando? Perché?  Non è detto. Però sappiamo che succedeva così, all’improvviso incontravi un amico, un compagno, e ti accorgevi della sua magrezza, degli occhi liquidi. E sapevi che ti avrebbe chiesto diecimila lire “per pagare l’affitto”. Ma sapevi che l’affitto non c’entrava un cazzo, se avevi le diecimila le davi, senza chiedere altro. Poi magari ti trovavi con un fiore in mano ad accompagnarlo e a dire “che stronzo sei stato…” e, maledizione, quasi sempre erano quelli più bravi, che sapevano suonare o scrivere poesie o dipingere, che invidiavi perché tu non sapevi fare nulla di tutto ciò. Sensibilità elevate, alte. Forse troppo.

La storia di Carlo la trovate in libreria: “L’aspra stagione” di Tommaso De Lorenzis e Mauro Favale – Ed. Einaudi – Stile libero extra - €18,00

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