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mercoledì 20 giugno 2012

Di ricci, poeti e altre sciocchezze


Non si mangiano ricci in giugno. C’è il fermo pesca. Peccato!
Però a volte si va ugualmente al mare, anche se c’è tramontana. Il Salento è magico perché puoi scegliere in base al vento dove andare. Allora perché andiamo verso San Foca quando c’è lei? Bisognerebbe andare sullo Ionio, perbacco!
Non fa nulla, forse ci andiamo per vedere le onde che arrivano lunghe. Forse per cercare quella caletta che ci ripara, forse solo per pigrizia.
Parole, parole, parole… Costruiamo parole di carta che pochi leggeranno. Durante il viaggio verso il mare (piccolo percorso) a volte si tace, significa che ognuno pensa agli affaracci suoi, che poi non siano proprio affaracci ma affari, poco importa. Però è bello esserci anche in quei momenti, avere accanto qualcuno. C’è corrispondenza di presenze a prescindere dal detto e dal taciuto. “Forse non lo sai ma pure questo è amore” cantava Vecchioni. Lui significava altro, però il bello delle parole dette, scritte o cantate (da altri) è che le fai tue e le plasmi. Come le poesie. Diverso per la prosa, i prosatori sono meno prosaici in fondo. Dicono le cose utilizzando tutto il vocabolario a disposizione. A volte rompono i maroni per il profluvio di parole che escono fuori dalle tastiere, spesso a loro insaputa. C’è chi scrive come già nell’800 insinuando un misto di tenerezza e sconcerto per quelle parole in disuso come le locomotive a vapore, “le vecchie cose di pessimo gusto” chiamava Gozzano alcuni oggetti sparsi nelle case. Spesso le leggi comunque, per una solidarietà non detta, anche se non condividi, come diceva un amico del secolo scorso, un’emerita cippa.
C’è poi chi scrive come parla, così, per caso, a volte senza la mediazione del cervello fra le dita e lo schermo, come mi succede spesso. Non mi dilungo su interpretazioni psicoanalitiche, anche perché me ne mancano le cognizioni e poi, diciamolo, sono affaracci miei. Quasi nessuno però scrive più a penna su un foglio bianco. Grande liberazione per chi, come me, non ha mai coltivato la bella calligrafia. E si che un tempo si facevano a scuola lezioni anche di quello. Imparai a scrivere con la matita, poi passai alla penna con pennino e calamaio al quale erano indissolubilmente sposate le macchie sul foglio bianco che tentavo di asciugare con l’angolo della carta assorbente. Tralascio il fatto che ne aveva solo quattro, di angoli. Detestavo i pennini fatti come la mole Antonelliana, mi piacevano quelli panciuti. Lo so che tutti hanno un nome, ma non li conosco. Inoltre sono perfettamente cosciente che questa roba qui denuncia spudoratamente la mia età.
Oggi comunque debbo chiedere aiuto per decifrare l’indecifrabile di appunti che mi capita di prendere sulla Moleskine. Ecco, la Moleskine che porto sempre con me perché era il quaderno degli artisti. Solo che loro erano artisti. E’ un po’ come avere una bicicletta azzurra e spacciarsi per Fausto Coppi. Poi ci sono quelli che scrivono di filosofia e fanno i pensatori. Tutto il mio rispetto, però in estate, forse forse, sarebbe bello un ghiacciolo stravaccati davanti alla Jannara a vedere il mare che le passa sotto e pensare ai ricci o a un piatto di fagiolini, invece di arrovellarsi per capire dove va l’uomo e se Dio esiste o è una proiezione della nostra incapacità di capire le cose del mondo. E qui potremmo aprire una parentesi, le cose che non si comprendono aumentano proporzionalmente al “progresso”. Per dirne una, un tempo democrazia era quella cosa che consentiva ad ognuno di crescere, oggi è quella cosa stramba che permette ad un sottosegretario di dire ai disoccupati che dovrebbero rinunciare ad una settimana di ferie per produrre di più. Mah!
Parlsvo di fagiolini prima, la cosa non è assolutamente casuale, anzi. Da un po’ di tempo si diffondono attorno a me, come il blob del vecchio film, personaggi inquietanti, fieri nella loro decisione. Sono uomini e donne, giovani e meno giovani, filosofi e studentesse che dichiarano il loro essere vegetariani! Se capita di trovarti a cena con qualcuno di loro, e succede spesso, mi sento a disagio. Se non ci si conosce bene, mentre passano salsicce, costate, salami e salumi, ordino “verdurine grigliate”. Vabbè, si risparmia. Salvo poi un invito a cena a casa di un vegetariano, che ti propone il ragù… Di tofu. Ed io a chiedermi come ho potuto passare attraverso metà del secolo scorso senza conoscere il tofu. “Contiene proteine come la carne” “perbacco che trovata geniale, è come le sigarette finte che ti somministrano, pagando, su Ryan air”. Ammicco, mangio con sussiegoso distacco mentre parliamo delle amministrative, piuttosto che del tempo o del mare o ascolto filosofeggiare. Segretamente penso alle tagliatelle alla bolognese. Saranno senza tofu ma mi piacciono. Devo dire però che sono corretti tutti quanti i vegetariani che frequento. Una sola volta, anni fa successe l’irreparabile. Lei era carina, mi sentii dire mentre azzannavo cannibalescamente una cotoletta “sai, io non mangio animali morti”. “E che (bip bip)”, pensai. Inutile dire che l’approccio fu disastroso. Ripensandoci posso dire di sapere come si sentì Schettino mentre la sua nave si appoggiava sul fondale. Comunque la cotoletta era dura!
Scrittori… La nave dei folli… Pensatori che mettono su carta con mezzi meccanici il loro sapere. I poeti che fanno versi e a volte scrivono parolacce che, dette da un poeta, diventano versi ispirati e se le dice un bambino viene ammonito, redarguito. Inutile dire che sto dalla parte dei poeti e dei bimbi che a volte dicono parolacce sentite (toh il caso) dai grandi.  
E qui mi fermo, aspettando il primo luglio, quando si potranno mangiare ricci.

P.s. – Questa chiusa è un sordido tentativo di chiudere il cerchio, non ricordo assolutamente perché avevo iniziato parlando di ricci.

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