Non si mangiano ricci in giugno. C’è il fermo pesca. Peccato!
Però a volte si va ugualmente al mare, anche se c’è
tramontana. Il Salento è magico perché puoi scegliere in base al vento dove
andare. Allora perché andiamo verso San Foca quando c’è lei? Bisognerebbe
andare sullo Ionio, perbacco!
Non fa nulla, forse ci andiamo per vedere le onde che
arrivano lunghe. Forse per cercare quella caletta che ci ripara, forse solo per
pigrizia.
Parole, parole, parole… Costruiamo parole di carta che pochi
leggeranno. Durante il viaggio verso il mare (piccolo percorso) a volte si
tace, significa che ognuno pensa agli affaracci suoi, che poi non siano proprio
affaracci ma affari, poco importa. Però è bello esserci anche in quei momenti, avere
accanto qualcuno. C’è corrispondenza di presenze a prescindere dal detto e dal
taciuto. “Forse non lo sai ma pure questo è amore” cantava Vecchioni. Lui
significava altro, però il bello delle parole dette, scritte o cantate (da
altri) è che le fai tue e le plasmi. Come le poesie. Diverso per la prosa, i
prosatori sono meno prosaici in fondo. Dicono le cose utilizzando tutto il
vocabolario a disposizione. A volte rompono i maroni per il profluvio di parole
che escono fuori dalle tastiere, spesso a loro insaputa. C’è chi scrive come
già nell’800 insinuando un misto di tenerezza e sconcerto per quelle parole in
disuso come le locomotive a vapore, “le vecchie cose di pessimo gusto” chiamava Gozzano alcuni oggetti sparsi nelle case. Spesso le leggi comunque, per una
solidarietà non detta, anche se non condividi, come diceva un amico del secolo
scorso, un’emerita cippa.
C’è poi chi scrive come parla, così, per caso, a volte senza
la mediazione del cervello fra le dita e lo schermo, come mi succede spesso.
Non mi dilungo su interpretazioni psicoanalitiche, anche perché me ne mancano
le cognizioni e poi, diciamolo, sono affaracci miei. Quasi nessuno però scrive più
a penna su un foglio bianco. Grande liberazione per chi, come me, non ha mai
coltivato la bella calligrafia. E si che un tempo si facevano a scuola lezioni
anche di quello. Imparai a scrivere con la matita, poi passai alla penna con
pennino e calamaio al quale erano indissolubilmente sposate le macchie sul
foglio bianco che tentavo di asciugare con l’angolo della carta assorbente.
Tralascio il fatto che ne aveva solo quattro, di angoli. Detestavo i pennini
fatti come la mole Antonelliana, mi piacevano quelli panciuti. Lo so che tutti
hanno un nome, ma non li conosco. Inoltre sono perfettamente cosciente che
questa roba qui denuncia spudoratamente la mia età.
Oggi comunque debbo chiedere aiuto per decifrare l’indecifrabile
di appunti che mi capita di prendere sulla Moleskine. Ecco, la Moleskine che
porto sempre con me perché era il quaderno degli artisti. Solo che loro erano
artisti. E’ un po’ come avere una bicicletta azzurra e spacciarsi per Fausto
Coppi. Poi ci sono quelli che scrivono di filosofia e fanno i pensatori. Tutto il
mio rispetto, però in estate, forse forse, sarebbe bello un ghiacciolo
stravaccati davanti alla Jannara a vedere il mare che le passa sotto e pensare
ai ricci o a un piatto di fagiolini, invece di arrovellarsi per capire dove va
l’uomo e se Dio esiste o è una proiezione della nostra incapacità di capire le
cose del mondo. E qui potremmo aprire una parentesi, le cose che non si
comprendono aumentano proporzionalmente al “progresso”. Per dirne una, un tempo
democrazia era quella cosa che consentiva ad ognuno di crescere, oggi è quella
cosa stramba che permette ad un sottosegretario di dire ai disoccupati che
dovrebbero rinunciare ad una settimana di ferie per produrre di più. Mah!
Parlsvo di fagiolini prima, la cosa non è assolutamente
casuale, anzi. Da un po’ di tempo si diffondono attorno a me, come il blob del
vecchio film, personaggi inquietanti, fieri nella loro decisione. Sono uomini e
donne, giovani e meno giovani, filosofi e studentesse che dichiarano il loro
essere vegetariani! Se capita di trovarti a cena con qualcuno di loro, e
succede spesso, mi sento a disagio. Se non ci si conosce bene, mentre passano
salsicce, costate, salami e salumi, ordino “verdurine grigliate”. Vabbè, si
risparmia. Salvo poi un invito a cena a casa di un vegetariano, che ti propone
il ragù… Di tofu. Ed io a chiedermi come ho potuto passare attraverso metà del
secolo scorso senza conoscere il tofu. “Contiene proteine come la carne” “perbacco
che trovata geniale, è come le sigarette finte che ti somministrano, pagando,
su Ryan air”. Ammicco, mangio con sussiegoso distacco mentre parliamo delle
amministrative, piuttosto che del tempo o del mare o ascolto filosofeggiare. Segretamente
penso alle tagliatelle alla bolognese. Saranno senza tofu ma mi piacciono. Devo
dire però che sono corretti tutti quanti i vegetariani che frequento. Una sola
volta, anni fa successe l’irreparabile. Lei era carina, mi sentii dire mentre
azzannavo cannibalescamente una cotoletta “sai, io non mangio animali morti”. “E
che (bip bip)”, pensai. Inutile dire che l’approccio fu disastroso. Ripensandoci
posso dire di sapere come si sentì Schettino mentre la sua nave si appoggiava
sul fondale. Comunque la cotoletta era dura!
Scrittori… La nave dei folli… Pensatori che mettono su carta
con mezzi meccanici il loro sapere. I poeti che fanno versi e a volte scrivono
parolacce che, dette da un poeta, diventano versi ispirati e se le dice un
bambino viene ammonito, redarguito. Inutile dire che sto dalla parte dei poeti
e dei bimbi che a volte dicono parolacce sentite (toh il caso) dai grandi.
E qui mi fermo, aspettando il primo luglio, quando si
potranno mangiare ricci.
P.s. – Questa chiusa è un sordido tentativo di chiudere il
cerchio, non ricordo assolutamente perché avevo iniziato parlando di ricci.
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