Non ero mai stato a Cannole. Ne avevo sentito parlare e,
chissà poi perché, avevo l’idea di un paese in cui prima o poi sarei andato,
giusto per vedere i luoghi in cui erano fuggiti gli otrantini mentre i turchi
massacravano. Invece vale la pena
andarci, anche se è un sabato sera di giugno. C’è anche il castello, piccolo ma
austero, e c’è un’aria da paese, appunto, di tranquillità. Signori seduti su
una panchina che parlano facendosi scivolare addosso la sera d’estate, qualche
ragazzo, pochi in verità. “Scusi, dov’è che presentano un libro?” “Un disco
presentano, alla Pro Loco” e mi indica la strada. Il salone è grande e
tappezzato da manifesti “antichi” della Festa te la Municeddhra. Antichi poi…
parliamo del 1980, quando chi scrive sapeva già di antico lui pure, ma questo
non c’entra.
Ne è valsa la pena veramente ascoltare “Le ragazze del
novecento” che cantano. Loro si chiamano Gina, Assuntina, Rosaria, Rosalba,
Eva, Ndata, Nzina e cantano a cappella, senza musica come voleva il canto
popolare, nei campi mentre si lavorava o nelle sere d’estate. “Al massimo c’era
un tamburello e poco più” dice Luigi Chiriatti che ha curato il volume e il
doppio CD delle ragazze. E c’è qualcosa di stupefacente scorrendo i titoli ed
ascoltandole cantare, molti testi sono in italiano e provengono dal centro sud,
quel “La mia mamma”, per citarne una, che è una delle versioni, a me
sconosciuta, di Mamma mia dammi cento lire (che in America voglio andar). “Ci
sono alcune interpretazioni sul come sono arrivate fin qui, chi parla degli
emigranti che le hanno imparate, chi degli anarchici che si stabilirono in
Salento portandosi dietro la loro voglia di libertà e le loro tradizioni,
quella che reputo più convincente però è la convivenza nelle trincee della
grande guerra fra italiani di cultura e tradizioni diverse, che si siano
contaminati anche con i canti. Infatti molti testi sono quelli antichi che
neppure nel centro sud riesci più a trovare nella loro interezza come le cantano
le ragazze di Cannole, non sono cambiati mai”, prosegue Chiriatti mentre ne
parliamo a margine del concerto. Un lavoro da ricercatore antico il suo, che
riporta a Gianni Bosio, citato più volte, e alla tradizione di chi vuole
caparbiamente, forse partendo proprio da Bosio, creare cultura ripartendo dal
basso. Kurumuny lo fa e ci riesce. E’ un lavoro che vale la pena di essere
ascoltato. Le ragazze del novecento sul palco erano bellissime, non avevano
abiti da scena, non coreografie, neppure una regia. Non avevano necessità di
essere dirette da maestri con nomi strani e stranieri, loro facevano da sole,
ridendo anche, perché si divertono a cantare di fronte ai loro compaesani. E
sono corrisposte da applausi e accompagnamenti ritmati dalla platea. Eravamo
pochi noi “stranieri”, mica come nei festival blasonati. Loro erano belle e
ammiccanti mentre cantavano “Lu monacu meu” e altri doppi sensi. Mi sono venute
in mente le mondine di lassù, e mi è venuto in mente che in fondo è bello
lasciarsi contaminare dalle culture di un’Italia che ha simili pulsioni, da
nord a sud.
Ricci i Tuoi
Capelli – Arie e canti popolari di Cannole – Ed. Kurumuny – Libro e due CD €
15,00
CON SCRITTI DI LUIGI CHIRIATTI, CIRO DE ROSA,
SALVATORE ESPOSITO, RAFFAELE CRISTIAN PALANO, ADRIANA BENEDETTA PETRACHI.
I due CD contengono 42 tracce.
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